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Violenza e imitazione

Violenza e imitazione

 

Il fatto che l’aggressività, come molti comportamenti negativi, possa essere appresa dall’ambiente di vita, è noto da sempre: “Chi pratica con lo zoppo all’anno zoppica”. Quest’antico proverbio vuole chiaramente indicare la notevole influenza negativa che ispirano le persone che frequentiamo e con cui viviamo, sui nostri comportamenti relazionali e sociali. Soprattutto i bambini e gli adolescenti, ma anche gli adulti, tendono istintivamente ad imitare gli atteggiamenti ed i comportamenti che scorgono nel loro ambiente di vita. Pertanto, così come sono spinti a riprodurre i comportamenti positivi di accoglienza, rispetto, dialogo, dono e cura, allo stesso modo possono imitare, in ogni rapporto relazionale, anche i comportamenti di rifiuto, aggressività e violenza, dei quali sono spettatori.

Per i minori questa imitazione è più frequente ed incisiva quando i comportamenti negativi provengono da persone che hanno per loro una maggiore valenza affettiva ed educativa: “Vedo i miei genitori che litigano continuamente, pertanto è normale che i coniugi litighino tra loro”. “Mio padre si è comportato in maniera violenta e aggressiva con me o con mia madre; è normale e logico che anch'io faccia lo stesso, con i miei figli e con mia moglie”. “Mia madre gridava continuamente e anch’io ho l’abitudine di gridare per un nonnulla”. Alcuni di questi bambini, divenuti adulti, tenderanno a ripetere gli stessi comportamenti vissuti nell’infanzia, altri, per fortuna, facendo propri dei comportamenti positivi acquisiti da altri adulti conosciuti in altri ambienti, saranno in grado di criticare e rifiutare quei comportamenti ritenuti violenti, ingiusti e apportatori di sofferenza.

Inoltre, come dice Hacker [1]: “Il comportamento aggressivo, come molte altre forme comportamentistiche, ha la tendenza a estendersi e generalizzarsi; una volta appreso e collaudato esso viene esteso ad altre situazioni e qui applicato”. Ancor peggio se gli atteggiamenti aggressivi sono premiati. In questi casi anche dei comportamenti chiaramente abnormi assumono valenze positive[2].

Tuttavia, a questo riguardo, è bene rilevare che nel campo educativo quando l’aggressività nasce dalla sofferenza, dalle frustrazioni e dai traumi subìti, l’atteggiamento repressivo non ottiene i risultati voluti e sperati, poiché non si può insegnare a non essere aggressivi, utilizzando l’aggressività![3]

L’aggressività appresa dalla logica del gruppo.

Questo tipo di comportamento è frequente nei giovani e negli adolescenti i quali, inseriti in un “branco”, sono condizionati dalle regole presenti nel gruppo. Per cui hanno notevoli difficoltà a controllare i comportamenti e gli atteggiamenti aggressivi e violenti suggeriti dagli altri componenti, poiché questi comportamenti diventano una condizione necessaria per essere accettati dagli altri. Per tale motivo il giovane che aderisce a queste indicazioni si sente come deresponsabilizzato nelle decisioni personali e avverte il dovere di accettare le decisioni prese dal capo del branco o dalla maggioranza dei coetanei. D’altra parte, opporsi ai comportamenti, significherebbe opporsi a tutto il gruppo, non far più parte di questo e, di conseguenza, sentirsi isolati ed emarginati.

In questi casi il singolo individuo non agisce aggressivamente per frustrazione o per scaricare l’ansia eccessiva, ma per aderire a una logica di gruppo, che vede la violenza come necessaria e coerente con i propri bisogni d’integrazione e socialità. Come dicono Erikson e Erik, 2008, p.29),: “Un individuo si sente isolato dalle sorgenti della forza collettiva allorché egli, magari solo nel suo intimo, assume un qualsiasi ruolo che il suo gruppo ritiene particolarmente negativo”.

