
01 Apr Aggressività e sfiducia negli altri e nel mondo
Aggressività e sfiducia negli altri e nel mondo
L’aggressività e le manifestazioni più eclatanti di questa emozione, che sono la rabbia e la collera, sono spesso presenti negli animali e nell’essere umano. Comportamenti aggressivi sono evidenti a tutte le età, anche se vi sono delle differenze che riguardano le cause che li provocano, la facilità e le modalità con le quali queste emozioni si manifestano.
Il bambino può evidenziare la sua aggressività mediante alcune attività motorie: mordendo, colpendo, schiaffeggiando, dando calci e pugni, lanciando sputi verso le persone, gli animali e gli oggetti, oppure scagliando oggetti sui muri o a terra. Se il minore ha la possibilità del linguaggio, l’aggressività può esprimersi verbalmente, anche mediante l’uso di parole e frasi che possono offendere, insultare o ferire chi gli sta di fronte. In alcuni casi il bambino ottiene lo stesso scopo ignorando, a volte per ore e giorni, la o le persone che vuole far soffrire. L’aggressività, oltre che verso gli altri (etero-aggressività) può rivolgersi anche verso sé stessi (auto-aggressività).
L’aggressività può essere fisiologica, quando viene avvertita o usata per difendere il proprio corpo, la propria vita, i propri diritti o i propri bisogni; può invece essere considerata patologica quando i sentimenti o le reazioni aggressive si presentano senza che vi sia alcun motivo apparente o quando le reazioni sono eccessive e fuor di luogo, rispetto ai comportamenti degli altri.
L’aggressività patologica può insorgere per varie cause: la più comune è legata alla sofferenza che il bambino ha subito in passato o subisce in quel determinato periodo della propria vita, per motivi vari: malattie, dolori fisici e soprattutto per cause psicologiche. Quest’ultimo tipo di sofferenza può nascere dalla presenza di un ambiente eccessivamente ansioso, depresso, teso, conflittuale, irritabile oppure affettivamente carente. In definitiva, insorge aggressività nell’animo del bambino ogni qualvolta il proprio ambiente di vita non è stato o non è consono ai suoi bisogni.
Questa emozione segnala, oltre all’interiore sofferenza, anche la necessità di rivalsa per le angosce subite, le quali sono momentaneamente alleviate, mediante atteggiamenti, parole e comportamenti aggressivi o distruttivi.
Esaminando la storia personale di Rocco, un bambino di sei anni, troviamo molti elementi che ci permettono di capire i motivi che lo hanno spinto a creare questi suoi racconti, tanto vivaci e interessanti quanto aggressivi e violenti.
I genitori del bambino litigavano spesso anche davanti ai figli. Il padre era poco presente nella sua vita a causa del lavoro. La madre, una donna molto ansiosa, continuamente preoccupata di tutto, sconvolta dalle proprie emozioni negative e dai continui conflitti con il marito e il figlio, non riusciva a gestire i numerosi disturbi psicologici del bambino: paura del buio, dei ladri, della possibile, improvvisa morte propria o dei genitori, alterazioni del sonno e somatizzazioni ansiose. A questi sintomi si associavano anche numerosi disturbi del comportamento. In questa situazione e in situazioni simili è facile che un bambino proietti sugli altri i propri impulsi aggressivi e violenti.
Rocco – Primo racconto
Buttare una pianta dal balcone è molto pericoloso!
C’era una volta un deficiente che si chiamava Gianmarco. Un giorno la madre gli ha detto: “Non buttare quella pianta se no t’ammazzo”. Lui, che era un deficiente, è andato in balcone e butta la pianta sotto. E pensa: “Ora mia mamma m’ammazza”. C’era un aeroplano e disse: “Ancora peggio perché la pianta può rompere l’aeroplano”. L’aeroplano si è schiantato nel palazzo, sono morte duemila persone. La madre disse: “È andata la casa a fuoco?”, e il bambino disse di sì. La madre l’ha buttato dalla finestra.
Rocco – Secondo racconto
Quanto è difficile andare in bagno!
