Il percorso terapeutico di Antonio, un bambino con importanti sintomi di chiusura autistica.  

Il percorso terapeutico di Antonio, un bambino con importanti sintomi di chiusura autistica.  

 

Antonio, un bambino di nove anni, presentava importanti sintomi di chiusura autistica che si manifestavano a livello ideativo con un pensiero incostante e dispersivo. Presentava inoltre un parziale distacco dalla realtà; notevoli difficoltà nelle relazioni sia con gli adulti sia con i coetanei, con i quali diventava reattivo, irruente e, a volte, violento. Erano evidenti le stereotipie motorie, nel linguaggio e nei comportamenti ma anche le tante paure, gli atteggiamenti provocatori e aggressivi, lo scarso controllo nelle pulsioni sessuali, nonché le gravi difficoltà nell’attenzione, le crisi di panico, gli atteggiamenti eccessivamente pignoli, il riso fatuo. Il linguaggio era presente ma poco coerente e, a volte, coprolalico.

Il bambino sapeva leggere e scrivere, anche mediante il computer. Tuttavia, a volte, preferiva utilizzare la penna e i fogli di carta.

Le sue prime produzioni linguistiche scritte al computer erano di questo tenore:

Paolone e

quello

Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa

un tanto giorno

di fa pensavo z

che qualcuno come noi

chiamavanoo’ il

loro mondo

polo sei un

brutto e di male

un fannullone

un imbroglione

un bruttissimo

codardo d’

imbranato

impastore.

Commedia

Teadraleritornell

O scrittura.

In un periodo successivo, con il miglioramento dei suoi vissuti interiori, le frasi diventarono meglio organizzate e strutturate, ma riportavano, senza molta immaginazione, alcuni episodi di film che vedeva e rivedeva spesso alla tv.

Pina, la nonna di Cappuccetto Rosso

C’ERA UNA VOLTA CAPPUCCETTO ROSSO CHE

VENDEVA LA FRUTTA NEL BOSCO DOVE C’ERA LA SUA

NONNA DI NOME PINA.

TOTO’ ERA UN PRINCPE E SUO PADRE ERA UN DUCA

POI PAOLO VILLAGGIO NON RIUSCIVA A USCIRE DALLO

SPORTELLO MA USCIVA DAL COFANO.

ANDO’ IN UFFICIO PER ENTRARE E FARE LE SUE

FACCENDE E POI HA VISTO SUPERMAN E SI E’TRASFORMATO IB SUPERMAN.

POI VEDE CHE C’E’ UN ORSO IN ASCENDORE E SI SPAVENTA POI L’ORSO LO PRENDE CON TUTTA LA FORZA SI CHIUDE L’ASCENSORE E GLI STRAPPAI VESTITI E POI ESCE CON I VESTITI TUTTI QUANTI STRAPPATI

Il bambino effettuava terapia affettivo – relazionale utilizzando la tecnica del Gioco Libero autogestito mediante delle sedute settimanali della durata di 45 minuti.

Possiamo dividere il suo percorso psicoterapico in quattro fasi.

La fase degli elenchi

Il gioco che amava effettuare nelle prime sedute di psicoterapia riguardava gli elenchi. Piaceva al bambino scrivere su carta o su una pagina di Word: nome e cognome delle persone che conosceva, dei suoi compagni di classe, dei suoi insegnanti, della famiglia del terapeuta ecc... Successivamente il gioco dei nomi si spostò sul piacere di scrivere nomi lunghi, a volte reali, ma per lo più inventati e senza senso, purché fossero molto lunghi.

La fase delle fantasie solitarie

In questa seconda fase il bambino manifestava la sua notevole inquietudine interiore saltellando da una parte all’altra della stanza, con in mano una matita, un giocattolino o un pupazzetto di plastica di forma allungata che, per quasi tutta la seduta, batteva a terra o su un altro oggetto. In alcuni momenti, inoltre, si mordicchiava un dito, e sputacchiava. I genitori non sopportavano questi suoi continui comportamenti incongrui e stereotipati, per cui lo rimproveravano oppure evitavano di lasciarlo da solo o, “per distrarlo”, lo stimolavano a vedere anche per molte ore al giorno qualche film alla TV.

