
28 Giu Saper ascoltare un bambino piccolo
Alla base di ogni comunicazione vi è certamente un buon ascolto. Vi sono vari tipi di ascolto, ma non tutti sono efficaci al fine di ottenere un’adeguata comunicazione.
-
L’ascolto apatico o passivo.
Questo tipo di ascolto è caratterizzato dalla scarsa o totale assenza di attenzione e partecipazione ai bisogni dell’altro. È un ascolto privo di energia, distratto, stanco, spento morto. È un ascolto vuoto di segnali, praticato da genitori disinteressati o incapaci di ascoltare, spesso totalmente assorbiti dai loro processi interni, dalle loro occupazioni e dai loro ragionamenti interiori, che impediscono di mettersi in intima relazione con i figli.
Gli strumenti elettronici, troppo spesso presenti nelle mani di padri e madri durante buona parte del giorno, possono stimolare questo tipo di ascolto, che non solo non è utile, ma con facilità può provocare rabbia e stizza nel bambino, il quale cerca, desidera e avrebbe bisogno di un vero e profondo dialogo.
Lo spiega molto bene Trevisan D.:
‹‹Per dare il peggio di sé nell’ascolto è sufficiente interrompere, giudicare, non ascoltare, distrarsi, ascoltare mentre si guarda la tv, o si digita su uno smartphone, non guardare le persone, distorcere ogni possibile interpretazione…››.[1]
-
L’ascolto a tratti.
È un tipo di ascolto attento in alcuni momenti ma distratto in altri.
-
L’ascolto selettivo.
Va a cercare informazioni molto precise, ma non riesce ad essere vicino e in sintonia con il bambino.
-
L’ascolto empatico
Il più efficace tipo di ascolto è sicuramente l’ascolto empatico. Empatia, dal greco sofferenza, sentimento, è una parola usata per descrivere la capacità di mettersi nei panni dell’altro per poter sentire e avvertire quello che l’altro prova. Ciò richiede la sottile capacità di sintonizzarsi emotivamente e capire i livelli più nascosti, emotivi e personali, di chi ci sta accanto, nel nostro caso i vissuti del figlioletto. L’empatia, quando è genuina, getta le basi per un’interazione molto profonda e coinvolgente e riesce a creare con facilità un’interazione spontanea tra i genitori e il loro bambino.
Per dare una risposta empatica efficace è molto importante essere sulla frequenza dell’emozione sperimentata dal piccolo, ma anche sull’intensità delle emozioni da questi vissute (Bilbao Á.).[2] L’empatia è uno strumento molto potente perché scatena un effetto rasserenante e calmante sulla persona che si sente pienamente compresa (Bilbao Á.).[3] Questa può essere espressa anche a parole, ma uno sguardo di comprensione, una carezza, un bacio o un abbraccio possono essere molto più chiari ed efficaci di mille parole.[4] L’empatia aiuta il piccolo a calmarsi in situazioni in cui è angosciato o sopraffatto da intense emozioni negative, quali l’ansia, la tristezza, la frustrazione o la rabbia; nello stesso tempo migliora e fa crescere le capacità di gestione delle emozioni e dei vissuti interiori del bambino piccolo, il quale riesce a comprendere meglio sé stesso e a mettere in connessione emozioni e pensieri.
Si parla, in questi casi, di ascolto efficace, poiché non solo è utile nel raccogliere informazioni e comprendere meglio la situazione del figlio in quel determinato momento, ma è anche una modalità di ascolto capace di accogliere in maniera piena le sue richieste, i suoi bisogni e, quando è dolorosamente presente, anche la sua sofferenza (Lombardo P.). [5]
È giusto manifestare i sentimenti affettuosi in tutti i modi e quindi anche con le parole; è, tuttavia, importante, che dietro le parole vi siano dei comportamenti coerenti e adeguati. Non ha quindi molto senso, dire ai figli: ‹‹Ti voglio bene. Sei il mio amore, il mio tesoruccio!›› quando il suo bene viene trascurato sistematicamente!
In definitiva è importante mettersi in ascolto dei propri figli con empatia verso di loro. Questo tipo di ascolto è il più adatto in quanto è capace di manifestare nello stesso tempo piacere e gioia, affetto e attenzione, durante l’interazione verso il piccolo (Trevisani D.),[6] ed essendo questo tipo di ascolto molto delicato e profondo spesso ottiene l’incontro e l’intesa con il proprio bambino.
