IL RITARDO MENTALE: DALLA DIAGNOSI ALLE STRATEGIE DI INTERVENTO.

IL RITARDO MENTALE: DALLA DIAGNOSI ALLE STRATEGIE DI INTERVENTO.

Tesi di FLAVIA CORTESE

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MESSINA

ARAM – MESSINA

CORSO BIENNALE DI SPECIALIZZAZIONE POLIVALENTE

PER ALTRA SEZIONE – ART. 28

BIENNIO 1999-2000

SEZIONE: ELEMENTARE

IL RITARDO MENTALE: DALLA DIAGNOSI ALLE STRATEGIE DI INTERVENTO.

Tesi di Diploma di:

FLAVIA CORTESE

                                                                                          Relatore:

                                                                         Ch.mo Prof. EMIDIO TRIBULATO

INTRODUZIONE

La molteplicità dei termini esistenti per designare la diminuzione della capacità intellettuale rivela come l’handicap del ritardo mentale rappresenti ancora oggi un problema di natura scientifica, operativa, sociale e, soprattutto, umana.

 Il termine ritardo mentale sostituisce, infatti, quelli di deficienza mentale, debolezza mentale, insufficienza mentale, subnormalità mentale, oligofrenia e frenastenia, adottati precedentemente.

Riguardo a questo argomento è possibile notare tuttora pregiudizi e divergenze, molte delle quali giustificate dalla mancanza di una definizione unanime e assoluta del concetto di intelligenza, che rivela strette connessioni con quelli di costituzione, sviluppo e ambiente.

L’intelligenza, infatti, non è una realtà statica, ma una capacità dinamica, dotata di un suo sviluppo graduale, qualitativamente diverso nelle varie età e rapportato alle differenti caratteristiche personali (costituzionali e ambientali) ed esperienziali del soggetto.

La controversia, dapprima esistente, tra la teoria che considerava l’intelligenza come una capacità predeterminata geneticamente e quella che la riteneva il risultato dell’influenza dei fattori ambientali e delle esperienze vissute dal soggetto, è attualmente superata da una nuova concezione dell’intelligenza, vista come un insieme di potenzialità comportamentali emergenti dall’interazione tra fattori costituzionali (caratteristiche genetiche, neurologiche, biochimiche e psicodinamiche, influenze biofisiologiche positive o negative prenatali, perinatali e postnatali, ecc.) e fattori socioculturali (legati all’esperienza e operanti a livello psicologico e psicosociale).

In conseguenza di questo nuovo modo di concepire l’intelligenza, il ritardo mentale non è più considerato come una realtà unidimensionale, ma come un fenomeno pluridimensionale, che nel soggetto si manifesta come incapacità di autogestirsi, di interagire positivamente con gli altri e di adattarsi in modo creativo e indipendente all’ambiente, e tutto ciò in conseguenza di uno sviluppo intellettuale insufficiente che rende inadeguata la percezione, labile e imprecisa la memoria, limitate le capacità di comunicazione, di comprensione e di logica, insufficienti l’apprendimento e la capacità di risolvere i problemi.

Sulla base di questa indispensabile premessa, il presente lavoro sarà diviso in due parti o capitoli, il primo dei quali affronterà l’argomento del ritardo mentale dal punto di vista teorico, fornendo una breve presentazione delle caratteristiche e delle tipologie dell’handicap, mentre il secondo, rispettando il contesto da cui tale trattazione trae origine, cioè il corso di specializzazione polivalente per altra sezione (art. 28), rifletterà il lavoro svolto durante la rielaborazione dell’esperienza personale e l’organizzazione delle competenze professionali. Questa seconda parte sarà corredata dal materiale raccolto nell’ambito delle esperienze professionali, che, inserita in appendice, conferirà al lavoro un’impronta di originalità e di veridicità. 

IL RITARDO MENTALE

LA DIAGNOSI.

Al fine di programmare e valutare gli interventi terapeutici ed educativi di recupero dell’handicap è assai importante ricorrere ad una diagnosi precoce.

Affinché questa sia quanto più possibile obiettiva è necessario attuare una serie di indagini pluridimensionali (di tipo medico, psicologico, pedagogico, sociale, ecc.) e articolate, cioè basate su vari strumenti di ricerca. Questi ultimi consistono nella raccolta dei dati anamnestici sia familiari e ambientali, sia specifici del bambino (notizie circa la gestazione, il tipo di parto, la presenza di eventuali malattie fisiche gravi, gli eventuali traumi fisici o psicosociali, ecc.), in ricerche di tipo auxologico, elettroencefalografico, radiologico, biochimico, cromosomico e nella verifica della funzionalità sensoriale.

L’esistenza di alcuni sintomi che presentano caratteri di similarità con quelli caratteristici del ritardo mentale rende necessario il ricorso ad una diagnosi differenziale di questo deficit, in modo da distinguere il cosiddetto ritardo mentale essenziale o primario da quello apparente o secondario, dovuto ad uno squilibrio, che, pur verificandosi in altre aree della personalità, nuoce alla stessa capacità mentale del soggetto colpito. Appartengono a questo tipo di ritardo mentale gli handicap sensoriali (specialmente dell’udito e della vista), i disordini epilettici, le sindromi cerebrali croniche e la paralisi cerebrale infantile, la deprivazione culturale, i disordini affettivi (specialmente la nevrosi e la psicosi): tali deficit, infatti, pur essendo assai diversi dal ritardo mentale, producono gli stessi effetti, consistenti nella difficoltà di apprendimento, di comunicazione, nel ritardo psicomotorio e sociale del soggetto colpito.

LE VARIE TIPOLOGIE DI RITARDO MENTALE

Associando, secondo un criterio fenomenologico, le principali caratteristiche comportamentali dei soggetti colpiti da ritardo mentale essenziale o primario, possiamo distinguere quest’ultimo in cinque tipi:

  1. Ritardo mentale al limite della norma (o borderline), che si manifesta con leggere difficoltà nella comprensione del linguaggio scritto e orale, nel pensiero logico-astratto, nell’acquisizione di nuovi concetti e di nuove capacità operative.
  2. Ritardo mentale lieve, che pur compromettendo in parte la comprensione del linguaggio e delle nozioni aritmetiche, nonché il ragionamento astratto, consente una certa autonomia personale e capacità di autogestione.
  3. Ritardo mentale medio, che impedisce il raggiungimento delle competenze strumentali di base (lettura, scrittura, numerazione, misurazione e calcolo) e l’acquisizione dei concetti di spazio e di tempo, determinando un ritardo nell’area della comunicazione e della coscienza e conoscenza del proprio corpo. I ritardati mentali medi presentano, inoltre, disordini di autoimmagine psicosessuale, di inserimento e adattamento sociale. Spesso nei ritardati mentali medi sono presenti delle malformazioni corporee.
  4. Ritardo mentale grave, che si manifesta attraverso un deficit nello sviluppo psicomotorio, con incapacità di controllare i movimenti, soprattutto quelli fini. Risulta inficiata anche la possibilità di apprendere e di utilizzare il linguaggio, di raggiungere l’autonomia di base (lavarsi, mangiare, vestirsi, controllo sfinterico), di avere coscienza e conoscenza del sé corporeo. Nei ritardati mentali gravi sono presenti disturbi della sfera percettiva e gravi malformazioni fisiche; inoltre si evidenzia una certa dipendenza affettiva.
  5. Ritardo mentale profondo, che si esplica attraverso un gravissimo e globale deficit psicomotorio, con incapacità di controllare i propri movimenti e di effettuare in modo adeguato la deambulazione. L’abilità verbale è quasi del tutto inesistente, così come l’autonomia di base e la coscienza e conoscenza del proprio corpo. I soggetti colpiti non riescono ad inserirsi attivamente nel gruppo familiare, né tanto meno in quello sociale e scolastico. Essi presentano gravi malformazioni fisiche, deficit sensoriali, anomalie cromosomiche o fisiologiche (di tipo neurologico, metabolico, endocrino, ecc.) e una salute precaria, che si manifesta anche attraverso la poca resistenza alle varie malattie.

INCIDENZA DEL RITARDO MENTALE

L’handicap, secondo una ricerca statistica, colpisce circa il 3% della popolazione generale. La maggioranza dei ritardati mentali appartiene al gruppo dei borderline o dei lievi; seguono immediatamente i medi.

La frequente provenienza dei ritardati mentali lievi dalle classi socioeconomiche basse, lascia pensare che il ritardo mentale di tipo lieve sia sovente dipendente da fattori economici e socio-culturali, mentre nelle rimanenti forme (ritardo mentale medio, grave e profondo) sembrano prevalere i fattori biofisiologici.

Per quel che concerne, invece, la provenienza territoriale, le aree rurali, rispetto alle urbane, sono quelle che denotano la maggiore frequenza dei ritardati mentali, poiché in tali zone sono facilmente riscontrabili problemi sanitari, alimentari, socio-culturali, nonché frequenti matrimoni tra consanguinei.

FATTORI DEL RITARDO MENTALE

Spesso risulta molto difficile determinare in ogni singolo caso di ritardo mentale quale sia la causa specifica. I fattori che possono causare il ritardo mentale sono, tuttavia, di natura biofisiologica, psicologica e interazionale-ambientale.

I fattori biofisiologici possono essere pre-natali (disordini di tipo genetico, complicazioni e malattie durante il periodo della gestazione, ecc.), peri-natali (traumi causati durante il parto, carenza di ossigeno perinatale, ecc.) o post-natali (malattie infettive, carenze di proteine o di vitamine, ecc.).

