
03 Apr L’aggressività nel bambino con Disturbo Autistico
L’aggressività nel bambino con Disturbo Autistico
Fin dai primi mesi di vita il bambino ha, nei confronti del mondo esterno e quindi della madre, del padre e degli altri familiari, un doppio atteggiamento: da un parte vi è amore quando essi lo sanno capire, accettare, consolare, difendere o quando manifestano rispetto, affetto, stima, considerazione e attenzione verso di lui, dall’altra egli avverte e manifesta rabbia, risentimento e odio e, quindi, comportamenti aggressivi, quando la madre, il padre e l’ambiente attorno a lui non comprendono o non soddisfano i suoi bisogni; quando non gratificano i suoi comportamenti; quando nell’educazione prevale un eccessivo rigore, piuttosto che l’amore ed il rispetto; quando in chi lo circonda il sorriso ed il gioco sono scarsi, mentre prevalgono ansie e tristezze.
Il bambino aggredisce, quindi, in quanto ha sofferto o soffre di eccessive limitazioni o frustrazioni, nei suoi bisogni essenziali. Poiché il bambino frustrato prova sofferenza ma anche ansia, sentimenti di inferiorità e paure, queste emozioni e questi sentimenti vengono alleviati, ma solo momentaneamente, mediante l’espressione dell’aggressività. Il distruggere, ad esempio a scuola, ciò che è caro agli altri bambini, strappando i loro quaderni, rompendo le loro matite, scagliando su di loro le gomme, offre un momentaneo sollievo all’angoscia interiore del minore. Abbiamo detto momentaneamente in quanto, questo tipo di manifestazioni, innesca un circolo vizioso fatto di rimproveri, allontanamenti dalla classe e dalla scuola, punizioni, manifestazioni di disistima che, a loro volta, accentuano il malessere del bambino e quindi, di conseguenza, i suoi comportamenti aggressivi e distruttivi.
Rabbia, risentimento e aggressività, il bambino può manifestare, inoltre, quando è costretto a vivere in un clima frequentemente conflittuale. Quando cioè è costretto a vivere in un ambiente nel quale prevale la tensione rispetto alla serenità, la discordia rispetto alla concordia, l’insofferenza rispetto all’accettazione, la disistima rispetto alla stima reciproca.
In questi ed in tanti altri casi nei quali l’ambiente di vita del bambino non è consono ai suoi bisogni, le manifestazioni aggressive segnalano un’interiore sofferenza ma anche la necessità di rivalsa e vendetta per le angosce subite.
L’aggressività nel Disturbo Autistico
L’assassino delle bambole
Il bambino da cui appresi qualcosa di più sulle cause dell’aggressività presente nei bambini con Disturbo Autistico fu Dario.
Fui contattato da un gruppo di signore volontarie di alto livello sociale e culturale le quali, dopo aver visitato il brefotrofio delle nostra cittè, ne erano rimaste sconvolte per quanto avevano visto e udito, in quelle grandi ed anonime sale, nelle quali venivano raccolti più che accolti, centinaia di bambine e bambini senza genitori o da questi abbandonati. Queste signore, spinte dal sacro fuoco dell’impegno sociale, si erano volontariamente dedicate a cercare di smantellare quella triste istituzione, facendo adottare tutti i bambini e le bambine, così da chiudere definitivamente quel luogo, giustamente ritenuto non adatto allo sviluppo dei minori. Le brave e impegnate signore e professioniste avevano, quindi, un unico, grande scopo: dare a ognuno di questi bambini una casa e una famiglia.
Per fare ciò bisognava, però, superare problemi notevolmente ardui, il più importante dei quali era quello di accogliere uno ad uno questi bambini nelle loro case, così da educarli a compiere i normali gesti di vita quotidiana: camminare in piedi e non a quattro gambe com’erano abituati a fare, andare in bagno da soli, piuttosto che farsi addosso i loro bisognini; mangiare se non con coltello e forchetta almeno con un cucchiaio e non con le mani; evitare di distruggere la casa dove sarebbero andati ad abitare; cominciare a pronunciare almeno qualche parola, così da gratificare i nuovi genitori e così via. Insomma il primo e principale scopo era quello di curare le loro ferite psichiche ed educarli ad un minimo di vita sociale. E dopo, e soltanto dopo, affidarli e poi farli adottare da qualche famiglia della città e della provincia.
