L'integrazione scolastica dei bambini con disturbi psicologici

L'integrazione scolastica dei bambini con disturbi psicologici

L'integrazione scolastica dei bambini con disturbi psicologici

 

La presenza nella scuola di bambini con problematiche psichiche è diventata sempre più frequente, sia a causa delle leggi sull’integrazione scolastica, sia per l’aumento reale dei disturbi psichici nell’età evolutiva. Quest’integrazione non è assolutamente semplice, per cui, se non è ben gestita, non solo non risolve le problematiche del bambino con problemi psicologici, ma rischia di aggravarli.

Per capire e saper affrontare tali problematiche è indispensabile considerare tutte le componenti in gioco: la scuola, gli insegnanti, gli alunni “normali” ed i loro familiari, il bambino con problematiche psicologiche, i suoi genitori e familiari.

La scuola

 

Per quanto riguarda la scuola questa istituzione ha numerose e varie esigenze da soddisfare, pena la sua inefficacia. Vi sono esigenze didattiche, educative, gestionali ed altre. Per tale motivo un bambino con problematiche psicologiche può comportare notevoli difficoltà ma, come tante esperienze pilota hanno dimostrato, l’integrazione di questi bambini può diventare una splendida sfida da affrontare e vincere. Pertanto, se questa integrazione è ben gestita, i risultati per l’alunno problematico, ma anche per la scuola nel suo complesso, possono essere considerevoli.

 

Gli insegnanti

Per quanto riguarda gli insegnanti questi sono spesso stretti da molteplici richieste ed esigenze che provengono da varie realtà: devono in qualche modo rendere conto ai responsabili della scuola, alle varie leggi e regolamenti, all’equipe scolastiche, ai genitori del bambino con problemi, nonché ai genitori degli altri bambini. Soprattutto gli insegnanti, poi devono rendere conto alla propria coscienza e al loro senso di responsabilità. Inoltre i docenti, oggi sempre più spesso, sono costretti a subire le minacce, più o meno esplicite, di procedimenti legali che possono provenire sia da parte dei genitori del bambino con problemi, sia da parte dei genitori dei bambini normali presenti nella classe. Le minacce possono riguardare anche l’essere esposti alla gogna mediatica. Gogna questa che, essendo sempre alla ricerca di audience, è pronta ad attivarsi immediatamente e facilmente, ogni qual volta, nell’ambito scolastico, vi siano dei problemi che possano interessare dei minori, specie se disabili. Tali accuse e minacce rischiano di diminuire la serenità dell’operato degli insegnanti e rendono ancora più difficile il loro lavoro e la gestione serena di questi bambini. È evidente che è particolarmente arduo riuscire a contemperare tutte queste esigenze, a volte contrapposte, specialmente quando è presente nella stessa classe più di un bambino con problemi.

Vi è poi la difficile collaborazione tra gli insegnanti curriculari e quelli di sostegno. I primi tendono a criticare, senza avere a volte un’esatta cognizione del problema, la cattiva gestione da parte degli insegnanti di sostegno del bambino disturbato. Cattiva gestione che, a loro dire, provocherebbe disagio nella classe. Gli insegnanti di sostegno, d’altra parte, è facile che si difendano dicendo che gli insegnanti curriculari focalizzano tutta la loro attenzione sugli alunni normali, trascurando o non adoperandosi efficacemente a favore dei bambini con disturbi psicoaffettivi.

 

I genitori e gli alunni “normali”

Non dovremmo scandalizzarci per il fatto che gli alunni normali, avvertendo la diversità dell’alunno con disturbi psichici, lo trattino in modo differente, rispetto ai loro coetanei esenti da tali problematiche. L’uomo è per sua natura molto sensibile a tutte le diversità, in quanto queste possono rappresentare un rischio e un pericolo da sfuggire o contrastare. Questi due comportamenti: di esclusione del diverso o di aggressività per il diverso, sono insiti nella specie umana. Compito dei genitori e degli educatori dovrebbe però essere quello di correggere e modellare questi comportamenti istintivi, per adeguarli ai valori dell’accoglienza, della fratellanza e dell’amore verso le persone più bisognose di aiuto. Purtroppo questo tipo di educazione e formazione, non sempre viene attuato. Anzi, a volte, gli adulti, non controllando loro stessi questi istintivi moti repulsivi, danno man forte ai loro figli, in quanto hanno un’irrazionale paura che il bambino diverso possa in qualche modo “infettare” i loro “pargoletti”!