Mi guardarono sorpresi quando gli dissi di lasciare che lui utilizzasse questi suoi comportamenti stereotipati perché servivano a diminuire l’ansia e la tensione interiore mentre, invece, era poco utile, anzi dannoso, trascorrere tante ore al giorno davanti alla TV. ‹‹Ma dottore›› diceva il padre, ‹‹dalla Tv egli può apprendere tante cose utili, anche perché io scelgo per lui documentari ricchi di cultura e bei film storici, ma da questa matita che batte sempre a terra cosa può mai apprendere?›› Il papà di Antonio non era l’unico a vedere, come il fumo negli occhi, le stereotipie presenti nei bambini con Disturbo Autistico. Gli facevano e gli fanno buona compagnia non solo altri genitori ma anche molti operatori: sia medici, sia psicologi!

La fase delle battaglie espresse verbalmente

Dopo due-tre sedute durante le quali Antonio batteva la matita o un altro oggetto per terra, in silenzio, isolandosi da me a dal mondo esterno, il bambino, vedendo che restavo seduto in disparte, guardando lui con interesse, attenzione e partecipazione, senza però mai disturbarlo con domande, osservazioni o richieste di alcun tipo, senza mai rimproveralo per quello che faceva, osservando anzi che ero ben lieto del suo comportamento, tanto che all’inizio della seduta gli cercavo e gli consegnavo, con un sorriso, la sua matita o il suo pupazzetto preferito, avendo più fiducia nei miei riguardi, cominciò ad esporre ad alta voce i suoi discorsi interiori.

Da questi fu facile capire che in realtà, i movimenti che eseguiva con la matita, erano solo l’espressione motoria di lotte che lui mimava in modo incessante. Lotte tra Caino ed Abele, tra Davide e Golia, tra Achille ed Ettore, tra Tarzan ed i suoi nemici, lotte di animali tra loro o contro le persone. Insomma, erano tutti combattimenti che lui descriveva aiutandosi con un oggetto.

Queste lotte avevano sempre dei contenuti molto cruenti: in genere era il più forte ed il più cattivo che colpiva alla testa, alle gambe e agli occhi in maniera continua, incessante, la sua vittima. Questa rimaneva, a volte storpiata, altre volte schiacciata o ferita gravemente, per cui dal suo corpo martoriato usciva del sangue che si spargeva a terra. In altri casi alla vittima venivano strappati gli occhi o le budella, oppure moriva e veniva messa nella tomba ma poi resuscitava e la lotta riprendeva incessantemente, senza avere mai fine.

La tragica storia della Sirena

La storia della Sirena che abbiamo registrato e che riportiamo integralmente, è stata solo una delle tante lotte che Antonio mimava utilizzando un oggetto o un giocattolo che la rappresentava.

‹‹Danno botte alla Sirena, anche pietrate e colpi di martello. Lei si risveglia. Una persona piccolina le dà un’altra botta e la colpisce ancora. Le fa uscire sangue. Le dà ancora botte e ancora le esce sangue. Le lancia un cavallo contro che fa male alla Sirena in quanto la schiaccia; anche la macchina l’ha schiacciata››.

Domanda del terapeuta: ‹‹Cosa ha fatto di male la Sirena? ››

Risposta: ‹‹Niente››.

‹‹Lottano ancora dentro la macchina. Le dà un’altra botta in testa con il pugnale. La sega. La Sirena si muove male, grida e piange. Cammina male, è zoppa. Le danno un altro colpo e la uccidono. È morta, ma continuano a dare botte alla Sirena. La Sirena è di nuovo viva, vuole scappare e loro la rincorrono e la trapanano. Lei scappa velocissima. Cerca di liberarsi ma non ci riesce. Qualcuno le pittura la faccia con il pennello. Non può camminare, infila la coda in un’auto. Gli altri scappano. Lei si tira dietro tutto (per entrare in macchina). Nessuno la libera. Grida: AIUTO!!!

Si è liberata, ma è ferita e le arriva un’altra casa addosso. Qualcuno la lega, lei non può liberarsi, è ferita, piena di sangue. Lei non aveva fatto niente (di male), la colpa è di loro. La Sirena prende il canotto. Il canotto la insegue e lei entra dentro e il canotto le fa male. Sale le scale con la coda. La Sirena guida la macchina. Tutti scappano.