Il silenzio interiore
Per mettersi in ascolto e riuscire a comprendere un piccolo essere umano, come un neonato o un bambino piccolo, che utilizza soprattutto messaggi non verbali di difficile interpretazione, è indispensabile che i genitori e soprattutto la madre, riescano a creare attorno e dentro di loro un notevole silenzio. Purtroppo, riuscire a creare il silenzio interiore è più facile a dirsi che a farsi. Se nelle società più semplici e povere di oggetti tecnologici questo tipo di introspezione era ed è facilitato, in quanto l’ambiente di vita lo favorisce, lo accoglie e lo valorizza, nelle società più complesse e più ricche di strumenti di comunicazione come le nostre, il raggiungimento di questo obiettivo è notevolmente arduo e problematico, in quanto gli altri: amici, parenti, colleghi di lavoro ecc., si aspettano, pretendono e vogliono da noi, alcuni tipi di comportamenti.
Essi si aspettano che si abbia almeno un cellulare, un televisore, una radio e un computer collegato ad Internet con posta elettronica in cui ricevere le varie e-mail e i WhatsApp e si meravigliano e alcuni si scandalizzano pure, se non vedono il nostro viso su Facebook, Instagram e su altri social. Gli altri pretendono risposte rapide, se non immediate ad ogni messaggio da loro inviato, così come desiderano che il nostro cellulare e gli altri mezzi di comunicazione siano sempre attivi, pronti a ricevere le varie chiamate.
In conclusione, gli altri si aspettano che noi restiamo sempre collegati alla rete di comunicazione globale e costantemente pronti ad interagire con loro. Lo staccarsi da questa rete, anche se per breve tempo, è avvertito e giudicato negativamente. Pertanto, per non essere mal valutati si è costretti ad adeguarsi rapidamente e pienamente all’uso corrente. Inoltre, le attese e le richieste del mondo del lavoro e delle varie amministrazioni, le necessità dell’ambiente sociale, sono tali e tante che è difficile escludere, per il tempo necessario alla riflessione, le preoccupazioni e gli impegni che, come un rumore di fondo, si agitano dentro di noi, creando confusione, inquietudine e ansia. Cosicché diventa complicato riuscire a mettersi in ascolto dei delicati, tenui e complessi segnali emessi da un bambino piccolo.
Difficile è, inoltre, creare il silenzio interiore quando l’ansia, la depressione o lo stress agitano l’animo di chi soffre di queste problematiche. Nella nostra società super competitiva, di questo tipo di stress soffrono sia gli uomini sia le donne, anzi soprattutto queste ultime, poiché sono costrette a barcamenarsi tra i tanti ruoli che le moderne società impongono loro, affinché si sentano perfettamente “libere, impegnate ed integrate!” Questo tipo di donne che si sentono in dovere di fare tutto e bene, si accorgono presto o tardi di fare troppo e male e di essere cadute in una trappola sociale, in quanto notano ben presto che al loro malessere si associa anche il malessere dei figli e delle persone che sono a loro vicine.
Altra caratteristica che restringe e limita le capacità e possibilità di ascolto, è la personalità in cui è presente un Io ipertrofico. Questo tipo di personalità spesso è portato a riflettere poco, in quanto crede di possedere già tutte le informazioni che servono per capire e prendere delle decisioni. In questi casi l’eccessiva sicurezza, con conseguente scarsa ponderatezza, impedisce di soffermarsi a controllare sia quanto è avvertito e comunicato dal bambino piccolo, sia la qualità e l’utilità delle risposte date.
Le conseguenze del mancato ascolto
Le conseguenze che si hanno quando un bambino piccolo non viene ascoltato o non si risponde in maniera corretta ai suoi bisogni ed esigenze, sono numerose: si va da una maggiore irritabilità e quindi da un aumento del pianto e delle manifestazioni di insofferenza, alla depressione, all’apatia o a disturbi psicologici di varia natura e gravità, fino al bisogno di chiudersi in sé stesso, diffidando di un mondo poco consono ai propri bisogni più elementari. Come hanno dimostrato varie ricerche, anche i cuccioli degli animali, se non capiti dalla madre, rifiutano il cibo, diventano irritabili, aggressivi e, nei casi più gravi, si chiudono in sé stessi e si lasciano morire.
Una corretta decodifica
La decodifica corretta dei messaggi richiede alcune indispensabili condizioni:
-
Buone capacità intellettive.