I genitori dei bambini con problematiche psicologiche

Per quanto riguarda i genitori degli alunni con problematiche psicologiche, è frequente che questi accusino la scuola e gli insegnanti sia di classe sia di sostegno, per la scarsa attenzione prestata ai loro figli. Spesso le accuse sono di questo tipo: “Le maestre trascurano mio figlio e lo mettono da parte”. “Lo rimproverano continuamente ed eccessivamente”. “Non sanno capirlo, non sanno gestirlo”. “In un anno non ha imparato quasi nulla”. Ma poiché i genitori ed i familiari di questi bambini sono coscienti dei problemi che il loro figlio può dare alla classe dov’è inserito, il loro atteggiamento e comportamento è altalenante, sia nei confronti del figlio con problemi, sia nei confronti degli insegnanti e delle autorità scolastiche. In alcuni momenti ed in alcune occasioni essi appaiono disponibili e collaboranti, in altri momenti ed in altre occasioni, manifestano apertamente la loro irritazione, il loro rancore, se non la loro esplicita aggressività.

Per capire questi diversi atteggiamenti è necessario comprendere i vissuti interiori di questi genitori: essi sanno che il loro figlio crea problemi nella classe o anche nella scuola, in quanto ogni giorno nella loro casa ed in tante altre occasioni, si sono scontrati con questi problemi che non riescono, nonostante tutti i loro sforzi, a risolvere. Dall’altro, proprio perché consci delle loro difficoltà e dei loro limiti, sperano che persone più preparate, qualificate e con maggiore esperienza, possano affrontare meglio le problematiche dei loro figli. Confidano quindi nella scuola, in quanto istituzione che, più d’ogni altra, è costituita da persone specializzate nelle problematiche educative.

Nei confronti dei genitori dei bambini normali l’accusa più frequente, da parte di questi genitori, riguarda la mancanza di rispetto e di accettazione dei loro figli: “Gli altri bambini lo beffeggiano”. Oppure: “Gli altri compagnetti non lo vogliono accanto, non gli parlano neppure, lo ignorano completamente e i genitori di questi compagni non intervengono minimamente sui loro figli”.

I bambini con problematiche psicoaffettive

Se riflettiamo infine sui bambini con problemi psicologici, questi non sempre hanno le capacità di ben integrarsi nell’ambiente scolastico. E ciò per vari motivi:

  •  a causa delle loro scarse possibilità di attenzione è per loro difficile concentrarsi e ascoltare le spiegazioni degli insegnanti. Ciò li fa distrarre e, questa distrazione, a sua volta, comporta disturbo e disagio nella classe, nonché continui rimproveri nei loro confronti da parte degli insegnanti;
  •   il fatto di stare accanto ad altri bambini non implica automaticamente un miglioramento delle capacità di integrazione e socializzazione dei bambini con disturbi psicoaffettivi. Questa vicinanza può essere, in molti casi, addirittura controproducente, in quanto gli altri bambini, notando il loro diverso modo di relazionarsi, di interloquire, di comportarsi, di muoversi, di prestare attenzione, possono reagire emarginandoli dal gruppo o aggredendoli verbalmente e fisicamente. In alcuni casi, addirittura, questi bambini “diversi” sono fatti oggetto di reale mobbing. È evidente che in tutte queste situazioni l’immagine che questi minori hanno degli altri, del mondo e di se stessi peggiora notevolmente;
  •   la loro facile irritabilità può comportare notevoli frustrazioni, nel momento in cui non sono ben accolti dai coetanei o sono costretti a subire i rimproveri, i richiami o le punizioni dei docenti;
  •   alcuni bambini con disturbi psichici, poiché tendono a chiudersi in se stessi, estraniandosi dal mondo che li circonda, è come se non ascoltassero quanto avviene nella classe, e ciò impedisce loro quella sintonia indispensabile per l’apprendimento e per la socializzazione;
  •    inoltre, poiché questi alunni particolari spesso sono sconvolti dalle paure, dai conflitti, dall’ansia e dall’inquietudine, il loro interesse nei confronti delle materie curriculari può risultare minimo;
  •   infine, poiché alcuni bambini con disturbi psichici, soprattutto quelli che soffrono di instabilità psicomotoria, si stancano facilmente nel mantenere la stessa posizione e si muovono continuamente, attirano le ire degli insegnanti, a causa del disturbo che arrecano alla classe.
I possibili interventi