C’era una volta Cristiano Bestia. Un giorno è voluto andare dalla maestra e gli ha chiesto: “Posso andare in bagno?” E la maestra gli dice: “No! Te lo scordi!” E poi Cristiano si fa la pipì addosso. Hanno dovuto chiamare i pompieri e gli hanno dato una mutanda dei pompieri. Stava scrivendo un compito di matematica e doveva fare 1+1; lui pensa quanto fa e scrive 1.000.
Così la maestra di matematica lo ha sbattuto fuori e gli ha rotto la testa. La maestra ha chiamato sua mamma e gli ha detto: “Lo scriva in un’altra scuola!” Sua mamma è grossa e a Cristiano gli ha dato una botta facendolo sbattere (fuori) dalla finestra. Sotto c’era un’autombulanza, l’hanno messo lì e ricoverato al Pronto Soccorso. Era tutto rotto, tranne il cuore. L’hanno dimesso sulla sedia a rotelle. È tornato a scuola e gli ha chiesto di nuovo alla maestra se poteva uscire e la maestra gli ha dato un altro schiaffo e l’hanno ricoverato di nuovo. Ritornato di nuovo a scuola con la sedia a rotelle ha chiesto di nuovo di uscire, l’hanno sbattuto al muro e alla fine muore.
Da notare nel disegno (figura 66), le due nuvolette che circondano le parole: quella del bambino che vorrebbe andare in bagno è rotondeggiante, per indicare il timore presente nel suo animo, mentre è costretto a fare la sua fisiologica richiesta; al contrario, il “NO!” della maestra è enorme ed è racchiuso in una nuvoletta con molte punte, ad indicare il tono irritato e gridato della voce.
Rocco – Terzo racconto
Stello di fronte al direttore
C’era una volta il mio compagno Stello. Una volta aveva fatto una scemenza stupida-stupida. Noi abbiamo un balcone a scuola. Lui ha fatto uscire la maestra, ha preso le piante e le ha buttate fuori. E la maestra lo ha rimproverato e mandato dal direttore. Una volta ha fatto lo stupido e la maestra ha chiamato la madre che lo stava “miscando” (picchiando). Lui è entrato come un cagnolino. Il direttore ha chiamato la mamma, che gli ha alzato le mani (gli ha dato botte) e lui è morto. Lo hanno sepolto a scuola e ai funerali hanno chiamato anche le autorità degli Stati Uniti.
Nel disegno (figura 67), dietro la grande scrivania, come fosse un tribunale con dei giudici implacabili, è presente, oltre al direttore, anche la manesca madre del bambino e la severa maestra. Il povero Stello, davanti a questi giudici, non ha scampo!
Stello – Quarto racconto
Stello al mare
C’era una volta Stello e sua madre, che erano andati al mare e poi Stello ha chiesto alla madre se poteva fare il bagno ed è annegato, perché non sapeva nuotare. Sua mamma lo ha chiamato: “Vieni qui, cretino!” E gli ha dato una timpulata (uno schiaffo), e così lui è morto nel mare. C’era il suo fantasma; sua mamma si è spaventata e gli ha dato un calcio. Lui è morto di nuovo e la cosa si è ripetuta tante volte.
Rocco – Quinto racconto
Un brutto incendio
C’era un ragazzo di nome Giacomo, di un anno. La mamma esce a fare la spesa, il bambino accende il fornello e incendia tutta la casa. Poi si arrampica al balcone e si butta giù, facendosi malissimo al cervello. Il pompiere arriva e dice: “Ma che cavolo fai?” Muore. Lo portano in chiesa e al cimitero. Poi il suo fantasma ripercorre la stessa storia per duecento volte e poi muore per sempre.
Anche in questo disegno (figura 69), il bambino evidenzia molto bene sia la tragicità della scena di Giacomo che si butta giù dal balcone, gridando: “Addio!”, sia l’aggressività presente da parte degli adulti, in questo caso del pompiere, che gli grida, adirato: “Ma che cavolo fai?”