I fattori psicologici e quelli interazionali-ambientali agiscono, invece, dopo la nascita del bambino e consistono soprattutto in carenze o anomalie nell’interazione madre-bambino, assenza di stimolazioni adeguate, grave deprivazione socio-culturale, presenza di disturbi nevrotici o psicotici nel bambino.

I fattori eziologici che determinano con maggiore frequenza il ritardo mentale sono:

  1. Patologie prenatali di eziologia sconosciuta, che consistono soprattutto nelle anomalie congenite dell’encefalo (mancanza totale di cervello, carenza di corteccia cerebrale, malformazione delle circonvoluzioni cerebrali), anomalie che, quando non conducono alla morte del bambino, provocano ritardo mentale grave o profondo.
  2. Patologie postnatali di eziologia sconosciuta, che consistono in malattie del sistema nervoso (demielinizzazione delle fibre nervose, sclerosi cerebrale diffusa, ecc.). Tali patologie, se si manifestano durante l’infanzia, producono ritardo mentale grave o profondo.
  3. Fattori infettivi. Alcune infezioni virali e batteriche acute della madre durante il periodo della gestazione (rubeola, sifilide, toxoplasmosi, citomegalovirus) o durante il parto (herpes zoster) determinano malformazioni congenite o nascita prematura del bambino con conseguente ritardo mentale. La meningite e l’encefalite peri- o post-natale possono provocare danni neurologici permanenti, causa di ritardo mentale.
  4. Fattori tossici. Alcune intossicazioni della madre durante il periodo della gravidanza (abuso di alcool, psicofarmaci, antibiotici) possono causare danni neurologici o malformazioni nel feto e la nascita prematura del bambino, determinando un rischio di ritardo mentale. L’isoimmunizzazione RH è stata per lungo tempo una delle cause più frequenti di ritardo mentale, almeno finché non è stata possibile la diagnosi prenatale e la tempestiva sostituzione del sangue nel neonato o nel feto e la immunizzazione della madre quando dava alla luce un bambino RH positivo. Durante la prima infanzia, inoltre, in alcuni bambini si possono sviluppare encefalopatie e conseguente ritardo mentale a causa delle comuni vaccinazioni, per avvelenamento da piombo, da mercurio o da monossido di carbonio, o ancora per ingestione di certi additivi alimentari o di specifici farmaci.
  5. Fattori traumatici o fisici. L’uso di anestetici durante il parto, l’attorcigliamento del cordone ombelicale o il ritardo nell’iniziare a respirare da parte del neonato possono provocare una grave carenza di ossigenazione cerebrale (anossia), con conseguenti danni dell’encefalo. Quando il parto si presenta difficile possono verificarsi nel bambino emorragie cerebrali o intracraniali, dovute spesso all’uso inadeguato del forcipe. Inoltre, causa di ritardo mentale possono essere i traumi cranici che si producono durante la prima infanzia e gli effetti patogeni delle radiazioni (radiografie, esperimenti atomici, ecc.).
  6. Disordini metabolici, della crescita o dell’alimentazione. Il ritardo mentale può essere associato anche all’incapacità congenita dell’organismo di metabolizzare sostanze necessarie o nocive per lo sviluppo del sistema nervoso centrale o periferico. Il disordine metabolico più frequente, che si manifesta tra i 6 e i 12 mesi di vita, è la fenilketonuria, che provoca la carenza di un enzima necessario per scindere la fenilalanina, un aminoacido presente nelle proteine alimentari: l’accumulo di questa sostanza nel sangue produce danni neurologici e motori e ritardo mentale. L’insufficienza tiroidea determina danni cerebrali di entità differente a seconda dell’età in cui si manifesta, della gravità e della durata: se il deficit si presenta durante la gestazione o nella prima infanzia il ritardo mentale è di tipo medio o grave ed è associato ad alcune caratteristiche fisiche (statura bassa, arti corti e grossi, testa grande, orecchie grandi e a “sventola”, ecc.), mentre se si manifesta successivamente i danni cerebrali sono di più lieve entità. Anche la carenza di certe vitamine e aminoacidi durante i primi anni dello sviluppo può causare danni fisici e mentali: la malnutrizione della madre durante la gravidanza o del bambino, soprattutto nei primi 6 anni di vita, è causa certa di ritardo mentale.
  7. L’immaturità. Anche se molti bambini immaturi non presentano alcun tipo di ritardo mentale, il rischio che ciò succeda è elevato, poiché il sistema nervoso di un bambino immaturo è molto vulnerabile all’azione degli agenti patogeni. I principali fattori responsabili dell’immaturità sono: alcune malattie della madre, la malnutrizione, il fumo, l’alcool, l’età precoce (meno di 16 anni) o avanzata (più di 40 anni), l’obesità e gli stress psicofisici.
  8. Formazioni anomale che si sviluppano nel cervello o nel cranio. Anche la formazione di tumori o di escrescenze all’interno del cranio o del cervello si associa spesso al ritardo mentale.
  9. Anomalie cromosomiche. Le più frequenti sono: la sindrome di Down, la trisomia 13, la trisomia 18, la sindrome di Turner e quella di Klinefelter.

La sindrome di Down presenta diverse tipologie. La maggior parte dei soggetti colpiti ha 47 cromosomi, anziché 46, perché il “gruppo 21” è composto da 3 cromosomi invece di 2 (da qui il termine di trisomia 21). Raramente in alcuni soggetti si presentano altri tre tipi di anomalia: alcuni hanno un numero normale di cromosomi, cioè 46, ma tra essi esistono delle “traslocazioni”, perché il cromosoma in eccesso si è fuso con un altro cromosoma, generalmente con uno della coppia 15; altri soggetti presentano una doppia trisomia, con un numero totale di 48 cromosomi; altri ancora presentano la patologia del “mosaicismo”, nella quale alcune cellule hanno 46 cromosomi ed altre 47. I bambini Down hanno particolari caratteristiche somatiche (microcefalia, faccia e naso appiattiti e larghi, occhi con fessure palpebrali oblique, pieghe cutanee che ricoprono l’angolo interno dell’occhio, lingua grossa, collo corto e largo, dentizione incompleta, mani piccole, ecc.) e funzionali (particolare suscettibilità alle malattie cardiocircolatorie, gastrointestinali e respiratorie): essi manifestano anche qualche tipo di ritardo mentale (spesso di tipo medio), dovuto ad una maturazione neurologica più lenta rispetto a quella degli altri bambini.

La trisomia 13 e la trisomia 18, in cui esistono tre cromosomi invece di due nella tredicesima o diciottesima coppia, comportano un ritardo nello sviluppo organico, malformazioni craneali, degli arti e delle dita, anomalie cardiache, ecc. Queste patologie quasi sempre determinano la morte del bambino entro il primo anno di vita.

La sindrome di Turner e quella di Klinefelter si manifestano con delle anomalie nei cromosomi sessuali (coppia 23): la sindrome di Turner riguarda il sesso femminile, per cui il 23° paio risulta costituito da un solo cromosoma, il femminile (la formula cromosomica è X, anziché XX: le bambine colpite da tale sindrome, nell’adolescenza sono generalmente di statura bassa e non sviluppano i caratteri sessuali secondari); la sindrome di Klinefelter colpisce il sesso maschile, per cui i cromosomi del 23° paio sono tre invece di due, con una reduplicazione del cromosoma femminile (la formula cromosomica di questi soggetti è XXY, oppure raramente XXXY, XXXXY o XXYY, invece di XY: nell’adolescenza i bambini colpiti da tale sindrome sono in genere alti, magri, hanno “seni” grandi, testicoli piccoli o atrofizzati, carenza di sperma e, a volte, ritardo mentale). Il ritardo mentale che a volte si associa a queste due anomalie cromosomiche sembra dovuto a fattori di tipo psicosociale (autoimmagine corporea e psicosessuale negativa e frustrazioni connesse alle manifestazioni morfologiche della sindrome), anziché al condizionamento biofisiologico delle due sindromi.

  1. Anomalie del cranio. Il ritardo mentale è associato anche ad alcune alterazioni del volume e della forma del cranio.

Nella macrocefalia la scatola cranica è più grande della norma e sono aumentati anche il peso e il volume del cervello: quasi sempre a questa anomalia si associano deficit neurologici e ritardo mentale di tipo grave.

Nella microcefalia la testa è molto piccola, il cranio ha la forma di un cono e il cervello ha dimensioni ridotte: a questa patologia si associa sempre il ritardo mentale, soprattutto di tipo medio e grave.

I fattori che causano la macrocefalia e la microcefalia sembrano essere di tipo ereditario (per l’azione di un gene autosomico recessivo), di tipo fisico (radiografie pelviche della madre durante la gestazione, radioattività, ecc.), o di tipo biologico (infezioni intrauterine durante la gestazione).

Nell’idrocefalia l’accumulo di liquido cerebro-spinale all’interno del cranio lo fa allargare nella parte superiore e posteriore e danneggia i tessuti cerebrali. Nei casi più gravi si presentano numerosi disturbi neurologici, sensoriali e un ritardo mentale grave e profondo. L’idrocefalia può essere congenita (disturbo prenatale nella formazione, assorbimento o circolazione del fluido cerebro-spinale), o può svilupparsi nell’infanzia per un blocco dei canali cerebro-spinali, conseguente ad un tumore cerebrale, a meningite o ad altre encefalopatie.