L’aggressività e la violenza appresa dai mass media e dai mezzi di comunicazione di massa.

 Non sono da sottovalutare l’emulazione delle scene di violenza presenti nei mezzi di comunicazione di massa, nei film, nei video giochi e negli spettacoli come quelli di Wrestling. Per Hacker [4]: “Dappertutto i mezzi di comunicazione di massa influenzano la coscienza generale e con essa indirettamente ma in modo determinante anche l’inconscio, le opinioni, gli atteggiamenti e le azioni del pubblico”.

E ancora lo stesso autore (Hacker, 1971, p. 315):

“L’adolescente americano medio è così ipersaturato dai tanti stimoli aggressivi trasmessi dai mezzi di comunicazione, che nessun modello specifico di aggressione gli sembra nuovo o degno di essere imitato; tuttavia questo ottundimento del singolo è ottenuto al prezzo del globale innalzamento del livello di aggressività”.

Per quanto riguarda i Wrestling, non può essere certamente indifferente, soprattutto per i minori, assistere a dei giganti super palestrati che lottano e si aggrediscono in maniera violenta e selvaggia, cercando in ogni modo di far del male all’avversario, fino a schiacciarlo a terra con il loro mastodontico corpo. Il fatto poi di sapere che in realtà, quella alla quale si assiste, è una finta lotta e che, almeno si spera, questi atleti, non si facciano veramente del male, non sempre viene percepito in maniera corretta, soprattutto dai più piccoli che assistono a questi spettacoli. In questi, la traccia emotiva che permane e predomina nel loro animo può purtroppo comportare il desiderio e il piacere di poterli in qualche modo imitare.

Per quanto riguarda i film e i telefilm, mentre fino a qualche decennio fa l’eroe aveva una funzione di difesa della nazione, dei più deboli e degli indifesi e pertanto, almeno nelle intenzioni degli autori, aveva un ruolo positivo, ormai da molti decenni lo stesso eroe partecipa in modo confuso e caotico al piacere di distruggere e aggredire tutto ciò che capita a tiro, utilizzando qualunque strumento di distruzione: bazuka, bombe, fuoco, auto e camion, spesso senza che si riesca a rintracciare, nelle sue azioni, un minimo di finalità costruttiva ed educativa. “La tendenza mimetica viene esaltata quando gli atti aggressivi mostrati sono rappresentati come eroici, promettenti e apportatori di successo, oppure quando gli spettatori sono espressamente invitati all’imitazione e vi vengono autorizzati” (Hacker, 1971, p. 315).

Per tale motivo gli attuali eroi, ai quali bisognerebbe identificarsi e imitare, sono certamente senza paura, veloci, forti e sicuri di sé, ma sono anche dei balordi confusi e violenti, senza pietà, ma anche senza alcuna disponibilità all’ascolto e alla comprensione dell’altro.

Ancora più grave è la stimolo all’emulazione che l’individuo, soprattutto in età evolutiva, può ricevere da parte dei contenuti dei videogiochi più comunemente utilizzati e diffusi. Molti di questi si basano essenzialmente su una continua, ripetitiva, perenne lotta, utilizzando varie armi e strategie, contro alieni e nemici immaginari, mostri da distruggere, prima di essere distrutti, da uccidere, prima di essere uccisi; ma anche lotta nei confronti di malcapitati, innocui passanti. D’altra parte molto spesso, in questi giochi, uccidere quanto più possibile dei fantomatici nemici fa “vincere” una partita o fa andare ad un livello successivo e pertanto “premia”. Questi personaggi suggeriscono e nel tempo convincono il piccolo utilizzatore, che l’aggredire e il distruggere sono atteggiamenti e comportamenti non solo “normali” ma anche utili, piacevoli e divertenti.