Hanno fatto pace con la Sirena, sono insieme. Lei ha sprofondato con la macchina e gli altri l’aiutano. Le arriva una molla addosso. Qualcuno gliel’ha gettata. Le hanno sparato con i cannoni e l’hanno uccisa. È morta! Ma poi si è alzata e ha fatto male ai ladri. Si è vendicata. Ha preso una pietra e si è vendicata. Di nuovo è morta la Sirenetta ma si alza e lotta contro chi le vuole fare del male. E muore chi le voleva del male. Ma si rialza subito. La Sirenetta ha preso una pietra e l’ha colpito. Cade a terra svenuto. La Sirena rimane chiusa ed è morta››.

La fase delle domande

Dopo alcune sedute nelle quali vi erano continue ed incessanti lotte alle quali io, come unico spettatore, assistevo interessato, senza mai intervenire per farle cessare o per far diminuire la loro tragicità, iniziò per Antonio la fase delle domande, prima sui perché di queste lotte o sulle loro possibili conseguenze: ‹‹Cosa succede se Caino incontra Abele? Gli schiaccia la testa?›› ‹‹Cosa succede se Tarzan incontra i suoi nemici che lo vogliono uccidere?››. ‹‹Cosa fa Tarzan a un leone? lo uccide con il pugnale e poi si mangia il cuore vero?››

 In un momento successivo, progressivamente, i contenuti delle domande che prima erano quasi sempre di tipo tragico, o notevolmente aggressivo, gradualmente si modificarono per cui tendeva a sottolineare maggiormente qualche aspetto comico delle vicende o faceva domande che riguardavano argomenti miei personali di cui l’avevo reso partecipe. Gli avevo, infatti, confidato due ricordi personali: il primo riguardava un gran calcio che avevo ricevuto da una giumenta nella stalla del nonno quando ero piccolo, il secondo episodio riguardava il mio rapporto con un elefante indiano, sulla cui groppa avevo, come tutti i bravi turisti, percorso qualche centinaio di metri. Questi due animali diventarono punti focali sui quali amava impostare molte discussioni. La giumenta era diventata ai suoi occhi simbolo di offesa, aggressione e, quindi, di dolore verso i bambini innocenti. L’elefante, al contrario, l’aveva assurto a simbolo di difesa dei bambini verso tutto e tutti. Le domande riguardanti la giumenta erano di questo tipo: ‹‹Perché ti ha dato il calcio?›› ‹‹Cosa è successo quando ti ha dato il calcio?›› ‹‹Dove ti ha fatto male?›› ‹‹E tua madre cosa ha detto e cosa ha fatto?›› Le domande riguardanti l’elefante invece erano di tenore opposto: ‹‹Se la giumenta ti voleva dare un calcio e c’era il tuo elefante cosa avrebbe fatto?!›› ‹‹Se i bambini ti volevano buttare una pietra, il tuo elefante come ti avrebbe difeso?›› ‹‹Se una macchina ti voleva investire, il tuo elefante come avrebbe reagito?›› Inutile dire che quando gli rispondevo che il mio elefante avrebbe preso la giumenta e i bambini cattivi con la sua proboscide e li avrebbe fatti volare fino in cielo o che l’elefante con i suoi enormi piedi avrebbe schiacciato la macchina facendone una polpettina, il suo sorriso diventava smagliante e la sua gioia evidente.

Insieme a questi argomenti vi erano le domande con le quali amava paragonare persone, macchine e animali. I paragoni riguardavano la loro grandezza, il loro peso, le loro capacità aggressive o di far del male. Per cui erano di questo tenore: ‹‹Quanto pesa un camion?›› ‹‹Quanto pesa una macchina?›› ‹‹Se un camion si scontra con una macchina cosa succede?›› ‹‹Se un leone aggredisce un elefante chi ha la meglio?›› ‹‹Se Tarzan lotta con un uomo cattivo cosa gli fa?››

La fase dei ricordi aggressivi e violenti da condividere

In questa fase gli argomenti di discussione riguardavano i film: dell’uomo ragno, di Bud Spencer, di Pinocchio o di Franco e Ingrassia. Anche in questi film le domande riguardavano soprattutto le scene aggressive: l’uomo ragno che fa scoppiare tutta una casa; Pinocchio che uccide il Grillo parlante; Geppetto che rimprovera Pinocchio.