  1. Handicap fisici. Molti bambini che presentano un handicap fisico (sensoriale o motorio) manifestano anche un ritardo mentale, il quale in alcuni casi dipende dallo stesso fattore che ha determinato l’handicap (danno cerebrale), in altri da un qualsiasi altro fattore biofisiologico, psicologico o psicosociale, in altri ancora dai condizionamenti causati dal deficit (problemi di autoimmagine e di inserimento sociale nel caso del bambino sordo).
  2. Fattori psicologici, psicosociali e ambientali. Secondo un’opinione diffusa sono i fattori eziologici prevalenti nella maggioranza dei casi di ritardo mentale. Le forme lievi e medie si presentano con molta frequenza all’interno della stessa famiglia e in maniera più diffusa tra le famiglie appartenenti alle classi di livello socioeconomico basse, piuttosto che in quelle di classe media o alta. In queste forme di ritardo hanno un’importanza fondamentale i fattori biofisiologici (soprattutto di tipo genetico) e quelli psicosociali e ambientali. Le ricerche effettuate sui gemelli uniovulari cresciuti in famiglie diverse dimostrano che anche deficit genetici gravi possono essere superati dall’influenza correttiva di un ambiente adeguato, mentre, d’altra parte, la carenza precoce di interazioni fisiche e affettive, di stimolazioni sensoriali ed intellettuali, determina nel bambino dei ritardi nello sviluppo generale.
  3. Gravi patologie psichiche. Le schizofrenie infantili possono associarsi al ritardo mentale, in quanto i problemi emotivi del bambino (ansia, insicurezza, timori, autoimmagine negativa, difficoltà di interazione e di adattamento, ecc.) rendono spesso difficile l’apprendimento e lo sviluppo delle sue potenzialità. Talora queste difficoltà sono talmente gravi da determinare il ritardo mentale, altre volte, invece, condizionano lo sviluppo non in forma globale e definitiva, ma in modo settoriale e transitorio, dando origine a forme di “pseudo-ritardo” mentale. 

LA PREVENZIONE DEL RITARDO MENTALE

Da quando si è capita l’importanza dell’azione comunitaria e sociale nei confronti della salute mentale, le attività orientate al recupero delle psicopatologie vengono distinte in interventi medici, psicoterapeutici ed educativi di prevenzione primaria, prevenzione secondaria e prevenzione terziaria.

interventi di prevenzione primaria sono le azioni realizzate prima della comparsa della patologia psichica, al fine di promuovere la salute psicologica e di tutelarla da fattori di varia natura, soprattutto ambientali.

Interventi di prevenzione secondaria sono le attività realizzate quando si è instaurata la malattia psichica e destinate alla diagnosi e all’intervento precoci, onde evitare che il deficit si stabilizzi e prevenirne le conseguenze negative.

Interventi di prevenzione terziaria sono le operazioni realizzate quando una malattia psichica si è già stabilizzata, allo scopo di evitare che il problema diventi definitivo e di ridimensionare le conseguenze negative della patologia, impedendo, perciò, che essa si aggravi ulteriormente.

Il tema del trattamento del ritardo mentale costituisce una delle principali aree di ricerca e di azione non solo per la medicina (genetica, pediatria, neurologia, psichiatria, medicina riabilitativa), per la psicologia (dell’età evolutiva, clinica e psicoterapeutica), per la pedagogia e la didattica, ma anche per tutte le discipline che si occupano dei problemi socio-culturali, politici, economici e ambientali.

L’efficacia del trattamento dei ritardati mentali dipende quindi dal suo carattere pluridimensionale (evitando di considerare, cioè, solo obiettivi parziali, come ad esempio quello di migliorare solo lo sviluppo psicomotorio del bambino o la sua capacità di apprendere abilità strumentali) e pluridirezionale (senza ritenere, cioè, alcuna prospettiva, ad esempio quella medica, o la psicologica, ecc., come esclusiva o superiore alle altre), sia per quanto riguarda le prospettive, sia per quel che concerne gli obiettivi. Lo sviluppo delle potenzialità presenti nel ritardato mentale, il superamento dei deficit e la modifica dei comportamenti inadeguati devono essere realizzati secondo prospettive, metodologie e tecniche diverse. Esse sono di tipo medico (soprattutto farmacologico), psicologico (psicoterapeutico, di consulenza psicologica, ecc.), psicopedagogico e didattico (rieducativo, interventi per favorire l’apprendimento di nozioni, capacità strumentali e comportamenti vari, ecc.), psicosociale (modifica dei condizionamenti ambientali negativi, promozione di atteggiamenti di responsabilizzazione e di condotte più adeguate nel ritardato mentale, ecc.), socio-politico (superamento delle strutture di emarginazione, abbattimento delle barriere segreganti di ogni tipo, promozione di metodi e di strutture di integrazione scolastica, sociale, ricreativa, ecc.).

Affinché il ritardo mentale venga trattato in maniera adeguata è, perciò, necessario attivare interventi di prevenzione primaria, secondaria e terziaria.

  1. Prevenzione primaria del ritardo mentale.

Per prevenire il ritardo mentale è opportuno attuare una vasta opera di sensibilizzazione ed educazione sociali, poiché si tratta di un problema sul quale esistono tuttora ignoranza, pregiudizi e atteggiamenti di rifiuto. Tale intervento di sensibilizzazione ed educazione comunitaria deve realizzarsi a vari livelli (nelle famiglie, nella scuola, negli ambienti ricreativi e di lavoro, ecc.) e con diversi strumenti (mezzi di cominicazione sociale, interventi personalizzati degli operatori socio-sanitari, corsi di sensibilizzazione e di aggiornamento, ecc.).

Un aspetto essenziale della prevenzione primaria del ritardo mentale è quello del miglioramento degli standard di vita delle persone e delle famiglie più svantaggiate, mediante misure coordinate, sistematiche e continuative atte a favorire l’occupazione e a migliorare le condizioni di abitazione e ambientali delle classi più povere.

La prevenzione primaria del ritardo mentale passa anche attraverso l’adozione di misure sanitarie preventive, volte a stabilire se nei genitori esiste un alto rischio di dare alla luce un bambino con ritardo mentale e a migliorare le condizioni prenatali (limitare le gravidanze durante l’adolescenza e dopo i 40 anni di età, prevenire l’immaturità, diagnosticare eventuali incompatibilità e anomalie cromosomiche del feto, immunizzazioni preventive contro le malattie infettive, evitare l’esposizione a radiazioni e la somministrazione di farmaci durante la gravidanza, non usare anestetici e analgesici durante il parto).

  • Prevenzione secondaria del ritardo mentale.

Un’adeguata prevenzione secondaria del ritardo mentale prende il via da un precoce riconoscimento della situazione stessa di ritardo: spesso il ritardo mentale viene riconosciuto solo all’ingresso del bambino a scuola e, talora, anche dopo. La diagnosi precoce del ritardo mentale deve però associarsi alla disponibilità dei genitori a collaborare a livello terapeutico, e soprattutto a costruire col figlio ritardato un rapporto armonioso e maturo, capace di evitare gli eccessi dell’iperprotezione e del rifiuto. L’intervento precoce è quanto mai necessario nel caso di bambini in situazione di grave deprivazione socio-culturale, per i quali bisogna operare una massiccia stimolazione motoria, sensoriale, verbale ed emotiva per arricchire e allargare il loro orizzonte mentale e per sviluppare tutte le loro capacità.

  • Prevenzione terziaria del ritardo mentale.

Il ritardo mentale, più di ogni altro disordine dello sviluppo infantile, necessita dell’intervento coordinato e interdisciplinare di un’équipe di operatori formata da genitori, medico (neurologo, pediatra e psichiatra), psicologo, vari terapeuti (del linguaggio, della psicomotricità, ecc.), insegnante e assistente sociale.

Se i fattori eziologici primari ed essenziali sono di natura biofisiologica, gli interventi saranno soprattutto, ma non esclusivamente, di tipo medico (farmacologico, riabilitativo, talora chirurgico); se, invece, i fattori eziologici sono di natura psicologica e/o socio-culturale ed economica, gli interventi devono essere soprattutto di tipo psicoterapeutico, psicosociale ed educativo-didattico.

Dal punto di vista psicoterapeutico l’intervento volto a promuovere lo sviluppo del soggetto ritardato si basa essenzialmente su due metodi: quello delle psicoterapie di orientamento psicodinamico e quello delle terapie della condotta. I metodi psicodinamici si applicano ai soggetti con ritardo lieve e medio, poiché i loro obiettivi non sono facilmente raggiungibili dai ritardati mentali gravi e profondi, a causa della difficoltà che esiste nello stabilire con loro una comunicazione adeguata. Gli obiettivi generali di questi metodi consistono nel: a) promuovere lo sviluppo ottimale delle capacità potenziali del soggetto e l’apprendimento di specifiche competenze, soprattutto sociali, grazie alle dovute stimolazioni; b) aiutare il soggetto a manifestare i propri contenuti interni (desideri, emozioni, fantasie, ecc.), affinché, attraverso la loro comprensione ed accettazione, egli possa giungere alla strutturazione di un’autoimmagine più positiva e ad un atteggiamento di maggiore autoaffermazione e autocontrollo. Per raggiungere tali obiettivi i metodi psicodinamici si servono sia di esperienze individuali o di gruppo sia di tecniche differenti (gioco, disegno, musica, drammatizzazione, produzioni fantastiche, ecc.).