Si dirà che la violenza presente nei film, nella Tv o nei video giochi è “finta, non è vera, è solo spettacolo ” tuttavia “L’effetto imitativo è uguale, sia che le scene di violenza siano prodotte negli studi, sia che vengano riprese dalla vita reale (anche se questa differenza fosse riconoscibile). Banddura e in seguito Berkowitz hanno dimostrato con estesi esperimenti su gruppi di bambini di diverse età che l’effetto di accrescimento dell’aggressività esercitato da esempi d’aggressione è sostanzialmente lo stesso, a prescindere dal fatto che l’aggressione rappresentata e successivamente imitata si sia svolta originariamente nella vita reale, in un film o in un cartone animato”(Hacker, 1971, p. 315).

Poiché in queste immagini e in questi giochi non c’è pietà, tenerezza, comprensione, giustizia, ma soprattutto non ci sono sfumature, l’uso di questi strumenti può condurre ad atteggiamenti reattivi e aggressivi nei confronti degli altri, giacché riduce le inibizioni e non educa alla necessità di ricercare e trovare soluzioni alternative ai problemi e ai conflitti tra esseri umani, utilizzando il dialogo, la mediazione e l’accordo tra le parti.

L’altra conseguenza insita in questi spettacoli, che è forse ancora peggiore di quella precedente, è che nell’animo e nella mente dei bambini s’insinua e si sviluppa l’idea che nel mondo nel quale viviamo allignano una serie infinita di nemici che subdolamente possono circondarci, assalirci e farci del male, per cui è necessario vivere costantemente sulla difensiva, sempre pronti a prendere le armi piùà efficaci per proteggerci o attaccare.

Quest’inquinamento mediatico è tanto più grave quanto maggiore è il numero dei messaggi, quanto minore è l’età, quanto più il soggetto è psicologicamente fragile, suggestionabile e insicuro, ma anche quanto maggiore è l’interattività.

Tuttavia, da parte della società e dei legislatori è difficile accettare e soprattutto porre rimedio al fatto incontestabile che le parole e le immagini violente ascoltate e viste, ma anche virtualmente eseguite migliaia di volte dai minori, dagli adolescenti e dagli adulti, possano lasciare delle tracce indelebili nell’animo di chi le utilizza. Si preferisce allora per motivi economici e ideologici far credere che ciò non sia vero e non sia possibile, al fine di coprire una realtà difficile da accogliere; giacché accettare ciò significherebbe modificare in maniera sostanziale la presunta neutralità di questi strumenti e pertanto intervenire non solo sul loro uso ma anche e soprattutto sulla loro produzione.

Tra l’altro oggi buona parte dell’educazione e della formazione dei minori, a causa di genitori sempre più impegnati, lontani, assenti e distratti, è diventata di tipo mediatico. E se i media ma anche internet sono ricchi di contenuti violenti, i risultati non possono che essere deleteri sul piano del rispetto dell’integrità, dignità e sacralità dell’animo, del corpo e della vita dell’altro. Ciò è evidente in molti rapporti sociali. Le assemblee scolastiche o di condominio, le discussioni parlamentari, Facebook, gli incontri di calcio e i dibattiti televisivi, ovunque vi sia la minima possibilità di confrontarsi con idee diverse, sono spesso utilizzati per scaricare sugli altri, mediante la violenza verbale, la propria rabbia e le proprie frustrazioni. Per Dacquino (1994, p. 304): “Viviamo in un clima di violenza e sadismo verbale, alimentato dall’abitudine di polemizzare accanitamente anche per le cose più futili. Siamo sempre sul piede di guerra oppure discutiamo con voce dura, stridula, alta, pur sapendo che urlare è la reazione di chi ha torto o è insicuro”.

L’aggressività può essere appresa in famiglia da stili educativi erronei.