Queste capacità permettono la corretta acquisizione, memorizzazione, analisi ed elaborazione dei segnali emessi dal bambino. Morin la chiama: comprensione intellettuale o oggettiva.[7] In tal modo, in ogni momento i genitori possono utilizzare delle giuste ed efficaci chiavi di lettura. Modeste o scarse capacità intellettive non permettono di fare ciò, in quanto l’esatta interpretazione di quanto visto, udito, toccato, sfugge ad un esame lacunoso ed incompleto.
-
Sufficienti capacità empatiche.
Accanto a buone capacità intellettive i genitori, ma soprattutto le madri, devono avere buone capacità empatiche. Pertanto, devono essere in grado di immedesimarsi e identificarsi nel bambino, fino a cogliere, in ogni momento, i suoi pensieri ed i suoi stati d’animo più profondi, senza la necessità di effettuare un’analisi razionale. Queste capacità che oggi alcuni studiosi collegano al buon funzionamento dei neuroni specchio, permettono alla madre di essere ‹‹particolarmente recettiva nel cogliere intuitivamente gli stimoli emozionali e corporei del bambino come li vivesse da sé››. (Fornaro M.).[8]
-
Corretta educazione e buon tirocinio.
Una buona madre o anche una madre sufficientemente buona, possiede nel suo corredo cromosomico tutte le potenzialità per una buona interpretazione dei messaggi, se ha anche ricevuto un’educazione adeguata. Non basta il cosiddetto istinto materno, se questo non viene costantemente sollecitato, potenziato e sviluppato, mediante l’educazione e l’esperienza. Purtroppo, questa preparazione è molto carente nelle moderne società, in quanto si è scelto di valorizzare, sia in famiglia, sia a scuola, una preparazione di tipo tecnico-professionale, utile per una futura attività produttiva e lavorativa, trascurando in maniera eclatante l’educazione emotivo e affettiva, che ha come scopo lo sviluppo di tutte le capacità necessarie per affrontare nel miglior modo, i futuri ruoli di madre e padre.
Per tale motivo, ormai da decenni non sono trasmesse in maniera adeguata e nei momenti più opportuni, le fondamentali, specifiche informazioni e conoscenze riguardanti i bisogni dei bambini, i loro strumenti di comunicazione, l’uso che essi ne fanno, i significati dei segnali da loro emessi. La drammatica conseguenza di queste mancate conoscenze costringe i genitori a relazionarsi con i figli senza avere il necessario bagaglio che può permettere di offrire ai loro piccoli le più adeguate ed appropriate risposte.
Tali difficoltà si aggravano anche per la mancanza di un indispensabile, lungo e corretto tirocinio che dovrebbe essere effettuato con i piccoli all’interno della famiglia d’origine. Questa carenza è dovuta allo scarso numero delle nascite, ma anche alla modesta composizione della rete familiare. Inoltre, anche quando sono presenti dei bambini piccoli, manca spesso un valido, continuo ed efficiente tutoraggio materno, in quanto i figli sono affidati sempre più spesso ad altre istituzioni, come gli asili nido, o ad altre mani e cuori, come le nonne, le tate e le baby-sitter.
-
Una sufficiente serenità interiore.
Una buona serenità interiore è indispensabile per una corretta e sana comunicazione tra madre e figlio. Tutte le alterazioni psicologiche provocate dall’ansia, dalla depressione, dall’irritabilità, dalla facile eccitabilità, ma anche dallo stress eccessivo, dall’uso di alcool e droghe di ogni tipo, disturbano, più o meno intensamente, più o meno gravemente, il dialogo genitore-figlio. Queste alterazioni della psiche incidono soprattutto nelle comunicazioni più delicate e complesse come quelle tra un bambino piccolo e la propria madre.
-
Buone capacità e disponibilità nel dare risposte coerenti, stabili, complete e soddisfacenti.
Non basta ascoltare un messaggio, non basta interpretarlo correttamente, bisogna anche riuscire a dare delle risposte complete e soddisfacenti, stabili e coerenti nel tempo, rispetto ai bisogni del lattante e del bambino piccolo. La risposta coerente comporta delle azioni successive che siano in sintonia con la richiesta contenuta nel messaggio: ‹‹Ho capito che hai sete e quindi ti do da bere››. La risposta incoerente, al contrario, non tiene conto del messaggio in arrivo: ‹‹Ho capito che hai sete, ma poiché in questo momento sto discutendo e non ho voglia di alzarmi, faccio finta di non capire e ti dico di stare buono e zitto››. Per evitare di dare una risposta coerente si può fare anche di peggio, come accusare il figlio di fare delle richieste inopportune e capricciose: ‹‹Possibile che ogni volta che chiacchiero con le amiche tu mi debba disturbare con le tue richieste?››
La risposta è stabile nel tempo quando chi ha cura del bambino continua ad offrire sempre lo stesso tipo di comportamento positivo. Le risposte sono complete e soddisfacenti quando i bisogni del bambino sono soddisfatti pienamente e non solo in parte.