La fase dei giochi piacevoli da fare insieme e dei ricordi piacevoli da condividere

Gradualmente, però, a queste scene aggressive si aggiungevano e si sostituivano delle scene comiche presenti nei film di Bud Spencer e di Franco e Ingrassia. 

Per cui gli argomenti aggressivi scomparvero quasi totalmente sostituiti da un gioco piacevole da fare insieme. Giocavamo, ad esempio, con le schede per lo sviluppo logico e cognitivo “Voglia di crescere” nelle quali Antonio per poter scherzare e ridere insieme a me, faceva finta di sbagliare in modo tale da suscitare i miei commenti ironici. Pertanto associava il tavolo con le forbici affinché io, fingendomi scandalizzato, potessi dire: ‹‹Ma possiamo mai associare un tavolo con le forbici? Che devono fare le forbici, forse devono tagliare il tavolo?›› Oppure associava la tigre con lo scoiattolo affinché potessi commentare la cosa in modo ironico dicendo: ‹‹Ma possiamo mai collegare la tigre con lo scoiattolo? La tigre si deve forse mangiare lo scoiattolo saltando sui rami degli alberi come una scimmia?›› 

Lo stesso faceva per tutte le altre schede. Le sbagliava di proposito per avere l’occasione di ridere insieme a me. Altre sedute somigliavano molto, invece, a quello che facevamo noi da ragazzi alla sua età quando ci incontravamo. Uno degli argomenti di discussione preferiti erano i film che avevamo visto insieme. Per cui le frasi erano tutte del tipo: ‹‹Ti ricordi quando Tarzan si è lanciato dall’albero sui suoi nemici? Ti ricordi quando la sua scimmietta l’ha liberato?›› ‹‹Ti ricordi quando Tarzan ha tirato fuori il suo coltello e quel pancione è scappato via…?››  Ma, a differenza che in passato, nelle ultime sedute, accanto ai ricordi dei film, gli piaceva alternare delle domande più personali che mi riguardavano, ad esempio su come avrei trascorso le vacanze oppure amava fare dei commenti sulla fine delle lezioni scolastiche.

La fase dei racconti

Solo quando raggiunse un discreto benessere interiore amava dettare con molta serietà e mettendoci molto impegno, dei racconti che dovevano rappresentare le trame per dei film dei quali lui avrebbe voluto essere l’autore e il protagonista.

Titolo del film: ‹‹Golgostero va nelle zone del polo nord››.

 ‹‹Un giorno questo signore voleva andare in un bar a comprare una granita, ma poi vide un carabiniere che non lo faceva passare e stette tanto tempo ad aspettare che lo facesse passare. Poi, un giorno vide una cosa rossa caduta dal cielo, un fogliettino rosso. L’aveva fatto cadere un passerotto e lui lo prese e lesse tutto quello che vi era scritto: “Per entrare al bar, devi avere le chiavi, perché sennò non puoi entrare.” E così si procurò le chiavi ed entrò al bar. Nel bar c’erano tante cose buone da bere e bevette quasi tutto, ma poi gli venne un mal di pancia fortissimo, uscì fuori dal bar e vide delle notizie su dei giornali, dove c’era scritto: “Per farti passare il mal di pancia devi andare in bagno”. E così andò in bagno, stette un pochino seduto e gli passo tutto. Poi all’indomani decise di partire e così andò al polo nord. Poi vide orsi polari, cervi e un gatto delle nevi, che da lontano lo guardavano fisso-fisso. Allora cercò quasi di scappare ma il gatto lo guardò fisso- fisso perché voleva che stesse fermo. E poi cercò di nuovo di scappare e ci riuscì. Il gatto delle nevi si avvicinò pian piano per prenderlo, ma lui fece una corsa incredibile, si tuffò in acqua e il gatto delle nevi non lo vide più e se ne andò via.