Questo progetto molto ambizioso, che per la verità ebbe successo, per cui il brefotrofio fu chiuso definitivamente, sembrava superiore alle loro e alle mie forze, in quanto si trattava di curare, educare e rieducare bambini che presentavano, chi più chi meno, gravi conseguenze psichiche, causate sia dalle carenze affettive, sia dai traumi sub?ti nelle famiglie d’origine e durante il periodo più o meno lungo trascorso in istituto. Ognuno di loro presentava buona parte dei sintomi così ben descritti nei manuali di neuropsichiatria infantile: sintomi regressivi, autismo, psicosi infantili, depressione, disturbi del comportamento, tic, paure angoscianti, enuresi, encopresi ecc..
Ero, anche molto perplesso nell’offrire la mia collaborazione in quanto mi sentivo, nei confronti dei futuri genitori, come quel venditore di auto usate il quale, dopo aver riverniciato e ben lucidato la carrozzeria di una macchina, che prima si presentava in condizioni pietose, la propone ai possibili acquirenti, senza dir loro dei gravi problemi che la stessa ha nel motore, nelle sospensioni e negli altri organi interni.
Ma poiché di questi rapporti con i futuri genitori si occupavano le solerti signore, accettai di aiutarle in questa nobile causa, spinto dalle loro stesse motivazioni: il bisogno di dare un minimo di speranza e di futuro a tutti quei bambini.
Il primo bambino da ripulire dalle ferite e dalle incrostazioni che la vita gli aveva procurato così da renderlo presentabile ai futuri genitori, fu proprio Dario, che aveva allora sei anni.
I problemi presentati da questo bambino, dai capelli bruni e dagli occhi spenti, erano molto gravi: non sapeva parlare ma emetteva soltanto dei gridolini, mangiava gli spaghetti mordicchiandoli e succhiandoli dal basso in alto, mentre li teneva nelle mani, non sapeva cosa fare della carta igienica, se non tirarla correndo per tutta la casa ma, soprattutto, manifestava gravi problemi di instabilità e disturbi del comportamento: sputava a terra e alle persone quando ne aveva voglia e quando era arrabbiato. Inoltre, tendeva a camminare nell’appartamento della signora che l’aveva accolto momentaneamente nella sua casa, colpendo tutto quello che incontrava, così da buttare a terra ninnoli e vasi come fossero birilli. Insomma era un bambino assolutamente incontenibile e ingestibile.
Quando fu portato alla mia osservazione egli, a differenza di altri bambini presenti nell’istituto che ancora andavano carponi, sapeva, per fortuna, ben camminare e muoversi speditamente. Per tale motivo, andando in giro nell’ambito della mia casa, mentre io parlavo con l’anziana volontaria che l’ospitava, aveva trovato una bambola delle mie figlie che portò nel mio studio, tenendola per una gamba, così da sballottarla e strattonarla a destra e a manca, come volesse spezzarla in due. Ignorai il suo modo di fare fino a quando lo spettacolo diventò ancora più cruento. Avendo trovato sulla mia scrivania un bel tagliacarte di lucido ottone con il manico di pelle, regalatomi in occasione della mia laurea, pensò bene di mettere sul lettino da visita la bambola sottratta, per poi con metodo, ma anche con estrema violenza, colpirla sulla faccia e sull’addome con il suddetto tagliacarte, utilizzato a mo’ di lucido pugnale dorato, mentre nel contempo lanciava grida di sadica gioia.
