Le paure nei bambini con disturbi autistici

Le paure nei bambini con disturbi autistici

 

 

 

Le paure e nelle forme più gravi, le fobie e il terrore che nascono dalla percezione, a volte reale, il più delle volte solo immaginaria, di una minaccia all’esistenza o all’integrità biologica, accompagnano quasi tutti i bambini normali. Queste emozioni, specie nella prima infanzia, sono frequenti e numerose a causa dell’immaturità e per la mancanza di esperienze nei riguardi del mondo che circonda i piccoli esseri umani. Sappiamo anche che le paure, sia per quantità sia per gravità, sono più evidenti e numerose nei minori che soffrono dei più svariati problemi psicologici: disturbi del comportamento, depressione, iperattività, disturbi del linguaggio, comportamenti oppositivi provocatori, mutismo selettivo e così via.

 

 

Quello che ci aspetteremmo, ed è quello che di fatto avviene, è che le paure fossero molto più numerose, gravi, costanti e limitanti proprio nei bambini con sintomi di autismo, la cui psiche è particolarmente disturbata. Così come per tutte le persone, anche nei soggetti che presentano queste problematiche, sono presenti molte paure specifiche, legate cioè a certi ambienti, oggetti, persone e animali, che hanno provocato loro delle esperienze negative; tuttavia sono molto più numerose le paure aspecifiche, che nascono da stimoli legati alla notevole ansia presente nel loro mondo interiore e alla loro scarsa maturità che impedisce di valutare correttamente gli eventi e le persone.

Nei bambini che presentano sintomi di autismo le paure o le fobie specifiche possono nascere da qualsiasi realtà: a volte basta un piccolo graffio sul braccio per scatenare in loro il terrore; altre volte un semplice suono, un rumore, una luce, una voce, uno sguardo, riescono a provocare angoscia nell’animo di questi bambini, molto sensibili e psicologicamente fragili e vulnerabili.

 

È difficile enumerare tutte le paure e le fobie presenti in loro.

La madre di un bambino con autismo ne elencava diverse: ‹‹Mio figlio ha paura dei rumori, del mare, di salire da solo le scale, dei giochi d’artificio, di uscire da solo, dei nuovi avvenimenti, delle feste dei compagnetti, dei giochi movimentati e rumorosi, della confusione››.

Sono invece alquanto diverse le paure di Federico, un adolescente di diciassette anni con sindrome di Asperger, che egli descriveva in questi termini:‹‹Ho paura della forte pioggia, dei passi che avverto a casa mia la notte. Ho paura delle tombe, delle bare, di Halloween, dei rumori forti, dei giochi pirotecnici, di camminare da solo nella strada perché qualcuno potrebbe seguirmi. Ho anche paura che i professori parlino male di me e delle grandi altezze››.

Ma si può avere paura come in De Rosa del proprio futuro, quando i genitori non l’avrebbero più potuto assistere. Lo stesso autore aveva anche il timore che la sua patologia potesse peggiorare, costringendolo ad affrontare una più grave forma di autismo.[1]

Anche il semplice contatto fisico, l’essere appena toccati o accarezzati, può essere motivo di grave timore. La Williams riferisce questo tipo di esperienze: ‹‹C’era sempre qualcosa di troppo soverchiante nel cedere al contatto fisico. Era la minaccia di perdere ogni senso di separazione tra me e l’altra persona. Come essere divorata e sommersa dall’onda di marea; la paura del contatto era simile alla paura della morte››. [2]

Nella stessa donna  erano presenti anche le paure dell’estraneo, che lei riusciva a limitare con un suo patologico stratagemma:

Oltre ai ciuffi il mio letto era completamente circondato e ingabbiato da piccoli punti che chiamavo stelle, come una specie di mistica bara di vetro. Ho imparato più tardi che sono in realtà particelle dell’aria, e tuttavia la mia vista era così ipersensibile che spesso essi divennero un primo piano ipnotico, mentre il resto del mondo si dissolveva nello sfondo. Guardando attraverso le stelle e non alle stelle, potevo vederli e la regola era che non potessi chiudere gli occhi, perché mi avrebbero lasciata indifesa dal potere degli intrusi che fossero entrati nella mia stanza. [3]