Quando uscì fuori dall’acqua sentì freddo e voleva cercare casa, ma non la trovò. Ad un certo punto vide da lontano un signore con una barca, si avvicinò e gli chiese : “Senti signore mi potrebbe dire dove posso trovare una casa?” E il signore rispose: “Vai dritto- dritto, quando vedrai un cartello segnato, la casa la troverai a destra. Così lui camminò per tanto, tanto tempo, ad un certo punto vide da lontano una casa bellissima, bussò e qualcuno aprì e disse: “Chi sei? Cosa vuoi?” “Per favore,” rispose, ”vorrei entrare nella stanza perché è da tanto tempo che non ho una casa”. Quello gli disse: “Ma da tantissimo tempo?” E lui rispose di sì. A questo punto lo fece accomodare. Quando entrò vide una bella casa, tutta brillante, con una cucina, un salone e tre bagni. Ad un certo punto vide delle scale, dove sopra c’era la stanza. Così poi salì, e quando salì vide vicino al letto un bellissimo termosifone che però era spento. La vide tutta che era bella (la stanza), allora si spogliò e si coricò››.

Il racconto continuava nella seduta successiva…

‹‹Mentre dormiva (Golgostero) sognava tantissime bevande e tantissime cose buone da mangiare, ma poi, quando finì di sognare tutte queste cose da mangiare, sognò una torta con la panna con dentro uova, formaggio e fragole. Durò quasi molto il sogno! Mentre finì il sogno si svegliò e disse: “Cosa ho sognato?” Pensò, pensò, continuò a pensare ma poi disse fra sé e sé “Miiih, ho sognato una torta bellissima” ma si ricoricò. Intanto era arrivato quel signore a cui lui aveva bussato alla porta e disse: “Ti ho preparato il pollo con le patate, vuoi venire a mangiarlo?”. Lui rispose: ”Si voglio venire”. Intanto, prima si lavò le mani e poi andò. Vide questo pollo con le patate, bellissimo! E se lo mangiò tutto. Così gli venne un mal di pancia fortissimo poi disse: “ Con permesso” andò in bagno e vomitò sul lavandino. Poi entrò il signore e disse: “Perché hai vomitato sul lavandino?” Lui rispose: “Perché non ce la facevo più”. E il signore rispose: “Ah! perché non ce la facevi più?!” Così poi lo cacciò fuori e disse: “ Se ti viene voglia di mangiare vai in un altro posto, non più in questa casa!”. Così chiuse la porta il signore e lui restò fuori a cercare qualcosa da mangiare, ma poi sentì qualche suono di qualche magia, era un foglio di carta scritto con delle cose da mangiare: “Se hai fame trovi a sinistra un ristorante”. E lui così andò. C’erano persone che ballavano, suonavano e lui entrò e vide tantissime pizze buone, così decise di prenderne una. Prese poi due pizze, uscì fuori e se le portò. Arrivò in seguito in un’altra casa, bussò alla porta, aprì un signore che disse: “ Chi sei? Cosa vuoi?” “Sono uno che ha delle pizze, posso mangiarle a casa tua?” “Ma che ci fai con queste pizze?” Lui pensò e disse: “Mi è venuta un’idea, una pizza la do a te e l’altra la mangio io” “Ma io ti conosco”, rispose il signore“, “ mi ricordo quando mi hai visto nella barca e mi hai chiesto un’indicazione”.

(Antonio a questo punto passò dalla terza alla prima persona)

Io risposi: “Quando? Ah si, si me lo ricordo, mi ricordo quando mi hai detto che in quel cartello c’era scritto dove trovare una casa”. Il signore rispose: “Ah si, si… me lo ricordo perfettissimamente”.  Ed io risposi: “Visto che ora te lo ricordi, prendi una pizza tu e l’altra me la mangio io”

Così, cercai di dargli quella pizza e quel signore disse però di no! Poi insistetti molto, però vinse il signore dicendo di no. Così poi il signore chiuse la porta. C’era un cane ed io risposi: “Tieni, la vuoi la pizza?” Ma il cane non la volle. Così poi me ne sono andato per conto mio. Vidi un cartellino, cercai di posare quella pizza vicino al cartellino, ma non la posai, allora posai l’altra pizza e me ne andai per trovare un’altra casa tranquilla. Così poi vidi da lontano un’altra casa e pensai:”Miiih che bella casa”, ma poi quando mi avvicinai ancora di più dissi: “Ma questa casa è vecchia”. Cercai di entrare e vidi per terra sporcizia e da lontano vidi un tavolo e vidi anche una scopa per pulire tutto. Poi quando presi la scopa vidi un gattino, io mi allontanai e dissi al gattino: “Esci fuori”, prima lo dissi in modo leggero, poi forte e così lui uscì fuori. Così presi la scopa e pulii tutto- tutto. La sporcizia la buttai in campagna.