I metodi delle terapie di condotta mettono in evidenza i fattori ambientali che influenzano il comportamento e cercano di adoperarli per modificare o promuovere specifiche condotte del soggetto ritardato mentale. Per strutturare o per incoraggiare una condotta nuova, il terapeuta premia o gratifica il comportamento del bambino, se esso è coerente con l’obiettivo proposto o ad esso vicino, attraverso rinforzi concreti (dolci, denaro, ecc.) o astratti (lodi, dimostrazioni d’affetto o di stima, ecc.). Per scoraggiare o eliminare una determinata condotta del bambino, si può ricorrere ad una serie di tecniche comportamentali: l’estinzione (non rinforzare mai la condotta indesiderata), l’indifferenza (ignorare la condotta non desiderata), il premio (premiare il soggetto quando non realizza la condotta indesiderata), la punizione (erogare una stimolazione spiacevole, frustrante o molesta, di tipo fisico, verbale, gestuale, mimico o affettivo), il castigo (sottrarre i rinforzatori positivi e gradevoli), la stimolazione avversativa (mentre il bambino realizza una condotta indesiderata, gli viene proposto uno stimolo volto a promuovere una forte risposta di evitamento), la stimolazione di comportamenti contraddittori (proporre comportamenti incompatibili con quelli che si desidera eliminare).

Queste tecniche, relativamente semplici, possono essere realizzate anche da operatori non specializzati (genitori, insegnanti, ecc.). L’efficacia e il successo dell’intervento psicoterapeutico dipendono, infatti, anche dalla possibilità di realizzare gli interventi in modo frequente, continuativo e sistematico, tenendo nella dovuta considerazione i genitori e le altre persone significative nella vita del soggetto ritardato mentale.

Dal punto di vista educativo-didattico, alla istituzionalizzazione del bambino con ritardo mentale o al suo inserimento nelle classi speciali, è preferibile l’integrazione nelle classi comuni adeguatamente strutturate, sia per quanto riguarda il numero (classi poco numerose), l’ambiente, gli strumenti e il materiale didattico, l’orario e i ritmi di attività, sia soprattutto per quel che concerne l’accettazione da parte dei coetanei e dell’insegnante,   poiché solo con la dovuta considerazione e il rispetto degli altri il ritardato mentale può realizzarsi come persona e può sentirsi qualcuno. L’insegnante, inoltre, deve possedere un’adeguata competenza professionale e una specifica preparazione, poiché l’integrazione del ritardato mentale nella scuola e nella classe comune suppone una programmazione individualizzata delle attività educativo-didattiche, che tenga in considerazione sia le caratteristiche del bambino, gli interessi, le motivazioni e il ritmo di apprendimento, sia i metodi, gli strumenti e le strategie per promuoverne lo sviluppo.

INTERVENTO EDUCATIVO-DIDATTICO.

La scuola elementare ha il compito di aiutare l’alunno ad acquisire un’immagine sempre più chiara ed approfondita della realtà e ad interpretare le problematiche sociali, culturali e morali. A tal fine la normale attività didattica deve aprirsi alle più significative iniziative educative affidate dalla società alla scuola. Questa attenzione rivolta a tutti gli alunni dev’essere più puntuale per coloro che presentano particolari problemi di apprendimento, di crescita, o che abbiano accumulato forme di svantaggio. In tali casi è opportuno organizzare un curricolo differenziato e personalizzato, volto a scoprire e promuovere le potenzialità dell’allievo in situazione di handicap. Gli interventi individualizzati tenderanno, soprattutto, alla promozione del soggetto come persona, favorendo il più possibile lo sviluppo della sua autonomia e della sua socialità. L’obiettivo principale di ogni apprendimento dev’essere, infatti, quello di favorire una maggiore e migliore espansione personale, integrazione affettiva e adattamento psicosociale del bambino ritardato mentale. A volte, perciò, non è solo inutile, ma nocivo promuovere nel bambino specifici apprendimenti che non sono funzionali alla sua crescita personale e psicosociale. L’insegnante deve elaborare con cura un piano di attività, che sia al tempo stesso specifico e flessibile, comprendente non solo gli obiettivi, ma anche i metodi, le tecniche, gli strumenti e i tempi previsti al loro raggiungimento. Poiché ogni singolo bambino è una persona unica, peculiare e irripetibile, è necessario personalizzare gli interventi, concentrando l’attenzione e la stimolazione su quelle attitudini e capacità, nelle quali il bambino presenta un maggiore sviluppo.

Per quanto riguarda i contenuti del programma educativo è necessario nel ritardato mentale (soprattutto nel grave e nel profondo) ridimensionare l’importanza di quelli scolastici, per dare maggiore rilievo allo sviluppo senso-motorio, dell’autonomia di base, della coscienza e conoscenza del proprio corpo, della percezione di sé e della realtà circostante e del linguaggio; è, inoltre, importante condurre il bambino alla progressiva cura di sé, alla capacità di riconoscere e di evitare i pericoli e alle realizzazioni soddisfacenti di vita sociale, permettendo, così facendo, al ritardato mentale di inserirsi nella comunità e di autogestirsi.

Il piano di intervento deve prevedere una molteplicità di stimoli, in quanto le attività proposte devono riguardare contemporaneamente i vari settori dell’intelligenza (linguaggio, sfera logico-percettiva e cognitiva, psicomotricità, memoria, ecc.), altrimenti, fornendo solo pochi tipi di stimoli, lo sviluppo risulterà disarmonico, maggiore nel settore stimolato, minore nei campi trascurati.

Un altro criterio molto importante è quello della gradualità degli stimoli, che devono essere proposti in maniera sequenziale, dal più semplice al più complesso, onde evitare sentimenti di frustrazione nel bambino, che si blocca di fronte a richieste complesse rispetto alle reali capacità del momento. Il criterio della gradualità dev’essere seguito anche al fine di evitare l’appiattimento degli stimoli, che mantenendosi sempre sullo stesso livello, vengono effettuati con facilità, determinando nel bambino l’insorgere della noia.

Le attività proposte devono essere improntate ai criteri della ripetitività, della brevità e della chiarezza: esse, infatti, devono essere ripetute con frequenza, anche se ogni volta per un breve periodo di tempo, in modo da promuovere e mantenere nel bambino l’interesse, l’attenzione e lo sforzo per effettuarle, e da evitare di stancarlo, di annoiarlo o infastidirlo, attivandosi a cambiare attività, qualora ciò si verificasse. La brevità degli stimoli consente di proporre molteplici contenuti in forma più ampia e completa. Per quanto riguarda la chiarezza, è necessario che lo stimolo proposto presenti pochi elementi, sia lineare nella grafica e nel disegno, non contenga elementi di disturbo.

Per destare l’interesse del bambino, è necessario non solo che lo stimolo sia sottoposto sotto forma di gioco (come il cercare, l’indovinare, lo scoprire o il capire) e che le immagini siano accattivanti, ma anche che l’insegnante sia interessante, cioè in grado di instaurare con il bambino un rapporto affettuoso e gratificante e di comprendere i suoi momenti di stanchezza.

Il materiale utilizzato per realizzare una specifica attività dev’essere piacevolmente utilizzabile dal bambino, utile a stimolare il suo interessamento e a promuovere la sua attenzione.

Ogni successo, anche minimo del bambino, dev’essere sottolineato e premiato, in modo tale da tenere desto il suo interesse ad imparare.

Ogni programma educativo, riabilitativo o di stimolazione necessita di un momento dedicato alla verifica e alla valutazione della sua efficacia. Quest’ultima dipende non solo dall’aderenza della programmazione e delle attività alla specifica realtà del bambino, ma anche, come è stato già rilevato, dal tipo di interazione, soprattutto affettiva, che si stabilisce tra l’allievo e l’insegnante e, non ultimo, dall’accordo che esiste tra tutti coloro che interagiscono con il bambino (genitori, insegnanti, ecc.), poiché esso consente di proporre al soggetto, in ogni momento, obiettivi uguali o comunque simili e complementari, con metodi e tecniche coerenti e costanti.

Nel caso di Daniele gli obiettivi primari ed essenziali dell’intervento didattico-educativo, raggiungibili mediante le sottoindicate attività e metodologie, e validi alla sua promozione umana e sociale, nonché allo sviluppo delle sue potenzialità cognitive, devono essere, a mio avviso, i seguenti:

Obiettivi per il consolidamento dell’autonomia di base:

– Capacità di utilizzare adeguatamente i servizi igienici

– Capacità di mantenere un comportamento corretto durante i pasti

– Capacità di destreggiarsi in prassie di abbigliamento

– Capacità di usare e riordinare materiale vario

Attività e metodi:

  • Mi lavo da solo: utilizzazione di immagini stimolo appese alla parete, per ricordare al bambino di andare in bagno e di lavarsi le mani durante la ricreazione.
  • A tavola: stimolare il bambino a stendere sul banco una tovaglietta, sulla quale riporre il panino, la bottiglia d’acqua e il bicchiere di plastica.
  • Mi spoglio e mi vesto: stimolare il bambino ad eseguire le varie prassie di abbigliamento nel momento giusto (tirarsi su le maniche prima di lavarsi le mani, togliersi la giacca una volta arrivato a scuola, appendere la giacca, infilare la giacca, sciogliere e allacciare le scarpe, abbottonare e sbottonare, tirare su e giù la cerniera, aggiustarsi gli abiti).
  • Gli oggetti, il loro uso, il loro posto: sollecitare il bambino a conoscere gli oggetti presenti nella scuola e negli altri ambienti, servendosi anche di illustrazioni e disegni. Egli dovrà denominarli, consegnarli su richiesta, utilizzarli, definirne l’uso, richiederli al momento opportuno. E’ necessario dare una precisa collocazione agli oggetti, affinché egli possa memorizzarla al fine di trovare gli oggetti richiesti e di riporli al loro posto.