I racconti di Rocco hanno delle caratteristiche comuni:
- i suoi personaggi sono tutti dei bambini, definiti come peggio non si potrebbe: Rocco dà a Cristiano il soprannome di “Bestia” e “Scemo”; la madre di Stello chiama il figlio “cretino”; l’altro compagno, Giacomo, non viene definito in maniera particolare ma il fatto che abbia incendiato la sua casa lo definisce da solo.
- Ogni personaggio dei suoi racconti si scontra con gli adulti: Cristiano con la maestra che non gli permette di andare in bagno e lo costringe a farsi la pipì addosso (“Posso andare in bagno?” E la maestra gli dice: “No! Te lo scordi!” E poi Cristiano si fa la pipì addosso). Stello deve fare i conti con la maestra, con il direttore della scuola e con la madre, che lo uccide con le sue botte.
- Non vi è alcun segno di pietà nei confronti dei minori. Questi sono trattati come peggio non si potrebbe. È come se, in ogni caso, meritassero gli insulti, i rifiuti alle loro richieste, le botte e anche la morte. Anzi, l’autore del racconto è come se godesse delle disavventure di questi suoi compagni.
- Tutti gli adulti: la madre, l’insegnante, il direttore, il pompiere, non sono mai sotto accusa. Sotto accusa sono sempre gli stessi bambini, cioè le vittime, poiché, come a volte avviene, il bambino ha introiettato l’aggressività degli adulti e l’ha fatta propria.
- Da notare, infine, come i disegni che accompagnano i racconti, riescano molto bene a far capire le emozioni dei vari personaggi presenti nella scena. Ciò dimostra le buone capacità intellettive del bambino.
Figura 70
Daniela – Primo racconto
La città della rabbia
C’era una volta una città chiamata “rabbia”. Si chiamava così perché tutti non smettevano di litigare. Un giorno una bambina di nome “Fiorella” andò con sua madre, la signora Gelfa, in un negozio chiamato “Fiocchi e Fiocchetti” e si comprò un bel “Fiocco Arcobaleno”. Quando un’altra bambina lo vide, velocemente iniziò a tirarlo verso di lei, perché lo voleva avere. E così il fiocco si strappò. La bambina che lo aveva comprato lo prese per ripararlo. Quello era il fiocco dell’amore che aveva mandato Gesù, per fare in modo di cambiare la città della rabbia in una città in cui tutti erano buoni. Quel fiocco poi si riparò da solo e parlò dicendo alla bambina se lo poteva portare al “Parco della rabbia”. La bambina lo portò e lo alzò. Il fiocco dicendo queste parole trasformò la città in buona “Allàcazam, amore che sia, in tutta la città si disperda e ancora via!”.
La città diventò buona e gentile e la bambina poté mettere il fiocco magico.
Ma dopo passati tre giorni il fiocco disse alla bambina che doveva andare nelle altre città cattive, per farle diventare buone. La bambina capì che anche le altre città avevano bisogno. Così lo lasciò andare, salutandolo. Significato (suggerito dalla stessa Daniela): la bambina ha capito che doveva condividere la bontà con gli altri.
Daniela, una bambina di sei anni, crea questo racconto nel quale la protagonista, Fiorella, distribuisce nella sua città bontà e amore, utilizzando il Fiocco Arcobaleno (Quello era il fiocco dell’amore che aveva mandato Gesù per fare in modo di cambiare la città della rabbia in una città in cui tutti erano buoni).
Ma cosa ha stimolato questa bambina a costruire questo racconto?
Per comprendere le motivazioni che stanno dietro alle parole di Daniela è necessario conoscere la sua storia e le emozioni che viveva in quel periodo della sua vita.
La bambina era venuta alla nostra osservazione a causa della presenza di una serie di sintomi iniziati molto precocemente. Già al terzo mese di vita presentava disturbi alimentari ai quali, dopo i quattro anni, si erano aggiunti paure, difetti di pronuncia, disturbi del sonno, somatizzazioni ansiose, scatti improvvisi d’ira, che manifestava sia a scuola sia a casa, eccessiva emotività e intensi contrasti con i suoi genitori. Erano, inoltre, presenti numerosi disturbi della condotta, con litigiosità, suscettibilità, facile perdita del controllo, atteggiamenti provocatori, ostili e, a volte, comportamenti oppositivi.