Le reazioni alle paure sono simili a quelle presenti nei soggetti normali, ma poiché nei bambini con sintomi di autismo sono molto più accentuate, questi cercano di evitare in tutti i modi quei luoghi, quelle situazioni, quegli animali e quelle persone, ritenute minacciose (evitamento dell’evento o dell’oggetto fobogeno). Per quanto riguarda i luoghi, i loro comportamenti sono molto diversi a seconda che si trovino al chiuso, insieme a molti altri compagni o all’aperto. Nel primo caso, ad esempio quando stanno in classe, la paura li può costringere a restare isolati in un angolino, riuscendo a conquistare tutto lo spazio dell’aula a volte dopo settimane o mesi. Gli stessi bambini, all’aperto, invece, si sentono più sicuri e liberi, per cui amano correre anche per lunghe distanze. Inoltre se trovano un luogo in cui si sentono a proprio agio, lo vogliono mantenere a qualunque costo e lo difendono dagli eventuali “intrusi”.[4]

Per quanto riguarda invece la reazione aggressiva nei confronti di una minaccia, a differenza dei bambini normali i quali reagiscono in base alla gravità di questa, quando la chiusura verso il mondo esterno è notevole, questi bambini riescono a isolare e sterilizzare le loro emozioni e reazioni, tanto da sembrare impermeabili a qualunque stimolo, anche il più pauroso e si mostrano ipotonici, aprassici e passivi.[5] Pertanto non reagiscono per nulla, oppure si limitano ad attuare soltanto dei comportamenti auto-aggressivi. Quando invece la condizione di autismo è minore, e pertanto pensano di avere la possibilità di opporsi in qualche modo alle persone che li mettono a disagio, che accentuano i loro timori o che li minacciano, le reazioni reattive e aggressive sono più facili e frequenti. In definitiva, solo quando questi bambini stanno meglio, per cui le persone accanto a loro hanno consistenza e realtà, possono sfogare verso di esse la rabbia presente nel loro animo. Questo comportamento spaventa a volte i genitori i quali si erano adattati a un bambino che si chiudeva e si isolava ma non manifestava alcuna aggressività e invece nel momento in cui il bambino sta meglio si ritrovano con un figlio più aperto e dialogante ma con più frequenti comportamenti reattivi.

La chiusura che questi bambini si sono autoimposti, spesso non permette loro di distinguere le paure vere, oggettive, da quelle false o soggettive. Il motivo va ricercato nella persistente condizione d’immaturità affettiva e cognitiva di questi minori, che non consente loro di distinguere ciò che proviene dall’esterno, da ciò che nasce dall’interno della loro mente, sotto forma di fantasie o anche dal loro corpo, sotto forma di sensazioni dolorose o fastidiose. Per tale motivo vi può essere una mancanza di paura per un pericolo reale e, viceversa, intenso timore di fronte a situazioni, persone od oggetti assolutamente innocui.

 

La Grandin così descrive le sue paure:

Circa trent’anni fa, quando mi muovevo nel mio mondo dei simboli visivi delle porte, presi coscienza del fatto che la paura era il principale fattore che mi motivava. All’epoca non mi rendevo conto che le altre persone sperimentavano anche altre emozioni importanti. Poiché la paura era la mia emozione principale, essa si riversava in tutti gli eventi che avessero un qualche significato emozionale. [6]

E ancora la stessa autrice scrive: ‹‹Con la pubertà, la paura divenne la mia principale emozione. Quando gli ormoni iniziarono ad attivarsi, tutta la mia vita prese a ruotare attorno al far in modo di evitare un attacco di panico››.[7]

De Clercq riporta una delle tante paure del figlio: il timore di affrontare qualcosa di imprevisto:

Per anni ho dovuto alzarmi di notte perché Thomas veniva da me chiedendo cosa avremmo mangiato per cena il giorno dopo. A volte, non c’era altro da fare che scendere in cantina nel cuore della notte, con Thomas in braccio, prendere un barattolo di zuppa e portarlo in camera sua. A quel punto metteva il barattolo sul comodino, lo guardava soddisfatto e diceva: “Adesso so che zuppa mangiamo domani”. E si addormentava tranquillo.