Aggiustai tutte le cose. Poi, quando aggiustai tutte le cose, cercai di sedermi. Appena mi sedetti sulla sedia questa sedia si ruppe ed io caddi per terra. Poi mi rialzai, mi sedetti su un’altra sedia e non caddi più. Poi, mentre stavo aprendo la pizza, arrivò un pipistrello che si posò sul tavolo. Sentii un rumore che si stava mangiando la pizza. Lo guardai e dissi: “ Senti pipistrello vattene via!” Lui non ha voluto ascoltare e se la mangiò quasi tutta (la pizza). Cercai di levare il pipistrello dal tavolo. Lui stava continuando a mangiare la pizza. Io cercavo ancora di levarlo, e mi stava quasi per mordere la mano. Ma per la fortuna che aveva il pipistrello non riuscii a toglierlo. Provai per tante volte ma poi mi morse il dito. Io cercai di togliere il dito dalla sua bocca e alla fine ci provai per tante volte, alla fine tolsi il dito dalla sua bocca. Mi ricordai di dirgli in quel modo forte “Vai via!” E lui andò via. E mi è rimasta solo un poco di pizza, me la stavo quasi mangiando ma c’era un topolino e lo schiacciai via in modo forte con la pizza. Cercai qualcosa per pulire la pizza, (sporca dal topolino) la trovai, ma non era quella adatta, perché era un cartone. Ma poi da lontano vidi una pezza, presi una scala, salii e presi la pezza e pulii tutta la pizza. Scesi dalla scala, presi la scala e la posai e mi avvicinai a quella sedia che non era rotta, mi sedetti e me la mangiai››.

Se paragoniamo questo racconto a quelli che faceva nella fase inziale, quando il suo malessere interiore era notevole, i miglioramenti nella capacità di strutturare frasi e periodi coerenti e lineari risultano notevoli. Altrettanto notevoli sono anche le differenze che riguardano i contenuti, i quali, in questa fase, se pur fondamentalmente tristi e ricchi di disavventure, riescono lo stesso ad essere illuminati dalla speranza, dalla gioia e dal desiderio della condivisione e della relazione. 

Il significato di queste fasi.

Quale significato possiamo dare a queste fasi?

L’unico che riusciamo a individuare è quello di una graduale diminuzione delle angosce e delle paure che permettono ad Antonio una migliore gestione del suo mondo interiore.

Quando le sue angosce sono a livelli molto alti, sembra che egli abbia solo la possibilità di cercare di rimuovere e allontanare dalla sua mente le paure ed i pensieri terrifici utilizzando delle stereotipie che non abbiano alcun contenuto che li possa collegare a quelle paure ed a quei pensieri (Fase degli elenchi).

Quando l’ansia diminuisce per cui il suo Io riesce ad affrontare meglio le paure ed i pensieri terrifici, egli può utilizzare le stereotipie per mimare e dare corpo a queste paure ed a questi pensieri (Fase delle battaglie espresse verbalmente e fase dei racconti aggressivi e violenti). 

Nella Fase delle domande il bambino cerca di comprendere e dare un significato etico agli eventi aggressivi e violenti che turbano la sua psiche. Può, quindi, in questa fase, riuscire a distinguere i buoni dai cattivi. I primi meritano di essere aiutati e difesi, i secondi meritano la giusta punizione. Cosa che nella fase precedente non riusciva a fare.

Il bambino a questo punto, sempre utilizzando il terapeuta, può fare qualcosa di più e di meglio: può, insieme a lui, condividere aggressività e violenza come spesso fanno i bambini normali tra loro (Fase dei ricordi aggressivi e violenti da condividere).

Soltanto quando il suo mondo interiore è diventato molto più sereno e disteso egli può far partecipe il terapeuta anche dei giochi e delle immagini comiche (Fase dei giochi piacevoli da fare insieme e dei ricordi piacevoli da condividere).