Obiettivi per lo sviluppo della socializzazione:

– Capacità di rispettare le principali regole della vita sociale

– Capacità di partecipare in maniera più attiva alla vita scolastica

  • Favorire l’uso di vari canali di comunicazione
  • Instaurare con il bambino un rapporto affettivamente significativo, allo scopo di infondere fiducia, fornendo un sostegno psicologico
  • Assumere nei suoi confronti un atteggiamento rassicurante e fungere da significativa figura di riferimento
  • Gratificare anche le minime prestazioni positive allo scopo di accrescere l’autostima e la consapevolezza delle proprie capacità
  • Sollecitare la partecipazione ad attività collettive da svolgere in piccolo gruppo, aiutando il bambino a portare il suo contributo
  • Assegnare incarichi di fiducia per favorire l’autonomia e per fargli assumere un ruolo significativo di fronte ai compagni e agli adulti

Attività e metodi:

Giochi di gruppo, finalizzati sia ad una maggiore socializzazione sia alla formulazione di regole da far rispettare. La regola non dev’essere proposta in forma negativa (“Non devi gettare la palla per terra”), ma positiva (“Lancia la palla al tuo compagno”). Un compagno dovrà assumere la funzione di modello (modeling) per tradurre in pratica la regola formulata. L’insegnante, a questo punto, manifesta la propria soddisfazione nei confronti del comportamento assunto dal modello (feedback positivo), quindi sollecita sia il bambino sia il gruppo a ripetere il comportamento (role-playing). Durante la giornata sarà utile chiedere più volte al bambino il rispetto delle regole fino a che non sarà lui stesso a farlo spontaneamente. L’insegnante, infine, attua un feedback positivo all’intero gruppo e al bambino con frasi di approvazione e gratificazione dei vari comportamenti corretti. Questa metodologia va seguita anche per il rispetto di regole più generali, al di fuori del contesto ludico.

  • Lavori di gruppo, finalizzati alla piena integrazione del bambino, che all’interno del gruppo potrebbe apportare il suo contributo mediante la decorazione, oppure ritagliando e incollando materiale illustrato.

– Attività di drammatizzazione, laboratorio grafico-pittorico, onde proporre varie forme di comunicazione e di espressione.

Obiettivi per lo sviluppo delle attività psicomotorie.

  • Capacità di assumere posizioni su richiesta verbale o tramite osservazioni di immagini
  • Capacità di mantenere posizioni di immobilità sia ad occhi aperti che ad occhi chiusi
  • Capacità di spostarsi nell’ambiente in varie andature e direzioni stabilite, mantenendo l’equilibrio
  • Capacità di eseguire saltelli sul posto, movimenti alternati e asimmetrici
  • Capacità di eseguire percorsi su imitazione e su comando verbale
  • Capacità di eseguire vari giochi con la palla
  • Capacità di eseguire correttamente gesti legati ad azioni di vita quotidiana e di manipolare materiali di media e piccola dimensione

– Capacità di individuare le principali relazioni spaziali (davanti/dietro, sopra/sotto, vicino/lontano)

  • Capacità di riprodurre immagini rispettando le relazioni spaziali tra gli oggetti
  • Capacità di riordinare in sequenza tre o più immagini relative ad esperienze quotidiane
  • Capacità di individuare la relazione causa-effetto in coppie di immagini
  • Capacità di riconoscere la destra e la sinistra su se stesso, l’altro e su un’immagine

Attività e metodi

  • Fai come me: il bambino dovrà imitare varie posizioni assunte dall’insegnante o da un compagno, e successivamente guidare lui il gioco, invertendo i ruoli.
  • Fai come ti dico: l’insegnante invita il bambino ad assumere posizioni su richiesta verbale (Siediti! Alzati! Braccia in alto! Mani sulla testa! Toccati gli occhi! Mani ai fianchi! In ginocchio! Sdraiati sul tappeto! Solleva una gamba! Mani alle guance!) invitandolo ad eseguirle sempre più velocemente. Poi invita il bambino a verbalizzare un comando che sarà eseguito da un compagno.
  • Osserva e fallo anche tu: l’insegnante mostra al bambino un’immagine, invitandolo ad assumere la posizione o a mimare l’azione di vita quotidiana, in essa illustrata.
  • Più fermi che si può: l’insegnante invita il bambino a mantenere la posizione di immobilità più a lungo possibile (in piedi, con le mani ai fianchi, piedi uniti e braccia in avanti, con le mani alla testa).
  • Con gli occhi chiusi: ponendo un cerchio sul pavimento l’insegnante invita il bambino a mantenere la posizione di immobilità all’interno del cerchio (in piedi, in punta di piedi, in equilibrio su un piede).
  • Mi sposto così: l’insegnante propone al bambino varie andature in diverse posizioni (prona, supina, seduta, eretta, con le gambe flesse, gattoni).
  • Mi sposto di qua. Mi sposto di là: riproponendo le andature già descritte, l’insegnante inviterà il bambino a spostarsi verso una direzione stabilita (in posizione prona verso la porta, in posizione seduta verso di me, in ginocchio verso la palla).
  • Saltelli sempre più difficili: l’insegnante invita il bambino ad eseguire saltelli sul posto (a piedi uniti, a tre a tre, rispettando un ritmo, a piedi uniti e divaricati, alternando i piedi avanti e indietro).
  • Ora di qua, ora di là: l’insegnante propone dei movimenti alternati e asimmetrici, che farà eseguire da diverse posizioni (supino, seduto, ecc.): toccarsi alternativamente (la testa, le spalle, i piedi, i fianchi) ora con una mano ora con l’altra; portare in alto ora un braccio, ora l’altro; aprire e chiudere alternativamente le mani; flettere ed estendere alternativamente le gambe; spostare ed unire alternativamente i piedi; flettere ed estendere alternativamente le braccia.
  • Il percorso in disordine: l’insegnante dispone sul pavimento materiale vario (cerchi, birilli, corde, palloni, ecc.), invitando il bambino a spostarsi nell’ambiente senza urtare i vari oggetti, prima camminando liberamente, poi seguendo andature (a piccoli balzi, a passi pesanti, a piccoli passi, portando un oggetto, tenendo per mano un compagno, lentamente, velocemente, fermandosi ad un segnale prestabilito).
  • Il percorso ordinato: il materiale dovrà essere disposto sul pavimento in maniera ordinata e il bambino dovrà eseguire le regole stabilite (camminare sul materassino, poi passare tra i birilli, prendere la palla e metterla nel cesto).
  • Leggi ed esegui: l’insegnante mostra al bambino la rappresentazione grafica del percorso, invitandolo a costruirla sul pavimento.
  • Giochi con la palla sgonfia: il bambino afferra la palla lanciata dall’insegnante; il bambino lancia la palla all’insegnante; il bambino afferra la palla lanciata dall’insegnante e la lancia ad un compagno e così via; il bambino passa la palla da una mano all’altra facendola scorrere sul pavimento o sollevando le braccia; il bambino afferra la palla lanciata da varie direzioni; il bambino lancia la palla verso varie direzioni; il bambino lancia in alto la palla e la riprende; il bambino lancia la palla in alto, batte le mani e la riprende; il bambino lancia la palla e cerca di arrivare il più vicino possibile ad un oggetto stabilito.
  • Giochi con la palla gonfia: il bambino lancia la palla cercando di colpire un bersaglio; il bambino lancia la palla contro il muro e la riafferra; il bambino lancia la palla contro il muro, batte le mani velocemente e la riafferra; il bambino lancia la palla sul pavimento e la riafferra subito o dopo averla fatta rimbalzare una o due volte; il bambino lancia la palla per inserirla in un canestro.
  • Giochiamo insieme: un gruppo di bambini variamente disposti (seduti in cerchio, alternativamente seduti e in piedi, in fila, in riga) si passa la palla; un gruppo di bambini si passa la palla facendo precedere ogni passaggio da una battuta di mani o da un saltello o da un altro movimento stabilito.
  • Faccio da solo: l’insegnante utilizzando materiale apposito, ma soprattutto approfittando delle varie situazioni quotidiane, solleciterà il bambino ad eseguire correttamente i vari gesti che richiedono abilità fini-motorie (aprire e chiudere, girare la chiave, avvitare e svitare, distribuire, arrotolare, piegare, tagliare, infilare, annodare, allacciare, spalmare, spruzzare).
  • Sempre più piccolo: il bambino costruisce un’immagine   utilizzando materiali di dimensioni gradualmente più ridotte (cubi, blocchi logici, regoli, collage, chiodini nel telaio, puzzle, mosaico). 
  • Alto-basso, sopra-sotto, vicino-lontano, davanti-dietro, dentro-fuori, aperto-chiuso: l’insegnante mostra al bambino delle immagini, invitandolo a rispondere ad una serie di quesiti relativi alla posizione degli oggetti raffigurati o a distinguerne la collocazione spaziale attraverso i colori.
  • Destra- sinistra: l’insegnante invita il bambino a mostrare la mano che egli utilizza per disegnare, mangiare, ecc.; l’insegnante invita il bambino a mimare le varie azioni di vita quotidiana che implicano l’uso della mano dominante; l’insegnante invita il bambino a mostrare la mano che egli non utilizza per disegnare, ecc.; l’insegnante denomina le due mani, ponendo in maggiore risalto quella dominante (mettendo ad esempio al polso un nastro rosso); l’insegnante aiuta il bambino a localizzare anche altre parti del corpo (occhio destro, orecchio sinistro, ecc.), incollando sulla scarpa del piede dominante un adesivo; l’insegnante propone vari giochi ed esercizi per sollecitare nel bambino la capacità di riconoscere destra e sinistra sull’altro (toccare col piede destro il piede destro dell’insegnante, ecc.); l’insegnante propone al bambino di riconoscere destra e sinistra su immagini che rappresentano la figura umana o a colorare ciò che si trova a destra con un colore diverso rispetto a ciò che è a sinistra.  
  • Osserva e disegna: l’insegnante mostra al bambino due o più oggetti posti su un piano e lo invita a riprodurli attraverso il disegno rispettandone le relazioni spaziali.
  • Osserva, ricorda e disegna: l’insegnante mostra al bambino due o più oggetti posti su un piano e lo invita ad osservarli, quindi li sottrae alla sua vista, invitandolo a disegnarli. La stessa attività si può proporre attraverso un’immagine raffigurante due o più oggetti e poi coperta.
  • Immagini da riordinare: l’insegnante utilizzerà immagini da riordinare nella corretta successione temporale relative ad esperienze di vita quotidiana.
  • Individua la causa e l’effetto: l’insegnante mostra al bambino coppie di immagini legate da causalità, invitando il bambino a riflettere sulle azioni e sulle loro conseguenze.  

