Educazione del bambino disabile

Educazione del bambino disabile

 

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Quali sono i bisogni educativi di un bambino disabile?

A questa domanda chiara dobbiamo dare una risposta altrettanto chiara: i suoi bisogni fondamentali non sono per nulla diversi da quelli di un bambino con normali capacità.

Anche lui ha bisogno, infatti, di due genitori  che siano capaci di amarlo, ascoltarlo, confortarlo, rassicurarlo, incoraggiarlo ma anche, quando necessario,  sappiano dire di “no” o rimproverarlo, così come dovrebbe fare ogni adulto che si vuole porre come  guida sicura e autorevole per i suoi piccoli.

Anche lui, oltre che di genitori sereni ed equilibrati, ha bisogno per la sua normale crescita di altre figure parentali come i fratelli, i nonni, gli zii, i cuginetti e, successivamente, h

necessità di incontrare e di aprirsi ai coetanei e agli amici.

 

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Inoltre, come tutti i bambini, necessita di persone, con cui instaurare un legame affettivo, che sappiano stimolare il suo sviluppo globale mediante l’educazione di tutte le potenzialità umane: le capacità motorie insieme a quelle sociali; l’intelligenza e la sessualità; la libertà e la volontà insieme alle capacità di critica, di giudizio e di autocontrollo.

Per tale motivo è importante che anche l’ambiente  in cui vive sia aperto e ricco di stimoli, in modo tale che egli possa in esso muoversi liberamente operando delle scelte affettivamente valide. Capite che quanto abbiamo descritto è lontano mille miglia da quello che potrebbe essere il migliore degli istituti specializzati.

Perché qualunque istituto, anche il più ricco di personale altamente qualificato non può offrire che pallidi surrogati rispetto a quello che una normale, semplice famiglia, spontaneamente riesce a dare ai propri componenti.

Purtroppo ciò è stato compreso molto tardi sia dagli operatori che dalla società.

Ci sono volute infatti migliaia di tristi e spesso tragiche esperienze di bambini precocemente allontanati dal normale ambiente familiare e sociale, per capire che il danno da istituzionalizzazione rendeva praticamente nullo ogni miglioramento sul versante dell’handicap. I motivi sono diversi. Nelle istituzioni totalizzanti, per loro natura, e non per colpa degli operatori che spesso, pur lottando, non riescono a contrastarne la tendenza, si viene a stabilire un clima particolare.

 Rispetto a quello familiare spesso si evidenzia:

•    scarso rapporto individualizzato;

•    gravi carenze affettive e relazionali;

•    scarsa libertà;

•    scarso dialogo vero e profondo;

•    scarsi spazi personali;

•    scarsa attenzione ai bisogni e alle necessità individuali;

•    scarso rispetto per gli oggetti personali;

•    presenza di numerose e poco elastiche regole;

•    norme troppo rigidamente e ossessivamente applicate;

•    sfruttamento degli spazi tenendo conto delle esigenze del gruppo o dell’istituzione e non del singolo;

•    scarsa e variabile assunzione di un ruolo specifico di ogni singolo ospite all’interno dell’istituto;

•    frequente rischio che il paziente o il bambino diventino og-getti e non soggetti di diritto.

Oggi,  per fortuna,  buona parte degli istituti sono chiusi. Rimane però ancora  in noi operatori, la tendenza a sottovalutare le capacità  educative dei genitori dei bambini disabili  sopravvalutando le nostre; pertanto è come se trasmettessimo loro, un messaggio fuorviante, che è poi anche un messaggio fondamentalmente falso: “il vostro bambino è giusto che stia con voi, ma  egli ha problemi particolari che solo noi specialisti  possiamo comprendere. Per tale motivo la sua riabilitazione o stimolazione speciale deve essere affidata esclusivamente a noi che abbiamo  tecniche, metodologie e strumenti per fare questo.”

Come educare.

 

É necessario che l’adulto si ponga nei confronti del bambino disabile con un atteggiamento non apprensivo, ansioso o limitante ma in modo gioioso, dialogante, affettuoso, rispettoso delle sue esigenze psicologiche. É indispensabile, infatti, rispettare la fisiologia del bambino: la sua età mentale, la sua vita affettiva, i tempi di attenzione, la  faticabilità, il bisogno di  giochi di movimento e di gruppo da effettuare da solo o con i coetanei. Per quanto riguarda le tecniche e i materiali da utilizzare questi devono essere studiati, sperimentati e approntati dai tecnici (medici, pedagogisti, psicologi, riabilitatori),  l’attuazione può invece essere fatta dagli insegnanti, dai pedagogisti e dai riabilitatori, ma sarebbe augurabile che fosse affidata anche ai genitori, i quali, più di ogni altro, hanno potenzialità e caratteristiche indispensabili nel favorire un migliore apprendimento in quanto:

  • sono i soggetti che hanno maggiore interesse nei confronti del bambino, per cui garantiscono, se ben seguiti, una maggiore continuità e attenzione al programma da noi stabilito;

  • sono le persone che riescono ad avere, più di ogni altra, nei con-fronti del minore, quel legame affettivo che stimola la gratificazione,  l’apprendimento e la memorizzazione;

  • sono quelli che possono, meglio di altri, capire le esigenze del bambino e saperle soddisfare.

É necessario, però, che questi genitori siano costantemente seguiti mediante controlli periodici, ravvicinati nel tempo, in modo tale da verificare sistematicamente gli apprendimenti del minore, sostenendo e correggendo, quando occorre, la loro modalità di proporre tali apprendimenti. Il rapporto sistematico coi genitori servirà inoltre ad effettuare un training efficace che li aiuterà a capire il loro bambino così da potere intervenire nel modo più opportuno ed utile durante le fasi della sua crescita.

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