Infine, nella Fase dei racconti, può immaginare di porsi come un attore e autore di storie da rappresentare in qualche film. Storie nelle quali traspaiono i suoi bisogni di un luogo protetto e sicuro (una casa), i suoi bisogni di affetto (il cibo) da ricevere ma anche, è questa è la cosa più interessante, da condividere con altri (Lui pensò e disse “Mi è venuta un’idea, una pizza la do a te e l’altra la mangio io”).

Osservazioni sulla psicoterapia di Antonio:

  1. La prima osservazione che possiamo fare sulla psicoterapia di Antonio è che ogni bambino, utilizzando la tecnica del “Gioco Libero Autogestito”, effettua un suo personale percorso. Alcuni bambini utilizzano, per instaurare una relazione con il terapeuta amico, soprattutto i giocattoli, altri amano costruire dei giochi con i materiali a loro disposizione, altri bambini ancora, imitando i compagni, invitano il terapeuta a partecipare alla loro raccolta di figurine, e così via. Antonio, invece, utilizzava soprattutto il linguaggio. Il pensare di inserire tutti i bambini in un percorso terapeutico da noi strutturato e programmato ci farebbe cadere sicuramente in una notevole mole di errori che questi bambini, data la loro estrema sensibilità, non sono in grado di accettare e tanto meno di perdonare
  2. La seconda osservazione riguarda, ancora una volta, il loro mondo interiore. In Antonio come in tutti gli altri bambini particolarmente disturbati, che però riescono a manifestare i loro pensieri ed il loro sentire, ritroviamo spesso un mondo interiore particolarmente angosciante nel quale le lotte, il sangue, la violenza la fanno da padroni. Per fortuna quando il terapeuta riesce ad essere a loro vicino con gioia, serenità, accettazione, senza mai porsi in modo critico o scandalizzato, si crea una relazione ricca di ascolto e pienamente libera, che permette a questi bambini una graduale, ma sostanziale e duratura diminuzione di queste tragiche emozioni e di questi dolorosi sentimenti.
  3. La terza osservazione riguarda il linguaggio. Quando questi bambini sono preda di grave ansia e notevole inquietudine interiore, com’era Antonio durante le prime sedute, il loro linguaggio non solo è ricco di elementi tragici, ma appare spezzato e, spesso, confuso e contraddittorio. Quando ritrovano o trovano per la prima volta, una discreta serenità interiore, il loro linguaggio migliora nettamente: il contenuto diventa più ricco e vario, i temi trattati sono molto meno drammatici e la strutturazione delle frasi e dei periodi diventa più concreta, lineare e molto meno confusa. E a questo punto emergono prepotentemente in modo chiaro i loro profondi bisogni di comunione e relazione affettiva.
  4. La quarta osservazione riguarda le stereotipie. Tutti i tipi di stereotipie tendono a diminuire fino a scomparire a mano a mano che il bambino acquista maggiore serenità e sicurezza.
  5. La quinta osservazione riguarda il massimo rispetto delle richieste del bambino. Antonio, ad esempio in alcuni periodi aveva chiesto di giocare da solo per qualche minuto. Ebbene l’abbiamo accontentato. Così come l’abbiamo accontentato quando dopo un lungo periodo nel quale a causa di problemi riguardanti la sua famiglia non aveva potuto effettuare la psicoterapia, poiché, forse, avvertiva del risentimento anche verso il terapeuta, come fosse colpevole di quella lunga interruzione, durante le prime sedute chiedeva di non essere guardato mentre giocava da solo con il computer. Anche in questo caso abbiamo accettato i suoi bisogni e desideri, per cui, dopo qualche tempo, la frase che ripeteva spesso in quel periodo: ‹‹Non mi guardare!›› è scomparsa.

N.B. Questa relazione è stata tratta da “Autismo e gioco libero autogestito” libro pubblicato nel 2013 dalla Franco Angeli. Attualmente abbiamo modificato il percorso terapeutico al fine di ottenere dei miglioramenti più rapidi, ma soprattutto più stabili nel tempo. A questo scopo non è più il terapeuta che segue il bambino ma sono i loro genitori, seguiti costantemente dal terapeuta, che instaurano con il loro figlio una piacevole e profonda relazione fatta di ascolto, empatia e piacevole gioco.  

 

 

 

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