Poiché l’integrazione dei bambini con disturbi psicoaffettivi è particolarmente complessa, non può sicuramente essere delegata soltanto all’insegnante di sostegno. Accanto a questa figura, certamente basilare, devono prestare il loro impegno, il loro apporto e la loro collaborazione, molti altri professionisti e molte altre persone: il personale dei servizi di neuropsichiatria infantile presente nel territorio, gli insegnanti curriculari, i dirigenti scolastici, i genitori, i servizi sociali e di volontariato presenti nel quartiere e così via. È da tutte queste figure che potrà e dovrà nascere un progetto globale, fatto su misura per il minore e per il suo ambiente di vita. Pertanto, per poter raggiungere questo obiettivo, è indispensabile che tra tutti gli operatori si instauri un rapporto di reciproco aiuto e collaborazione.

In questo progetto globale dovranno di volta in volta essere indicati tutti i mezzi e le modalità migliori, atti a raggiungere gli obiettivi prefissati. Inoltre, poiché le più adatte strategie per i bambini con problemi psicoaffettivi potrebbero essere molto diverse rispetto a quelle utilizzate con i bambini normali, in molti casi sarà necessario eliminare gli usuali obiettivi e strategie presenti di solito nelle aule scolastiche.

Facciamo qualche esempio.

Oggi nelle scuole sono sempre più numerosi i bambini con disturbo generalizzato dello sviluppo. Questi bambini vivono quasi costantemente una realtà interiore gravemente disturbata, fatta di ansie, fobie e conflitti, con notevole sfiducia e rifiuto nei confronti degli altri e del mondo in generale. Questi particolari alunni, che hanno una notevole difficoltà ad integrarsi con i coetanei e gli adulti, in quanto chiusi nel loro mondo angoscioso, nel momento in cui i comportamenti degli altri non sono perfettamente confacenti ai loro bisogni e desideri, avvertono quelli come dei nemici, pronti ad effettuare ulteriori violenze nei loro confronti. Pertanto, un normale ambiente di classe nel quale l’insegnante spiega la lezione, interroga, chiede che ognuno faccia le sue brave esercitazioni sul quaderno e le verifiche alla lavagna, è per loro notevolmente traumatico, oltre che assolutamente incomprensibile e inutile. È necessario allora che la scuola, nei loro confronti, riesca a modificare sostanzialmente gli obiettivi: non l’apprendimento dei contenuti delle materie curriculari, ma una loro maggiore serenità interiore e una maggiore fiducia in se stessi e negli altri; non la classe che li spaventa perché troppo rumorosa e con un eccesso di stimoli, ma una stanza silenziosa e tranquilla, nella quale questi bambini possano giocare liberamente, relazionandosi soltanto con un insegnante notevolmente disponibile e con particolari qualità empatiche; non i normali libri di testo, assolutamente inutili per i loro bisogni, sempre diversi e inaspettati, ma molti giocattoli e materiali naturali, tra i quali questi bambini possano scegliere di volta in volta gli oggetti a loro più congeniali da utilizzare nei giochi che ritengono, in quel momento, più opportuni e vicini ai loro bisogni e interessi. Sarà necessario, inoltre, modificare i ruoli: non un’insegnante che guida il bambino nell’attività che ritiene più utile per lui, ma un’insegnante che partecipi con gioia e grande disponibilità all’attività o al gioco dal minore scelto in un determinato momento (gioco libero autogestito). Pertanto è evidente che il ruolo di questa insegnante dovrà essere totalmente diverso da quello utilizzato con i bambini normali: non una persona che insegna qualcosa ad un bambino che non sa, ma una persona amica che riesca a dimostrare verso di lui grande rispetto, disponibilità e notevole comprensione per le gravi problematiche delle quali egli soffre. Una persona amica capace di mettere in primo piano la qualità, la bontà e la profondità della relazione e non le attività didattiche. Una persona amica che impegni il suo affetto e la sua presenza allo scopo di dare serenità dove vi è ansia, certezze dove vi sono insicurezze, fiducia dove vi è sfiducia, speranze al posto delle delusioni[1] (Tribulato, 2013, p. 163).