È solo da questa sofferente storia che si può comprendere il suo bisogno di pace e amore che, fin da quando lei era piccola, non riusciva a trovare dentro di sé.
Daniela – Secondo racconto
Un folletto sempre arrabbiato
C’era una volta un folletto di nome “Il piccolo Giovanni”. Giovanni era sempre arrabbiato e faceva il broncio: non voleva fare niente e neanche i compiti. Nessuno sapeva perché era arrabbiato. Ma un giorno il bambino rivelò il suo grande segreto e disse che lui era sempre solo e voleva qualcuno per compagnia. Così si trasferirono dove c’erano la cugina e la nonna. Ma ciò non gli bastava. Così delle volte gli dissero che avrebbero invitato i suoi compagni per il suo compleanno e onomastico, e qualche festicciola per giocare insieme. Da quel giorno Giovannino fu il bambino più felice della terra.
Daniela proietta su Giovanni, il personaggio del racconto, la sua rabbia, il suo scontento che, a suo giudizio, erano causati da un intenso bisogno di compagnia (Ma un giorno il bambino rivelò il suo grande segreto e disse che lui era sempre solo e voleva qualcuno per compagnia). Per fortuna, il fatto che i genitori abbiano compreso, con l’aiuto del terapeuta, queste e altre sue necessità e si siano attivati per soddisfarle, migliora nettamente la sua vita interiore (Da quel giorno Giovannino fu il bambino più felice della terra).
Giliberto, figlio di genitori che si erano separati quando il bambino aveva appena un anno, era vissuto alternativamente con i nonni, con la madre e con il padre. Molti erano stati e lo erano ancora, i contrasti di chi aveva avuto cura di lui, sul modo di gestire l’educazione del bambino.
Bullismo e ricerca di aiuto
C’era una volta un bambino di nome Luigi. Questo bambino aveva dei problemi a essere il più bravo della classe. Allora lui voleva impegnarsi, ma dei ragazzi non glielo permettevano, perché lo trascinavano a fare cose brutte. Allora un giorno Luigi si stancò e cercò di rimediare, però non sapeva come aiutarsi. Un giorno, alla fine della scuola, Luigi si affacciò alla finestra della sua casa e pensò di farsi dare una mano da un vicino di nome Fred.
Allora usci di casa e cercò di avvicinarsi alla porta di Fred. Luigi era fortunato, perché Fred era una persona che aveva vinto le Olimpiadi ed era importante. Luigi suonò il campanello e gli aprì Fred, il quale gli chiese cosa voleva. Luigi voleva una mano per evitare di fare monellerie.
Il giorno seguente la mamma di Luigi se ne andò e chiese a Fred di accompagnarlo a scuola. Una volta arrivato a scuola Luigi salutò a Fred e andò in cortile. Tutti i suoi compagni l’aspettavano fuori. Lui scappò e tutti lo inseguivano per atti di bullismo, però lui organizzò delle trappole che conosceva sul retro della scuola.
Corse più veloce che poteva e andò sul retro. I ragazzi della classe erano pochi (nove in tutto); cascarono nelle trappole. Rimaneva un ultimo, che era il più pericoloso, allora cercò di scappare e recarsi dentro la scuola. Questo ragazzo aprì tutte le porte delle classi, allora Luigi andò dalla preside e fece un segno a questo ragazzo, e a pochi metri Luigi si scansò e il ragazzo cattivo andò a sbattere.
In questo caso l’aggressività è perpetrata dai coetanei, i quali coinvolgono nelle loro malefatte anche lo stesso bambino. Questi, per sfuggire da questa grave situazione, chiede aiuto a un amico molto importante: Fred (Luigi era fortunato, perché Fred era una persona che aveva vinto le Olimpiadi ed era importante). Egli cerca e ottiene un successivo aiuto dalla massima autorità della stessa scuola che lui frequentava: la preside. Infine, per combattere e lottare contro le prepotenze dei suoi compagni fa affidamento alla sua forza di volontà, alla sua furbizia e alle sue capacità atletiche.