La signora volontaria che era con me, vedendo balenare il pugnale dorato nelle mani del piccolo si alzò, atterrita, con l’intento di bloccare quel giovanissimo assassino di povere, inermi, bambole. Riuscii però a fermarla in tempo così da permettere a Dario di continuare nella sua azione aggressiva. Anzi, feci ancora di più e di meglio: andai nella stanza delle mie figlie e presi le bambole più malandate che a loro non interessavano più, e gliele porsi, cosicché potesse sfogare i suoi sentimenti di aggressività e distruttività che erano stati troppo a lungo repressi.
Qualche giorno dopo quel truce episodio, la gentile signora che l’aveva in casa, mi riferì che Dario appariva molto più calmo. Non solo non distruggeva più nulla al suo passaggio, ma la sera stessa che era venuto da me, per la prima volta da quando era ospite nella sua casa, si era accoccolato su di lei, accettando anche il bacio della buona notte.
Dall’esperienza con Dario imparai che la sofferenza subita dagli esseri umani si trasforma spesso, nei bambini con Disturbo Autistico, e non solo in questi, in aggressività verso tutto e tutti ma, soprattutto, verso gli altri esseri umani o verso degli oggetti, come le bambole, che rappresentano degli esseri umani. Ed imparai anche che a nulla vale reprimere quest’aggressività che va invece, mediante l’utilizzo del Gioco Libero Autogestito, liberata ed espressa fino in fondo.
L’aggressività si può manifestare in vari modi: ignorando l’altro, attuando, immaginando o minacciando comportamenti aggressivi e distruttivi verso gli altri o verso se stessi.
Un bambino con sindrome autistica ad alto funzionamento: Dario, di anni quattro, per punire la madre la quale non aveva comprato le bolle di sapone nel momento in cui lui le aveva richieste, ha avuto una crisi durante la quale, oltre a buttarsi a terra in mezzo alla strada, ha inveito contro la madre con una serie di parolacce e l’ha minacciata di farsi la pipì addosso. Cosa che ha veramente fatto, ma non subito. Infatti arrivato a casa, si è recato nel bagno e ha urinato per terra mostrandosi soddisfatto per la sua bravata.
Questo bambino, che manifestava la sua aggressività soprattutto verso la madre, quando questa non era presente o cercava di ignorare i suoi comportamenti non idonei, indirizzava i suoi atti aggressivi, quasi in modo sadico, verso il fratellino, appropriandosi delle sue cose, così da picchiarlo quando il piccolino non gliele consegnava immediatamente, oppure, ancora peggio, dava al piccolo un giocattolo, per poi toglierglielo subito dopo, così da farlo piangere.
Ancora più drammatici sono i comportamenti di auto – aggressività nei quali il bambino colpisce con la testa il muro, si dà pugni o schiaffi sul viso, si morde la lingua o le dita, si graffia le braccia e le gambe. In questi casi è difficile restare indifferenti. è difficile non provare come una stretta al cuore. Non vi è, infatti, qualcuno o qualcosa che fa del male al bambino, ma è lui stesso che si auto infligge sofferenza, dolore e, a volte, anche mutilazioni. Come dice AJURIAGUERRA J. “Il soggetto assiste ai suoi atti in modo più o meno indifferente, mentre l’ambiente circostante è preso dal panico e dallo stupore poiché questi atti dovrebbero accompagnarsi ad un dolore intollerabile”.[1]
Anche l’auto-aggressività è quasi sempre accompagnata da uno stato di notevole sofferenza interiore associata spesso a rabbia. Questa sofferenza e questa rabbia, a nostro parere, non trovano alcun mezzo o strumento più idoneo per manifestarsi e sfogarsi, se non quelli drammatici sopra descritti. Le manifestazioni di autolesionismo sono, infatti, frequenti in bambini deprivati di cure materne, nei bambini che presentano Disturbo dello Spettro Autistico, nei disturbi disintegrativi della fanciullezza, nei soggetti istituzionalizzati. Per fortuna quando questo stato di notevole sofferenza interiore si affievolisce, questi comportamenti tendono a diminuire sensibilmente fino a scomparire del tutto.