Vi sono dei genitori che non sembrano capire i bisogni del loro bambino, anche quando questi bisogni sono espressi in modo chiaro ed esplicito. In questi casi le risposte sono spesso non coerenti con le richieste del piccolo, sono contrastanti, molteplici, ricche d’ansia, ed in definitiva poco consone ai suoi bisogni.
Le difficoltà nella corretta decodifica e nel dare risposte stabili, coerenti, complete e soddisfacenti possono essere causate da:
Scarsa sensibilità nei confronti dei segnali in arrivo.
Vi sono dei genitori che avvertono un segnale dal figlio solo se questo è molto intenso, vigoroso e costante. In caso contrario è come se non esistesse. Si può fare l’esempio dei sordastri i quali riescono a comprendere le parole ascoltate solo quando il suono che raggiunge il loro apparato uditivo è molto intenso. Allo stesso modo in alcune persone, a causa di problematiche interiori: ansie, tristezze, preoccupazioni, stress, o continue distrazioni, la soglia percettiva è più alta della norma, per cui esse avvertono il messaggio solo se questo ha caratteri eclatanti e supera la barriera dei loro pensieri interiori. Ciò naturalmente irrita il bambino piccolo il quale vorrebbe, invece, essere rapidamente capito e soddisfatto nei suoi bisogni essenziali, senza la necessità di piangere a più non posso e disperarsi prima di ottenere quanto gli è dovuto.
Errata interpretazione dei segnali.
Il segnale o i segnali che il piccolo bambino emette possono arrivare alla nostra coscienza normalmente, ma essere male interpretati. Ad esempio: la madre può pensare erroneamente che il suo bimbo pianga in quanto ha bisogno di essere cullato, mentre in realtà egli vorrebbe soltanto essere cambiato di posizione. Per tale motivo l’esser cullato non solo non raggiunge lo scopo di calmarlo, ma al contrario può farlo innervosire maggiormente, in quanto egli si sente non capito o, peggio, teme di non essere in grado di farsi capire. La stessa cosa avviene quando la madre pensa che il suo strillare sia dovuto alla fame, per cui cerca di dargli da mangiare, mentre il suo pianto era causato da coliche addominali e pertanto il cibo aggiunto non fa che aumentare l’indisposizione del figlio.
Nel caso delle madri, gli apporti esterni, soprattutto di tipo affettivo e culturale, sono importanti per riuscire a capire e rispondere adeguatamente al proprio piccolo. Questi apporti dovrebbero venire, oltre che dai genitori della donna, specie della propria madre, da parte di un marito o comunque di un partner comprensivo, affettuoso, ma anche sereno e sicuro di sé. Purtroppo, nella nostra società, che vive convulsamente anche i rapporti più basilari e teneri, manca spesso l’apporto del marito o comunque del padre del bambino, a causa degli orari di lavoro rigidi o prolungati, come è carente il sostegno quando questi si trova lontano da casa in un’altra città o regione.
Per fortuna molte madri, pur sbagliando, imparano rapidamente dagli errori e correggono il tiro, mentre altre, poco flessibili, continuano imperterrite a mantenere gli stessi comportamenti non idonei, per cui la sofferenza del piccolo, fatta anche di rabbia e di sfiducia nelle persone che hanno cura di lui, diventerà più intensa e prolungata nel tempo.
Giudizi negativi sul figlio.
Alcuni genitori, pur di non ammettere i propri errori di valutazione e interpretazione, mettono sotto accusa il figlio dandogli degli immeritati giudizi negativi: ‹‹Questo bambino è cattivo e capriccioso, non sa neppure lui cosa vuole e non fa altro che disturbarmi inutilmente. E allora si arrangi. Pianga e strilli quanto vuole. Io non intendo farmi coinvolgere dai suoi capricci››. Alcuni genitori, addirittura chiudono il figlio nella stanza più lontana della casa, per non sentire i suoi strilli! Lo stesso comportamento attuano quei genitori che tendono a focalizzare l’attenzione sulla propria persona e pertanto non sono disponibili all’ascolto dei bisogni altrui, se non sono in linea con i propri.