Lupi travestiti d’agnelli
C’era una volta un lupo che passeggiava e in giro c’era un agnellino. Questo lupo si nascondeva e diceva all’agnellino: “Sei carino e bellino e da mangiare!” L’agnellino, impaurito, va dai genitori che poi vanno a chiedere spiegazioni al lupo: lui risponde che non è vero che voleva mangiarlo.
Il lupo esce dalla tana, va dall’agnellino e gli dice: “Hai detto ai tuoi genitori che ti voglio mangiare?” “Sì dice l’agnellino”. Poi arriva il cucciolo del lupo e dice al padre che non può mangiare l’agnellino, perché sennò i genitori dell’agnellino lo cercheranno. Così il lupo grande non lo mangia. Così gli dice il lupo piccolo: “L’agnellino è mio amico, se voglio te lo faccio mangiare”. Una sera spunta il lupo, l’agnellino era con i genitori. Il lupo saluta i genitori e loro ricambiano. I genitori volevano sapere come mai lui non avesse mangiato l’agnellino, perché i genitori erano anch’essi dei lupi travestiti da agnelli. Alla fine, si sono tolti i travestimenti e hanno mangiato tutti l’agnellino.
Questo è forse il racconto più truce e pessimista che abbiamo raccolto dai bambini che abbiamo seguito nel tempo. Le parole più frequenti di Tonino sono: “lupi, mangiare, agnellino”. Queste tre parole colorano di notevole, incredibile violenza e angoscia tutta la storia.
Se esaminiamo il comportamento dei vari personaggi ci accorgiamo che questi hanno sistematicamente degli atteggiamenti ambigui: a volte sembra vogliano proteggere la piccola, fragile vittima mentre, in altri momenti, la tradiscono o sono ansiosi di aggredirla, sbranarla o farla sbranare.
In Tonino pertanto troviamo, insieme alla paura della violenza estrema da parte di chi lo circonda, l’assenza di ogni speranza e di ogni fiducia negli altri, anche nei cosiddetti “amici”, che per il bambino sono pronti in ogni momento a tradirti. Infatti, il lupacchiotto che sembra proteggere in un primo momento l’agnellino (Poi arriva il cucciolo del lupo e dice al padre che non può mangiare l’agnellino perché sennò i genitori dell’agnellino lo cercheranno), un momento dopo è pronto a darlo in pasto alle fauci del “lupo grande” (L’agnellino è mio amico, se voglio te lo faccio mangiare). Questa sfiducia si allarga, in un terribile, angoscioso crescendo, anche ai propri genitori! (perché i genitori erano anch’essi dei lupi travestiti da agnelli. Alla fine, si sono tolti i travestimenti e hanno mangiato tutti l’agnellino).
Tutto ciò rispecchia le realtà interiori di alcuni bambini i quali, in seguito ai comportamenti di chi dovrebbe aver cura di loro, perdono ogni punto di riferimento affettivo e ogni sicurezza e fiducia nei confronti dell’ambiente che li circonda.
Giuseppe – Primo racconto
Rabbia e bontà
C’era una volta un drago che viveva in una grotta, poi è venuto il re e voleva ammazzarlo. Il drago gli ha sputato fuoco ed il re è morto ed il drago se n’è scappato. Il drago, dalla rabbia, ha incendiato la città. Sono morti tutti e lui ha conquistato la città. Dopo ha fatto venti figli ed erano come lui: uno era buono e tutti gli altri erano cattivi. Quelli cattivi incendiavano la città. Quello buono ha aiutato gli abitanti a combattere contro i suoi fratelli. Ha vinto il buono e poi è diventato il drago domestico del re.
In questo racconto il protagonista è un drago che uccide il re. L’aggressività verso questo personaggio fa pensare alla rabbia, presente in Giuseppe, verso le persone che avevano ruoli autorevoli, come gli insegnanti, dei quali aveva paura o il padre, il quale, dopo la sua nascita, era stato sempre assente nella sua vita.