Un altro esempio potrebbe riguardare i bambini particolarmente timidi e introversi. Poiché, anche se in modo meno drammatico rispetto ai bambini con disturbo generalizzato dello sviluppo, la visione che questi bambini hanno del mondo e degli altri è intrisa di timore, paure e insicurezze, gli insegnanti dovranno necessariamente tener conto della fragilità dell’animo di questi minori. Pertanto, fino a quando queste emozioni negative saranno presenti nel loro animo, gli insegnanti dovranno evitare di stimolare il bambino ad un’integrazione con tutto il gruppo dei coetanei, ma cercheranno di favorire un buon rapporto a due. Questo rapporto, da instaurare con un compagnetto o una compagnetta con la quale questi bambini potranno costruire una buona intesa, costituirà per loro come una base sicura dalla quale partire per conquistare, gradualmente, una buona crescita affettivo-relazionale. Ciò in quanto solo un rapporto a due intenso, pieno e ricco di dialogo e comprensione reciproca, può dare ai bambini timidi e introversi la possibilità di aprirsi a un’integrazione più ampia e più ricca, ma anche molto più complessa.

Per quanto riguarda i bambini con disturbo del comportamento, poiché per questi minori le caratteristiche degli insegnanti e le modalità con le quali questi si relazionano con loro sono molto importanti, è necessario che siano seguiti da docenti che sappiano coniugare gli atteggiamenti di autorevolezza con una grande disponibilità all’ascolto empatico. Per tale motivo, se il bambino è stato inserito in una classe nella quale con la maggior parte degli insegnanti e di alunni ha instaurato dei rapporti molto conflittuali e poco produttivi per lui e per i coetanei, bisognerebbe avere il coraggio e la determinazione di trasferirlo in un’altra classe, con altri insegnanti e altri compagni, in modo da iniziare ex novo rapporti più sereni e utili per la sua crescita sociale e relazionale. Per quanto riguarda il rapporto tra il personale della scuola e i genitori, è importante evitare di sommergere questi ultimi dei problemi che la patologia del figlio procura alla classe e alla scuola: “Mario oggi è stato particolarmente disubbidiente, aggressivo, poco collaborante, psicologicamente assente e indifferente alle attività didattiche e alle spiegazioni”. “Mario è sempre impreparato e la sua cartella è disordinatissima. Oggi, in classe, ha tanto disturbato che mi ha impedito di fare lezione”, e così via. Queste lamentele da parte degli insegnanti, poiché non possono essere ben gestite dai genitori del bambino con problemi, inevitabilmente comporteranno, da parte di questi ultimi, un maggior atteggiamento svalutativo e punitivo verso il figlio, con conseguente peggioramento della sua condizione psichica e, conseguentemente dei suoi comportamenti disturbanti. D’altra parte, è facile che le frasi che abbiamo riportato, o frasi simili, facciano emergere, nei genitori di questi bambini, atteggiamenti di aggressività e di rivalsa verso gli insegnanti e i responsabili dell’istituto scolastico, con impossibilità di instaurare una reale e proficua intesa e collaborazione.

Per tali motivi sarebbe bene che gli insegnanti e la scuola nel suo complesso riuscissero ad affrontare i problemi degli alunni con disturbi del comportamento, valorizzando e sottolineando agli occhi dei loro familiari le buone qualità e capacità dei loro figli, piuttosto che i loro limiti e difetti. Solo in un secondo momento, quando sarà stata creata una buona intesa tra la scuola e la famiglia, sarà possibile suggerire con molto tatto ai genitori, le migliori strategie con le quali questi potranno aiutare il loro figlio ad acquisire maggiore serenità ed equilibrio, indicando anche le più efficaci modalità e i migliori specialisti capaci di seguirlo e aiutarlo.

Per rendere credibile ai propri occhi e agli occhi dei genitori e dello stesso alunno questa immagine positiva, è però indispensabile riuscire ad avere un atteggiamento di fiducia, sia nella propria capacità di ottenere i risultati che ci si è proposti, sia nelle possibilità insite in ogni bambino di potersi ben relazionare con i coetanei e gli altri, nel momento in cui il suo animo ha acquisito maggiore serenità e gioia.

I genitori, a loro volta, dovranno comprendere e valorizzare la disponibilità, la capacità e la volontà da parte della scuola e dei docenti di operare per il bene del figlio. Conseguentemente è importante che gli stessi mettano in luce agli occhi del proprio bambino, queste capacità e disponibilità, così da aiutare lo stabilirsi di un buon legame di fiducia e affetto tra lui e i suoi docenti.



[1] Tribulato E., (2013), Autismo e gioco libero autogestito, Milano, Franco Angeli.

 

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