Questi genitori, se trovano un figlio che si sintonizza rapidamente con i loro bisogni e abitudini, così da accettare facilmente i loro orari, per cui: dorme quando essi dormono, resta sveglio quando loro sono svegli, mangia quando loro mangiano e così via, riescono ad instaurare con lui un buon rapporto, ma se per caso il piccolino ha ritmi diversi di sonno – veglia o si alimenta in momenti o modi diversi rispetto a quelli che essi avevano programmato, si impuntano e resistono ai suoi richiami. ‹‹Per non cedere ai suoi capricci e per ben educarlo!›› diranno, mentre in realtà stanno difendendo soltanto i loro bisogni e le loro abitudini.
Presupposti errati o eccessivi.
I presupposti errati possono nascere da idee personali, influenzate da preconcetti o da parziali e limitate esperienze. Questi presupposti possono provenire dall’accettazione passiva di una delle tante teorie che circolano sulla rete Internet, nei libri, nei giornali, nelle riviste poco qualificate, dalla Tv o dalla radio. Questo fenomeno si è notevolmente ampliato oggi in quanto, a differenza che nel passato, siamo costantemente bombardati da una grande massa di informazioni poco attendibili e serie. Tutto ciò condiziona negativamente i genitori, soprattutto i genitori più fragili e immaturi.
-
Visione egocentrica della realtà.
La visione egocentrica della realtà vorrebbe che il bambino amasse, desiderasse oppure rifiutasse e odiasse, ciò che noi amiamo, desideriamo, rifiutiamo o odiamo: ‹‹Siccome io sento caldo, penso che anche mio figlio debba avvertire caldo››; ‹‹Poiché a me piacciono gli spaghetti, penso che anche il mio bambino debba apprezzarli››. La visione egocentrica inserisce, come fondamento dei propri comportamenti, le proprie sensazioni, i propri desideri, le proprie emozioni, la personale visione della realtà e non i gusti, i desideri ed i bisogni dell’altro. Questo vedere la realtà con i propri occhi e con il proprio sentire e non con i bisogni altrui, fa accettare con difficoltà altri modi di essere ed altri vissuti.
Difficoltà nel soddisfare i bisogni del bambino piccolo.
Alcune volte i genitori comprendono perfettamente la o le richieste del figlio, ma non hanno energie sufficienti o voglia di soddisfarle: ‹‹Capisco che mi chiede di fargli da mangiare ma, in questo momento, nonostante la mia buona volontà, non ho la forza sufficiente per accontentarlo››; ‹‹Capisco che vorrebbe essere abbracciato per sentirsi protetto ma, giacché in questo momento mi sento fragile e pertanto sono io che vorrei essere abbracciata, in modo tale da sentirmi sicura e confortata, non riesco ad esaudire il suo desiderio ed il suo bisogno››.
La mancanza di disponibilità, di forze e di energie necessarie per dare al bambino le cure necessarie, può essere dovuta a:
- condizioni organiche, come le malattie debilitanti, i deficit ormonali, l’abuso di alcool, l’uso di droghe o psicofarmaci:
- disturbi psicologici di una certa gravità, come le psicosi (depressione, schizofrenia), i postumi da stress, l’ansia o le gravi e persistenti nevrosi;
- impegni e attività lavorative eccessive, psicologicamente o fisicamente debilitanti. È una situazione questa oggi molto frequente. La società dei consumi stimola e riesce a convincere molti genitori ad attivarsi in modo eccessivo negli impegni lavorativi, per avere il denaro necessario a soddisfare richieste ed esigenze sempre maggiori, ma il più delle volte assolutamente superflue, che sono proposte da parte della pubblicità come fossero essenziali e indispensabili. Pertanto, la consapevolezza delle necessità affettive e di cura dei figli si scontra con la necessità di rimpinguare il più possibile il conto in banca;
- presenza, nei genitori, di una personalità pigra o egoisticamente immatura;
- mancanza di un profondo legame affettivo nei confronti del figlio.
In questi casi di disaffezione è spesso presente una scarsa disponibilità a soddisfare delle richieste avvertite come occupazioni noiose o eccessive. In questo caso i genitori, pur capendo i bisogni del bambino, preferiscono occuparsi di altre cose ritenute più piacevoli, interessanti e gratificanti.
- Alla solitudine nell’affrontare le cure ed i compiti educativi.