Nella seconda parte del racconto ricompare stranamente il re, che doveva essere morto. Compare anche il drago, che aveva ucciso il re, il quale mette al mondo venti figli, dei quali uno solo è buono, mentre tutti gli altri sono cattivi e amano incendiare tutto ciò che incontrano e che è attorno a loro (la città).
In questa seconda parte il bambino fa di tutto per far prevalere la parte buona di sé, che è nettamente più fragile rispetto a quella aggressiva ma che ora, essendo la sua condizione psichica migliorata, è capace di eliminare le componenti violenti del suo Io, così da potersi legare affettuosamente con le persone autorevoli che sono a lui vicine.
Nei racconti dei bambini assistiamo spesso a delle incongruenze che ci meravigliano: come il descrivere un personaggio che era cattivo e poi diventa buono e viceversa; oppure un personaggio che muore, ma poi, senza alcuna spiegazione, ritorna in vita e continua a essere protagonista del racconto. Queste incongruenze sono dovute all’influenza presente nella loro mente di rilevanti e intense pulsioni emotive, spesso contrastanti tra loro, che sconvolgono il normale e lineare corso del pensiero logico. Di solito le incongruenze sono tanto più numerose quanto più invalidante e grave è la patologia psichica del minore.
Un’altra notazione dobbiamo fare su questo tipo di personaggi: i draghi o i grandi animali preistorici. Molti bambini con problemi, soprattutto se sono maschi, hanno un grande interesse e curiosità nei confronti di questi fantastici ed enormi animali, tanto che conoscono molto bene non solo i loro nomi ma anche le loro abitudini e caratteristiche. Questo interesse nasce dal fatto che questi enormi e feroci animali rappresentano molto bene l’immensa rabbia che spesso cova dentro il loro animo. Rabbia nei riguardi di chi li irride; rabbia nei confronti dei genitori e familiari dai quali non si sentono compresi nei loro bisogni essenziali; rabbia verso sé stessi, perché non riescono ad essere e a comportarsi come vorrebbero e come viene richiesto dagli adulti e dall’ambiente sociale.
Identificarsi con questi enormi, mostruosi animali significa anche identificarsi con qualcosa di molto grande, mentre loro sono affettivamente ed emotivamente molto piccoli. Allo stesso modo identificarsi con la forza e con la ferocia di questi animali, significa riuscire a combattere e vincere il mondo, giudicato come cattivo, perché incapace di soddisfare i loro bisogni essenziali.
Giuseppe – Secondo racconto
Contenere l’aggressività del drago barbuto
C’era una volta un bambino che si era comprato un drago barbuto. Il bambino si chiamava Roberto, il drago, Fuoco. Lui lo curava e stava sempre vicino a lui, quando giocava alla playstation. Un giorno il drago si fa grande e immenso e spacca la casa. Allora si decide di legare il drago. Poi vengono i carabinieri che lo vogliono prendere. Così scappano con tutta la famiglia, si costruiscono una casa molto più grande. La famiglia era composta da: mamma, papà, nonni e zii. Vissero felici e contenti.
In questo racconto lo stesso bambino, Roberto, con il miglioramento della sua patologia psichica, riesce a comprendere che è necessario riuscire a contenere l’aggressività verso gli altri e verso il mondo, quando questa diventa eccessiva, tanto da rischiare di distruggere la famiglia nella quale si vive (Un giorno il drago si fa grande e immenso e spacca la casa. Allora si decide di legare il drago).
Solo in quel momento egli avverte che la feroce aggressività, rappresentata dal drago, non è eticamente accettabile, tanto che ciò comporta una sanzione (Poi vengono i carabinieri che lo vogliono prendere). Prima della nota finale vi è la descrizione non della sua famiglia reale ma di quella desiderata. Egli vi aggiunge, infatti, la figura del padre che, invece, nella realtà, non era mai stato presente nella sua vita, in quanto aveva abbandonato la moglie e il figlioletto poco dopo la nascita di questi.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato: “I bambini raccontano – Interpretazione dei
racconti infantili”.
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