Ciò che causa ansia e paura nei bambini con autismo sono soprattutto l’imprevedibilità e l’incertezza. [8]

E ancora la stessa autrice:

Thomas ha sempre avuto molta paura dei cani. Da piccolo, la notte a volte si svegliava spaventato perché aveva sentito abbaiare. Una volta sveglio non riusciva più ad addormentarsi e le orecchie continuavano a “fargli male” per l’abbaiare dei cani.[9]

Per Franciosi:

Molti bambini con autismo assumono posizioni di evitamento alle richieste ambientali che sollecitano emozioni troppo forti, sia nella forma attiva (con modalità aggressive, di fuga) che passiva (con modalità di ritiro, di blocco). In particolari situazioni, quando ad esempio il bambino deve affrontare minimi cambiamenti, o in occorrenza di particolari stimolazioni sensoriali, le paure possono manifestarsi anche in modo drammatico.[10]

E De Rosa:

Gli autistici, quindi, vanno consolati e difesi dal terrore che il loro stesso autismo incute loro e non possiamo neanche immaginare, credo, il terrore che attanaglia quelli che non sono riusciti a intraprendere un cammino di parziale riabilitazione e sperimentano da anni l’impossibilità di uscire dalla prigione dell’incomprensibile. Non mi stupisce che alcuni di loro urlino di terrore al solo essere toccati.[11]

A sua volta Williams:

Più diventavo consapevole del mondo attorno a me e più mi spaventavo. Gli altri mi erano nemici, e una mano allungata verso di me era la loro arma, con qualche eccezione: i nonni, mio padre e mia zia Linda.[12]

E Morello:

Il tempo passava nel vuoto assoluto. La mia vita non aveva interessi. I giorni erano senza giochi. Avevo solo paura. Paura di muovermi, di prendere in mano un giocattolo, di essere assalito da un oggetto che cambiava posto.[13]

I soggetti con sintomi di autismo rappresentano le paure in modo terrifico ma anche con scarsa coerenza o strani e insoliti collegamenti.

Pietro, di otto anni, commentava con queste parole il disegno da lui fatto: ‹‹C’è tanta pioggia. Il bambino è tutto coperto di sangue perché c’è la pioggia. C’è il sole le nuvole e il temporale. La polizia gli ha sparato al bambino››. Figura 10.

 

 

La paura in questo caso è fatta di pioggia e sangue.

Un altro disegno dello stesso bambino era così commentato: ‹‹C’era un mostro che ha mangiato due bambini e sono morti›› Figura 11.

 

 

 La paura è rappresentata da un mostro che ha mangiato due bambini.

Le paure possono avere delle conseguenze notevoli e incidere pesantemente sulla vita relazionale e sociale di questi bambini, giacché tale tipo di emozioni, quando sono molto intense, li costringono a rifiutare ostinatamente di recarsi in certi luoghi o anche semplicemente di uscire di casa, di incontrare certe persone, di frequentare le attività scolastiche o sportive, di ingerire alcuni cibi, di partecipare alle feste familiari, alle cerimonie, di percorrere una via nella quale vi sono semplicemente delle mattonelle di colore diverso, e così via. Come conseguenza di ciò è spesso evidente nel volto di questi bambini una sofferenza interiore, che si può associare a dei continui lamentosi vocalizzi.

Il costringerli ad affrontare ciò che crea in loro paura o a frequentare persone o luoghi che li terrorizzano, con l’intento di “farli abituare”, non solo non migliora la loro condizione ma la peggiora. Solo se riusciamo a rendere più sereno e tranquillo il loro mondo interiore mediante dei comportamenti adeguati ai loro bisogni, le paure possono migliorare e anche sparire.

 
 
 


[1] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo,

[2] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 113.

[3] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 17.

[4] Brauner A., Brauner F. (1980, 2007), Vivere con un bambino autistico, Giunti, Firenze, pp. 66-67.

[5] Franciosi F. (2017), La regolazione emotiva nei disturbi dello spettro autistico, Pisa, Edizioni ETS, p. 21.

[6] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 103.

[7] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erikson, p. 97.

[8] De Clercq H. (2011), L’autismo da dentro, Trento, Erickson, p. 45.

[9] De Clercq H. (2011), L’autismo da dentro, Trento, Erickson, pp. 37-38.

[10] Franciosi F. (2017), La regolazione emotiva nei disturbi dello spettro autistico, Pisa, Edizioni ETS, pp. 20-21.

[11] De Rosa F. (2014), Quello che non ho mai detto, Cinisello Balsamo, San Paolo, p. 74.

[12] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 13.

[13] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 15.

 

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