Solitudine dovuta all’assenza fisica o alla scarsa collaborazione dell’altro coniuge o della rete familiare. In questi casi ai figli sono date frequentemente delle risposte instabili, poco coerenti o non soddisfacenti. Ciò avviene sia quando a guidare la famiglia è la madre (famiglia madre-centrica), sia quando a guidare la famiglia è il padre (famiglia padre-centrica). Invece è ampiamente dimostrato che le cure più attente ed efficaci si attuano quando sono presenti e collaborano efficacemente entrambi i genitori, i quali si relazionano tra loro in maniera armonica con aiuto, sostegno e rispetto reciproco.
Le conseguenze
Quando i genitori hanno problemi nella comunicazione o non danno risposte coerenti e stabili, complete e soddisfacenti, le conseguenze possono essere notevolmente gravi:
- Il bambino può pensare che è inutile comunicare se non si è ascoltati o se le proprie richieste non sono esaudite (Lidz, T.).[9]
- Il bambino può immaginare qualcosa di ancora più grave: che è dannoso comunicare se le sue richieste hanno sugli altri dei risvolti negativi. Ad esempio, se fa aumentare la loro irritabilità e ansia, se li porta a scontrarsi, se accentua i loro comportamenti aggressivi e rifiutanti.
- Il bambino può apprendere a non fidarsi nelle possibilità insite nella comunicazione.
- Peggio ancora, egli può ritenere che non bisogna fare assegnamento sui genitori, sugli adulti e sugli esseri umani in generale. In questo caso la sfiducia verso gli altri può ampliarsi a tutta la realtà esterna e, conseguentemente, si può instaurare una chiusura verso il mondo esterno a lui. Con le drammatiche conseguenze che conosciamo nella chiusura autistica nella quale il bambino rimane solo e prigioniero delle sue ansie, delle sue paure, delle fantasie ed elaborazioni mentali. (Winnicott D. W.). [10]
I momenti per comunicare e dialogare
I momenti di dialogo possono essere tanti durante il giorno. Già al mattino è importante per il bambino piccolo essere svegliato con dolcezza, con tranquillità, senza fretta, mentre la madre o il padre approfittano di quei momenti ricchi di intimità come il vestirsi, il lavarsi, il fare colazione insieme e lo scegliere l’abito più adatto, per comunicare con gioia le esperienze della notte trascorsa, in modo da allontanare i brutti sogni e, nello stesso tempo, presentare e programmare insieme la giornata che comincia.
Il pranzo e la cena, durante i quali la televisione e tutti gli altri strumenti di comunicazione dovrebbero essere banditi, non dovrebbero rappresentare soltanto momenti in cui ci si alimenta, ma occasioni di comunione, di ascolto e dialogo per tutta la famiglia. Momenti in cui le esperienze della giornata si confrontano, si chiariscono, si rivivono insieme alle persone care. Lo stesso la sera, prima di addormentarsi, sarebbe bene rendere piacevole e tenera l’ora di andare a letto in molti modi, eseguendo con calma tutto il cerimoniale previsto in questi casi: andare in bagno, lavarsi, spogliarsi, mettere il pigiamino, dire le preghiere e poi ascoltare la favoletta raccontata da uno dei genitori o da entrambi alternativamente. Una favoletta per sviluppare la comprensione del linguaggio e la cultura, ma anche per offrire al bambino, nella magia della notte, un’altra occasione di intimità, di calore e di carezze.
[1] Trevisani D., (2022), Ascolto attivo ed empatia, Milano, Franco Angeli, p.35.
[2] Bilbao Á., (2023), Il cervello del bambino spiegato ai genitori, Milano, Salani editore, p.115.
[3] Bilbao Á., (2023), Il cervello del bambino spiegato ai genitori, Milano, Salani editore, p.112.
[4] Bilbao Á., (2023), Il cervello del bambino spiegato ai genitori, Milano, Salani editore, p.120.
[5] Lombardo P., (1997), Crescere per educare, Edizioni dell’aurora, p. 53.
[6] Trevisani D., (2022), Ascolto attivo ed empatia, Milano, Franco Angeli, p.42.
[7] Morin E., (2001), I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano, p.98.
[8] Fornaro M., “L’empatia e le sue basi neurologiche”, Psicologia contemporanea, 2010, settembre-ottobre.
[9] Lidz T., (1977), Famiglia e problemi di adattamento, Boringhieri, Torino, p.115.
[10] Winnicott D. W. (1987), I bambini e le loro madri, , Milano, Raffaello Cortina, p.7.