Obiettivi per lo sviluppo delle abilità linguistiche.

  • Capacità di denominare oggetti e definire azioni
  • Capacità di definire qualità relative ad oggetti ed immagini
  • Capacità di descrivere immagini formulando la frase minima
  • Capacità di narrare un’esperienza o una storia ascoltata
  • Capacità di pronunciare correttamente i vari fonemi
  • Capacità di ripetere correttamente parole e frasi
  • Capacità di formulare frasi con espansioni dirette e indirette

Attività e metodi:

  • I nomi delle cose: l’insegnante mostra al bambino prima un’immagine, poi due, poi due attinenti (divano e poltrona, albero e ramo) invitandolo a denominarle; l’insegnante mostra al bambino immagini incomplete, invitandolo a riconoscerle e denominarle; l’insegnante mostra al bambino immagini relative ad una stessa classe di appartenenza e lo invita a denominarle (i nomi dei giocattoli, delle stoviglie, degli strumenti musicali, dei frutti, degli ortaggi); l’insegnante mostra al bambino una serie di immagini attinenti e lo invita a denominarle e a definirne la classe di appartenenza.
  • I nomi degli animali: seguendo lo stesso procedimento l’insegnante propone al bambino di denominare immagini di animali.
  • I nomi dei mestieri: l’insegnante invita il bambino a denominare i mestieri degli adulti presenti nella scuola, quindi quello dei genitori, degli adulti con cui egli può venire facilmente in contatto (postino, fornaio, medico, ecc.), infine quello rappresentato nelle immagini.
  • I nomi dei negozi: l’insegnante disegna su grandi cartelloni i negozi conosciuti dal bambino, invitandolo ad incollarvi le immagini relative alla merce esposta o venduta; l’insegnante formula al bambino quesiti attinenti all’esperienza vissuta (dove si compra la carne, cosa si compra in farmacia, ecc.).
  • Modifichiamo i nomi: proponendo delle immagini già utilizzate, l’insegnante inviterà il bambino a formularne il maschile, il femminile, il plurale.
  • Dimmi l’azione: l’insegnante mostra al bambino immagini relative ad azioni, invitandolo a definirle; l’insegnante mostra al bambino due immagini relative ad azioni consecutive e lo invita a formulare le frasi utilizzando i connettivi prima…poi…; l’insegnante mostra al bambino coppie di azioni contrarie e lo invita a definirle.
  • Che cosa fa?: l’insegnante mostra al bambino una serie di immagini con lo stesso protagonista che svolge azioni diverse e lo invita a definirle.
  • Oggetti da esplorare: l’insegnante dispone sul tavolo alcuni oggetti e invita il bambino ad osservarli e toccarli, definendone poi le qualità (colore, dimensione, morbido- duro, liscio-ruvido, ecc.).
  • Com’è? Come non è?: L’insegnante mostra coppie di immagini e invita il bambino a definirne le qualità contrarie (sporco-pulito, pieno-vuoto, asciutto-bagnato, ecc.)
  • Qualità che cambiano: l’insegnante mostra al bambino coppie di immagini e lo invita a completare frasi contenenti connettivi temporali (prima il vestito era sporco, ora è pulito).
  • Io domando, tu rispondi: l’insegnante mostra al bambino un’immagine e lo invita a rispondere a quesiti (chi è? Cosa fa?)
  • Qual è l’immagine giusta?: l’insegnante mostra tre immagini relative allo stesso soggetto in azioni diverse e gli chiede di mostrarle quella richiesta (qual è l’immagine del cane che salta?).
  • Dimmi la frase: l’insegnante mostra al bambino un’immagine e lo invita a descriverla formulando la frase minima; l’insegnante, dopo aver mostrato un’immagine, formula una frase contratta e lo invita a ripeterla nella forma completa (bimbo scrive, mamma stira); l’insegnante mostra al bambino un’immagine, formula una frase in disordine e lo invita a ripeterla nel modo giusto (il dorme gatto, bambino il dipinge).
  • Io domando, tu rispondi: l’insegnante mostra delle immagini e pone dei quesiti ad esse relativi (chi è? Cosa fa? Con che cosa? Dove? Con chi?)
  • Qual è l’immagine giusta?: l’insegnante formula una frase con espansione diretta e invita il bambino a consegnare l’immagine ad essa relativa scegliendola in una serie (il babbo apparecchia la tavola); l’insegnante formula una frase con espansione indiretta e invita il bambino a consegnare l’immagine ad essa relativa scegliendola in una serie (il bimbo mangia con la forchetta, la bimba gioca in giardino); l’insegnante formula una frase contenente sia l’espansione diretta sia quella indiretta e invita il bambino a consegnare l’immagine ad essa relativa scegliendola in una serie (la bimba mangia un gelato sulla panchina, la maestra scrive una parola alla lavagna).
  • Ripeti la frase: l’insegnante mostra un’immagine e formula una frase (con la seguente successione: con espansione diretta, con espansione indiretta, con espansione diretta e indiretta, con più espansioni indirette), invitando il bambino a ripetere.
  • Dimmi la frase: l’insegnante mostra di volta in volta un’immagine e invita il bambino a descriverla formulando

una frase secondo quest’ordine: con espansione diretta, con espansione indiretta, con espansione diretta ed indiretta, con più espansioni indirette; l’insegnante mostra un’immagine, formula una frase incompleta e invita il bambino a ripeterla nel modo giusto (bimbo gioca palla giardino, mamma frigge patate padella).

  • La pronuncia: mostrare al bambino delle immagini relative a più oggetti, invitarlo prima a dirne i nomi, poi a pronunciarli velocemente, quindi al rallentatore; mostrare al bambino delle immagini relative a più oggetti inizianti con lo stesso fonema, invitarlo a pronunciarne i nomi allo specchio, per poi dire qual è il primo suono pronunciato.
  • Racconta: mostrare al bambino delle vignette e invitarlo a raccontarne il contenuto; raccontare semplici storie e invitare il bambino ad esporre il racconto ascoltato.

Obiettivi per lo sviluppo delle abilità logico-matematiche.

  • Capacità di confrontare insiemi in base alla quantità
  • Capacità di contare oggetti e di abbinare quantità e simbolo numerico
  • Capacità di risolvere problemi semplici e calcoli numerici entro la decina
  • Capacità di conoscere i numeri ordinali entro il decimo
  • Capacità di riconoscere le principali forme geometriche e le loro dimensioni
  • Capacità di individuare somiglianze e differenze
  • Capacità di completare una raccolta di immagini e forme geometriche
  • Capacità di individuare l’elemento estraneo ad un insieme
  • Capacità di seriare oggetti e immagini in ordine crescente e decrescente

Attività e metodi:

  • La quantità e gli insiemi: l’insegnante fa osservare al bambino una serie di insiemi e lo invita ad indicare quello con più oggetti, quello con meno oggetti, quello con un solo oggetto; l’insegnante invita il bambino a disegnare un insieme con tanti oggetti e un insieme con un oggetto; l’insegnante consegna al bambino del materiale (colori, penne, temperini) e lo invita a costruire insiemi su richiesta, compreso l’insieme vuoto.
  • Il confronto: maggiore, minore, uguale: l’insegnante propone delle schede raffiguranti due insiemi e dopo aver spiegato che quello maggiore è formato da un numero più elevato di elementi, quello minore da un numero più contenuto di elementi e quello uguale dallo stesso numero di elementi, chiede al bambino di ripassare di rosso l’insieme maggiore e di blu quello minore. Successivamente, partendo da un solo insieme l’insegnante chiede al bambino di costruirne uno maggiore e uno minore. Infine l’insegnante presenta al bambino diversi insiemi, invitandolo ad unire quelli che hanno lo stesso valore.
  • La corrispondenza: l’insegnante propone delle schede, in cui ad ogni oggetto corrisponde un personaggio o un animale (ad ogni gattino il suo gomitolo, ad ogni bambino il suo pallone) e invita il bambino a cerchiare i personaggi o gli animali rimasti senza oggetti.
  • Il numero giusto: l’insegnante invita il bambino ad abbinare i numeri giusti ad insiemi di oggetti, dopo averne contato gli elementi; l’insegnante abbina un numero ad ogni insieme vuoto e invita il bambino a riempirli con il numero di elementi corrispondenti, a sua scelta.
  • Ad ogni oggetto un simbolo: l’insegnante invita il bambino a contare un gruppo di oggetti, a far corrispondere a ciascun oggetto un simbolo (un sassolino, un fagiolo, ecc.) e, successivamente, a verificare che oggetti e simboli sono della stessa quantità; l’insegnante propone un’attività simile con le immagini (disegna una crocetta per ogni elemento dell’insieme: quanti sono gli oggetti dell’insieme? Quante sono le croci? Sono di più le croci o gli oggetti?)
  • Ad ogni numero un simbolo: l’insegnante invita il bambino a giocare con immagini e numeri per sviluppare la capacità di associazione e di simbolizzazione, quindi gli chiede di far corrispondere ad ogni simbolo numerico un disegno (casa=1, ciliegia=2, albero=3, fiore=4, gelato=5, palloncino=6, sole=7, luna=8, ruota=9, mela=0) e gli fa riprodurre ciascun simbolo su un cartoncino. A questo punto viene chiesto al bambino di leggere le varie associazioni simbolo-numero e a memorizzarle un po’ alla volta. L’attività successiva consisterà nel servirsi di questi simboli per far costruire degli insiemi con le quantità di elementi corrispondenti, o viceversa nell’abbinare i simboli ad una serie di insiemi con le relative quantità di elementi.
  • Insiemi a catena: l’insegnante aiuta il bambino a comprendere che al contare meccanico corrisponde una sequenza di insiemi ordinati. A tal fine presenta al bambino due insiemi, di cui uno vuoto, invitandolo a contare gli oggetti raffigurati nell’insieme pieno e a scriverne il numero, quindi gli chiede di ridisegnare gli elementi nell’insieme vuoto, con l’aggiunta di un elemento in più: quanti alberi hai disegnato? Scrivi il numero. E così via progressivamente, finché non forma una catena di 10 insiemi.
  • Catene al contrario: data la difficoltà di far numerare in senso regressivo, l’insegnante utilizzerà in un primo momento del materiale concreto per poi passare a forme ad attività più simboliche. L’insegnante invita il bambino a contare un gruppo di oggetti e, progressivamente, a toglierne sempre uno e a ricontare fino ad esaurimento degli oggetti stessi. L’insegnante, quindi, invita il bambino ad eseguire l’attività con materiale diverso, registrando questa volta le varie sequenze su una scheda, fino a formare una catena inversa alla precedente, aiutando il bambino a comprendere che numerare in ordine decrescente significa togliere progressivamente l’unità.
  • Più uno- meno uno: rimanendo entro la prima decina, l’insegnante invita il bambino ad eseguire esercizi o sul numero che precede o su quello che segue, prima aiutandosi con la rappresentazione grafica della quantità, poi in forma più simbolica (disegna l’insieme più uno; disegna l’insieme meno uno; scrivi il numero che segue; scrivi il numero che precede). L’insegnante consegna al bambino 10 cartellini bianchi e lo invita a scrivervi sopra i numeri da 0 a 9, quindi gli chiede di mescolare i cartellini e di riordinarli da 0 a 9 e, infine, da 9 a 0. L’insegnante invita il bambino a completare serie incomplete di numeri o a scrivere il numero giusto nei cartellini vuoti.
  • Che cosa apparirà?: L’insegnante consolida la conoscenza della sequenza dei numeri cardinali attraverso esercizi-gioco, in cui il bambino dovrà unire i puntini (dal numero più piccolo al numero più grande e viceversa) per vedere il disegno che apparirà.
  • Le addizioni: l’insegnante invita il bambino ad eseguire l’unione di insiemi utilizzando i simboli numerici e il simbolo “+“; l’insegnante invita il bambino a ridisegnare gli elementi di due o più insiemi all’interno di un insieme unione, quindi lo invita ad utilizzare i simboli numerici e a completare la scrittura del “conto” (Quanti sono i tulipani? Scrivi il numero. Quante sono le margherite? Scrivi il numero. Porta i tulipani nell’insieme grande. Porta le margherite nell’insieme grande. Conta tutti i fiori e scrivi il numero. Ora scrivi il conto). L’insegnante invita il bambino a leggere un conto (7 + 2 =) e a rappresentare l’addizione con gli insiemi. Il bambino sarà, così, in grado di illustrare graficamente semplici addizioni o di eseguire calcoli rappresentati graficamente.
  • La sottrazione: l’insegnante invita il bambino ad osservare immagini che rappresentano situazioni problematiche e a commentarle, individuando dati quantitativi e rispondendo a vari quesiti (esempio: una scheda illustra 8 bicchieri, di cui 3 rotti. Viene chiesto al bambino: Quanti bicchieri erano? Quanti bicchieri sono stati rotti? Quanti ne sono rimasti? Scrivi il conto). L’insegnante invita il bambino a rappresentare graficamente semplici calcoli: dopo aver presentato un conto (9- 3= ), chiede al bambino di disegnare 9 palline e di chiuderle in un insieme, di cerchiare 3 palline e di farle uscire dall’insieme, di calcolare le palline rimaste e di scrivere il risultato. L’insegnante invita il bambino ad eseguire semplici sottrazioni, in assenza di rappresentazione grafica, servendosi delle dita delle mani. L’insegnante invita il bambino ad eseguire semplici sottrazioni usando la numerazione regressiva e aiutandosi con l’uso delle dita: dopo aver presentato il conto (8 – 3 =), chiede al bambino di partire da 8 e di tornare indietro di tre numeri, oppure, viceversa, di partire dal numero più piccolo (3) per raggiungere il più grande (8).
  • I numeri ordinali: in un primo momento l’insegnante dovrà ricorrere all’attività motoria (chi è il primo della fila? Chi è l’ultimo? Dal primo all’ultimo dite la vostra posizione), successivamente potranno essere proposti esercizi via via più complessi (scheda illustrante una scala con 10 gradini, occupati da vari animali: chiedere al bambino su quale gradino si trova la tartaruga o quale animale occupa il sesto gradino, ecc.).
  • Le forme e le dimensioni: l’insegnante propone al bambino una scheda illustrante una figura geometrica di tre dimensioni diverse, variamente contrassegnate, e chiede al bambino di mettere il contrassegno giusto alle figure che ne sono prive, seguendo i modelli raffigurati. L’insegnante mostra una scheda raffigurante cerchio, triangolo e quadrato, ognuno avente tre dimensioni differenti, e chiede al bambino di congiungere con tre linee di diverso colore   le figure aventi la stessa forma. L’insegnante disegna tre diverse figure geometriche in una determinata dimensione (grande, media, piccola) e chiede al bambino di disegnare le dimensioni mancanti.
  • Problemi illustrati: l’insegnante invita il bambino ad osservare e a descrivere immagini che rappresentano situazioni problematiche (nel cortile ci sono 3 pulcini e 4 oche. Quanti animali in tutto?)
  • Problemi un po’ scritti, un po’ illustrati: l’insegnante propone al bambino la lettura del testo di un problema con il supporto delle immagini (“Nel giardino della scuola ci sono tanti fiori e Paolo e Antonella vanno a raccoglierli.” Segue la rappresentazione dei fiori raccolti da Paolo e di quelli raccolti da Antonella. Si chiede la bambino: quanti fiori sono stati raccolti in tutto?)
  • Problemi con questionario: l’insegnante invita il bambino a leggere il testo di un problema e a rispondere ad una serie di quesiti (“La mamma ha comprato tanti palloncini da gonfiare e vuole darli ai suoi due bambini. La mamma vuole però fare le parti uguali: ogni bambino deve avere lo stesso numero di palloncini.” Si chiede al bambino: di chi si parla? Che cosa fa la mamma? Chi riceve i palloncini? Chi distribuisce i palloncini? Quanti sono i palloncini raffigurati? Quanti sono i bambini? Quanti palloncini riceve ogni bambino?)
  • Le raccolte di immagini: l’insegnante dovrà avere a disposizione varie immagini per costruire insiemi di oggetti, facenti parte della stessa categoria. Successivamente mostrerà al bambino altre immagini chiedendogli se possono essere inserite nell’insieme.
  • Le raccolte di forme: l’insegnante potrà usare i blocchi logici o materiale geometrico in cartoncino per costruire insiemi di forme geometriche e il bambino dovrà dire se tali forme sono pertinenti all’insieme costruito o estranee.
  • Lavoro su schede: l’insegnante può proporre esercizi riportati su schede, chiedendo al bambino quale oggetto può essere inserito nell’insieme e quale deve essere tolto perché estraneo.
  • Cerca il più grande. Cerca il più piccolo: l’insegnante fornisce al bambino una serie di oggetti (automobiline di varia dimensione) e lo invita a consegnare sempre il più grande, fino ad esaurimento degli oggetti. A mano a mano che gli oggetti vengono consegnati, l’insegnante costruisce la seriazione, quindi mette in disordine gli oggetti e invita il bambino a ricostruire la seriazione.
  • Dal più piccolo al più grande. Dal più grande al più piccolo: l’insegnante potrà utilizzare immagini, invitando il bambino ad elaborare l’ordine crescente.