Vi sono degli stili educativi nei quali sono trasmessi i valori dell’accoglienza, della fratellanza, dell’amore, dell’accettazione e del dono, ma vi sono purtroppo anche degli stili educativi nei quali sono trasmessi disvalori: come la violenza, la prepotenza, la protervia e lo sfruttamento dell’altro ai propri fini. In questi casi è costantemente sottolineato l’errato principio che bisogna rispondere “occhio per occhio e dente per dente” a quanto subìto e che “non bisogna essere pecore ma lupi” pronti ad azzannare chi ci ha fatto o potrebbe farci del male o potrebbe sottrarci qualcosa di nostro. Questi stili educativi sollecitano ad accettare e utilizzare l’uso della forza e della violenza in molte, troppe occasioni senza che ciò sia strettamente necessario e utile.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Ti odio!", Conflitto, aggressività e violenza tra i sessi.  Per scaricare gratuitamente l'intero libro clicca qui.

 

 


[1] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 315.

 

[2] Andreoli, V. (1995), La violenza – dentro di noi, attorno a noi, Fabbri editore Corriere della sera, Milano, p. 71.

[3] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 171.

 

[4] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 317

 

Violenza e aggressività nei separati e divorziati

Aggressività e violenza

durante la separazione e il divorzio

Autore: Emidio Tribulato

La possibilità di sciogliere in ogni momento il vincolo matrimoniale ha fatto cambiare profondamente la percezione e il valore della famiglia e, di conseguenza, ha modificato in peggio la responsabilità nei confronti dei figli.

Il “… finché morte non vi separi”  tipico del matrimonio di un tempo, è stato messo ai margini della coabitazione temporanea dettata dal più prosaico “…vediamo se funziona” e infine è stato sostituito da un modello flessibile, part-time dello “stare insieme”. Si pensa che si possa “entrare e uscire” impunemente da un legame sentimentale con un click, come se fosse una relazione virtuale [1]. Pertanto, non affrontando con la necessaria convinzione e impegno la vita in comune, la famiglia nasce già negativamente segnata fin dal suo inizio[2].

Per lo stesso autore Volpi[3]:

“Uno degli effetti immediati della legge sul divorzio si manifestò in un aumento del numero e dell’incidenza percentuale dei matrimoni civili; non clamoroso, ma certamente consistente e significativo, che soprattutto non si sarebbe più fermato. L’ascesa dei matrimoni civili parte da qui, nel senso che è indissolubilmente legata all’introduzione della legislazione del divorzio nel nostro paese”.

Se interpretiamo correttamente quest’aumento dei matrimoni civili, non vi è dubbio che esso ha il significato di “lasciare una porta aperta” ad un eventuale e probabile divorzio. Cosicché, dall’entrata in funzione di questa legge, si è perso nelle coppie il senso che l’unione sia per tutta la vita.

Ma insieme alle sempre più frequenti fratture del matrimonio si è assistito nel tempo anche ad un aumento della conflittualità tra i coniugi, non solo durante il tempo più o meno lungo dell’unione di coppia, ma anche nelle fasi successive alla separazione. Per Andreoli [4] in tutte le condizione di destrutturazione sociale l’aggressività nei singoli aumenta notevolmente, proprio per la mancanza del sostegno reciproco. Statisticamente i periodi che generano i più gravi stress e le più forti tensioni, nell’ambito della coppia, riguardano i giorni o i mesi nei quali si attua la separazione o il divorzio. Ciò avviene soprattutto quando la coppia si affida al sistema giudiziale con il suo corollario di testimonianze e prove, non sempre spontanee e sincere; con i suoi documenti, non sempre fedeli e veritieri; con richieste e comportamenti, che quasi sempre contengono dei secondi fini a favore di una delle controparti. Questi stress e queste tensioni facilmente si ripercuotono sui singoli individui, generando notevoli manifestazioni di aggressività reciproca ed a volte atti di gravissima violenza.

