
01 Apr La socializzazione
La socializzazione con i coetanei, con gli insegnanti e gli estranei, crea numerose problematiche che non sempre sono affrontate correttamente.
Ad esempio spesso non si tiene conto che la socializzazione nasce dall’interno della mente e dell’animo del bambino e non dall’esterno. É nel suo animo, è nella sua mente che stanno i presupposti affinché l’Io del bambino accolga gli altri, li accetti, li cerchi, li desideri e abbia le capacità di instaurare con loro un dialogo efficace.
Nei processi di socializzazione entrano in gioco varie componenti: l’età, la maturità affettiva, la situazione psicologica.
L’età
La socializzazione avviene attraverso delle tappe ben precise. La prima è quella che permette al bambino di stare bene con se stesso e con la propria madre. Il rapporto con la madre è la prima basilare tappa dal quale possono partire gli altri momenti di socializzazione. Solo se il rapporto e la comunicazione con la figura materna è stato ricco e positivo, il bambino avrà la possibilità di aprirsi al padre e poi, gradualmente, a mano a mano che si incrementano le sue capacità ma anche la sua fiducia negli altri e nel mondo fuori di lui, avrò la possibilità di aprirsi alle altre figure che incontrerà nella vita: ai fratelli, ai nonni, agli zii, agli amici, e infine ai compagni di scuola, agli insegnanti e anche agli estranei.


Purtroppo, non sempre questi limiti riguardanti l’età sono adeguatamente rispettati. Spesso viene consigliato l’inserimento nella scuola materna e ancora peggio nell’asilo nido, a bambini che ancora avrebbero bisogno del caldo nido delle braccia materne o della protezione della loro casa e della loro famiglia. Spesso si inseriscono bambini ritardati nella scuola elementare quando ancora avrebbero bisogno di spazi liberi e gioiosi come quelli presenti nelle scuole materne. Questo non accettare e non seguire lo sviluppo fisiologico del bambino comporta delle conseguenze molto gravi: non solo non viene conquistato nulla sul piano della socializzazione, ma il disagio psicologico che queste situazioni comportano limita di molto anche la possibilità di acquisire elementi cognitivi (linguaggio, autonomia, sviluppo logico e della percezione, pregrafismo ecc.), rendendo vano ogni tentativo volto all’apprendimento.
La serenità interiore.
Se l’età mentale è adeguata e l’Io del bambino è maturo e sereno, egli coglierà ogni occasione per dialogare, giocare, collaborare, scambiare e legarsi affettivamente agli altri. Se l’Io del bambino è ancora immaturo, spaventato o fragile, gli altri coetanei e gli ambienti sconosciuti spesso rappresentano per lui solo minaccia, limitazione, disturbo, inquietudine ed ansia.
É indispensabile, in questi casi, un attento esame del minore teso a valutare l’impatto con una realtà nuova e diversa, come può essere un’aula scolastica, con figure di adulti e coetanei con cui non si è instaurato né un legame affettivo, né un rapporto di fiducia.
Bisogna valutare pertanto:
1. il grado di serenità del bambino in tutte le occasioni della vita quotidiana;
2. l’avere o no conquistato lo spazio fisico e psicologico attorno a lui. Segnali positivi si hanno quando il bambino non ha paura di spostarsi non solo nella sua stanza ma da una stanza all’altra della casa, e non teme di restare nella casa dei nonni, degli zii, e degli amici o compagni di gioco, con i quali si intrattiene piacevolmente senza problemi;
3. altri segnali positivi sono dati dal superamento del legame con gli oggetti con i quali vi è un particolare attaccamento: la sua tazza, il suo orsacchiotto, il suo vasetto, non sono più cose di cui non può fare a meno. Può accettare e accetta con piacere, per qualche ora altri oggetti per giocare, altri oggetti con cui alimentarsi o adempiere alle funzioni fisiologiche.
Se questi e altri segnali di maturità emotiva ed affettiva non sono presenti, l’inserire il bambino disabile in un ambito istituzionale: asilo nido, scuola materna o scuola elementare diventa un trauma ed una forzatura che potrebbe portarlo a regredire a stadi precedenti in alcuni o in tutti i settori evolutivi, impedendogli una normale crescita affettiva e relazionale.
I campanelli d’allarme che, in queste situazioni di disagio, i bambini lanciano sono abbastanza precisi: il pianto, la chiusura, la tristezza, la malinconia, il rifiuto di andare a scuola, i sintomi somatici (cefalea, vomito, disturbi gastrointestinali). Ebbene, questi campanelli d’allarme devono essere prontamente riconosciuti e accolti.

Purtroppo, non sempre questo avviene, in quanto è ampiamente sopravvalutato l’apporto scolastico nei bambini disabili rispetto alla sofferenza subita. Conseguentemente si ottiene poco o nulla sul piano della crescita didattica ed intellettiva, mentre nel contempo si aggiunge all’handicap organico anche quello psicologico che fa peggiorare di molto il futuro relazionale e sociale di questi minori.