Obiettivi per lo sviluppo delle abilità di lettura e scrittura.

  • Capacità di comprendere l’associazione fonema-grafema
  • Capacità di leggere e scrivere parole
  • Capacità di leggere e scrivere frasi comprendendone il significato.

Attività e metodi:

  • I giochi allo specchio: l’insegnante pronuncerà allo specchio, insieme al bambino, varie parole cercando di scandirle chiaramente e lentamente e utilizzando immagini stimolo; l’insegnante invita il bambino a denominare un’immagine osservandosi nello specchio; l’insegnante invita il bambino a ripetere su imitazione la sequenza dei fonemi relativi alla parola scelta; l’insegnante invita il bambino a ripetere da solo la parola scandendo i vari fonemi; l’insegnante pronuncia al rallentatore una delle parole precedenti e invita il bambino ad indovinarla; l’insegnante pronuncia una parola per intero e invita il bambino a ripeterla al rallentatore; l’insegnante fa riflettere il bambino sul fatto che ad ogni fonema pronunciato corrisponde una diversa posizione della bocca; l’insegnante mostra al bambino alcune immagini che rappresentano la posizione della bocca durante la pronuncia di vari fonemi e lo invita prima ad imitarle allo specchio, poi a produrre il fonema da esse rappresentato.
  • Ad ogni suono un segno: l’insegnante mostra al bambino cinque cartelloni, che riproducono le vocali, quindi lo invita a ripetere su imitazione i fonemi relativi ai cinque grafemi; l’insegnante di fronte allo specchio invita il bambino a leggere le vocali, quindi gli chiede di abbinare i cartellini alle immagini che illustrano le relative posizioni della bocca; utilizzando solo due, tre cartellini per volta l’insegnante stimola il bambino a memorizzare i vari grafemi, quindi propone al bambino dei giochi in cui egli dovrà scoprire la vocale o le vocali mancanti dai cartellini disposti sul banco, o, guardando una figura, dovrà dire con quale vocale inizia l’oggetto rappresentato; l’insegnante dispone sul banco, accanto ai cinque cartellini, alcuni doppioni, invitando il bambino ad indovinare le vocali ripetute; l’insegnante usando un solo cartellone raffigurante alla rinfusa le vocali variamente ripetute, invita il bambino ad eseguire una ricerca visiva dei grafemi di volta in volta proposti, cerchiandoli o sbarrandoli; l’insegnante propone al bambino di costruire i vari grafemi utilizzando asticelle e tondi; l’insegnante invita il bambino a scrivere i grafemi; l’insegnante invita il bambino a denominare immagini pronunciando i vari nomi con le sole vocali (sole: oe, mela: ea) e a scrivere nella giusta sequenza le vocali contenute nei vari nomi; l’insegnante invita il bambino a scrivere grafemi sotto dettatura.
  • Lettura di sillabe e di parole bisillabe piane: utilizzando i cartellini l’insegnante propone la lettura di sequenze di grafemi via via più complesse (ma, sa, lu, il, mio, tuo, sua, uva, amo, ape), quindi di parole bisillabe piane (lana, pera); l’insegnante chiede al bambino di mettere in relazione la sequenza di grafemi con l’immagine corrispondente; l’insegnante invita il bambino a leggere i cartellini cercando di unire la voce; l’insegnante invita il bambino a leggere parole suddivise in sillabe; l’insegnante propone attività di ricerca visiva sia di sillabe sia di parole inizianti con una determinata sillaba.
  • Lettura di parole trisillabe: l’insegnante propone al bambino la lettura di parole trisillabe piane, prima senza staccare la voce e poi suddividendole in sillabe (ta-vo-lo).
  • Lettura di parole con vocale e consonante intermedia: l’insegnante propone al bambino la lettura di parole trisillabe piane con vocale e consonante intermedia, prima senza staccare la voce e poi in forma spezzata, in modo da fare risaltare il fonema isolato (fi-o-re, bu-s-ta).
  • Scrittura di sillabe e di parole bisillabe piane: utilizzando il quaderno a righe comunemente usato in quarta e in quinta il bambino scrive i corrispondenti grafemi dei fonemi isolati pronunciati dall’insegnante; l’insegnante pronuncia prima in forma sintetica poi in forma analitica sillabe isolate, (e successivamente parole bisillabe piane), e invita il bambino a scriverle entro spazi stabiliti nel quaderno.
  • Scrittura di parole trisillabe piane e con vocale e consonante intermedia: l’insegnante pronuncia parole trisillabe piane prima in forma sintetica poi al rallentatore, invitando il bambino a scrivere; l’insegnante pronuncia parole trisillabe piane prima in forma sintetica, poi analizzandone le sillabe, invitando il bambino a scriverle nell’uno e nell’altro modo; l’insegnante pronuncia parole con vocale e consonante intermedia prima in forma sintetica, poi al rallentatore e il bambino scrive; l’insegnante pronuncia parole con vocale e consonante intermedia analizzando le sillabe piane ed associando un gesto (il sollevamento di una mano, ecc,) al fonema intermedio.
  • Scrittura di parole contenenti sillabe complesse e doppie consonanti: l’insegnante pronuncia parole contenenti sillabe complesse e analizza i vari fonemi, invitando il bambino a ripetere e a scrivere; l’insegnante pronuncia al rallentatore una parola contenente una sillaba complessa e il bambino cerca di indovinare pronunciando il nome per intero ed eseguendo poi la scrittura (s-t-r-a-d-a: strada). La stessa metodologia va usata per le parole contenenti una doppia consonante (palla, latte); l’insegnante pronuncia parole con doppia consonante dividendole in pezzi: al pezzo senza doppia fa corrispondere la battuta di una mano sul tavolo, al pezzo con la doppia fa corrispondere la battuta di tutte e due le mani sul tavolo, invitando il bambino a indovinare la parola, a ripeterla e a scriverla (pa-llo-ne).
  • Il ritmo articolo-nome: l’insegnante invita il bambino a leggere sequenze articolo-nome utilizzando prima i cartellini e poi il quaderno; l’insegnante invita il bambino a porre in relazione sequenze articolo-nome con le immagini corrispondenti; l’insegnante invita il bambino a leggere una sequenza articolo-nome e a tradurla oralmente al singolare o al plurale; l’insegnante invita il bambino a scrivere sotto dettatura sequenze articolo-nome; l’insegnante invita il bambino a scrivere sequenze articolo-nome relative ad immagini date entro spazi stabiliti; l’insegnante propone al bambino schede illustranti vari oggetti accanto agli articoli o ai nomi corrispondenti, invitandolo a completare con l’aggiunta dei nomi o degli articoli mancanti; l’insegnante mostra erronee combinazioni di sequenze articolo-nome, chiedendo al bambino di collegare le forme corrette:
  • La sequenza articolo-nome-azione: l’insegnante invita il bambino a leggere tali sequenze e a ripeterle oralmente, poi a scriverle; l’insegnante invita il bambino a leggere frasi con parole attaccate (ilcanecorre) e lo invita a dividerle nel modo giusto; l’insegnante invita il bambino a ripetere frasi facendo corrispondere ad ogni parola una battuta di mani; l’insegnante invita il bambino a scrivere frasi sotto dettatura dopo averle scandite ritmicamente; l’insegnante mostra al bambino un’immagine, chiedendogli di descriverla e di scrivere la sequenza articolo-nome-azione (il bimbo beve).
  • La sequenza articolo-nome-azione-espansione: l’insegnante invita il bambino a leggere frasi con espansione diretta e a collegarle con l’immagine corrispondente; l’insegnante invita il bambino a completare frasi con la giusta espansione (Simone scrive un libro/ Antonio legge il panino/ Anna mangia una lettera); l’insegnante invita il bambino ad osservare immagini e a completare le frasi ad esse relative, o a riscrivere frasi sostituendo le parole alle immagini; l’insegnante invita il bambino ad osservare immagini e a riordinare le frasi ad esse relative (la colpisce birilli i palla); l’insegnante invita il bambino a descrivere immagini e a scrivere le frasi ad esse relative; l’insegnante invita il bambino a leggere frasi con espansione indiretta e a porle in relazione con le relative immagini, poi a scriverle; l’insegnante invita il bambino a mettere in relazione pezzi di frasi (i bambini giocano con il pennello/ la maestra scrive con il pennarello/ Serena dipinge a nascondino); l’insegnante invita il bambino a scrivere le didascalie sotto ad una sequenza di immagini; l’insegnante invita il bambino a leggere una frase con espansioni dirette ed indirette e a rispondere ad un semplice questionario (Matteo e Laura sono seduti sulla panchina del giardino: come si chiamano i bambini? Dove sono seduti? Dov’è la panchina?); l’insegnante invita il bambino a leggere una sequenza di frasi e a rispondere ad un questionario (il gatto guarda il vaso con il pesciolino/ il gatto tenta di prendere il pesciolino/ la mamma fa scappare il gatto: chi sono gli animali della storia? Cosa fa il gatto? Cosa fa la mamma?); l’insegnante invita il bambino a leggere un breve testo, a riferirlo oralmente e a rispondere a semplici quesiti.

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