 

La separazione e il divorzio non rappresentano soltanto un allontanarsi dall’altro. Separazione e divorzio sono in realtà uno strappo importante che coinvolge e sconvolge una comunità molto ampia di soggetti. Oltre la coppia direttamente interessata, esso trascina in un grave malessere gli eventuali figli e familiari, dell’uno e dell’altro coniuge, ma anche gli amici intimi dei due e la comunità nel suo complesso. Il momento della separazione è vissuto, in molti casi, come un’insopportabile lacerazione della propria vita e del proprio cuore. Come accendendo un fiammifero in una santabarbara, le esplosioni di emozioni che ne possono conseguire sono drammatiche. Come un fuoco che dilaga in un’arida prateria, mentre spira il vento caldo del sud: l’ansia, la collera, i timori che si diffondono e sconvolgono gli animi degli interessati sono ingovernabili.

Il separarsi e il divorziare coinvolgono e sconvolgono profondamente l’ambiente fisico e quello psicologico, le emozioni e gli affetti, le abitudini e i consueti stili di vita, il benessere interiore ma anche quello economico di chi, anche se solo marginalmente, è in qualche modo implicato in queste tristi vicende. Nascono rimpianti, sensi di colpa, accuse, recriminazioni, ma anche una serie di prevaricazioni psicologicamente insostenibili a causa della loro intensità e del loro perdurare nel tempo.

Nonostante le emozioni che sconvolgono gli animi degli individui siano spesso considerate consequenziali ai conflitti preesistenti durante il matrimonio o la convivenza, sono proprio i momenti della separazione e del divorzio a far esplodere le pulsioni più violente e distruttive.

Per Hacker [5]:

“L’improvvisa liberazione dell’aggressività in seguito allo scioglimento del vincolo, alla perdita di persone di riferimento o all’espulsione del gruppo, porta alla sua introiezione sotto forma di stati depressivi (“ben mi sta, non merito di meglio”) o di complessi di colpa quando si perde una persona cara (“ho fatto davvero tutto il possibile?”) Nonché alla sensazione di inutilità e rabbia impotente che, a loro volta, provocano l’aggressività indistinta e incontrollata”.

Per Ackerman[6]:

“Va anche ricordato che, per i genitori, non vi può essere un divorzio totale. Sebbene divisi in modo definitivo in quanto coppia sessuale, essi rimangono permanentemente legati alla comune responsabilità per la cura dei loro figli, e in qualche caso questo legame diventa una fonte di sofferenza per molti anni”.

Nell’ambito della famiglia è facile che uno o entrambi i membri della coppia, senza avere la maturità e la consapevolezza delle dinamiche relazionali in gioco e senza comprendere la gravità di quello che stanno compiendo, mettano i figli l’uno contro l’altro genitore; lasciando che si creino delle alleanze patologiche: maschi contro femmine, madre con il figlio contro il padre e la figlia[7].  In tal modo essi accentuano la sofferenza e il disagio dei minori, i quali, a loro volta, soffrendo di maggiore irritabilità, aggressività e instabilità, sia durante l’infanzia sia nell’età adulta, continueranno ad alimentare nell’ambito familiare e sociale un circolo vizioso, sempre più distruttivo e incontrollabile.

Dalle separazioni e dai divorzi tenderanno a crescere, inoltre, delle generazioni il cui senso innato della stabilità del matrimonio è stato profondamente scosso dalla precoce esperienza del divorzio e dal vivere in famiglie spezzate e ciò influenzerà certamente le future relazioni, rendendole sempre più fragili ed evanescenti[8].

Per Maccoby et al. (1993, pp. 24-38) dopo il divorzio tra i coniugi si vengono a strutturare fondamentalmente tre tipi di comportamenti:

  1. Cooperativo. In questi casi i genitori parlano tra loro, discutono dei problemi della famiglia, non si squalificano reciprocamente e cercano di coordinarsi nelle attività in favore dei figli. Ad esempio: ”Io accompagno a scuola Giulio; tu, per piacere, pensa a riprenderlo quando esce”. Oppure: “Mentre tu porti la nostra piccolina dal dottore, io mi occupo di parlare con gli insegnanti di Francesco”. E così via. Purtroppo quest’atteggiamento o comportamento cooperativo, nella ricerca effettuata da parte degli autori suddetti, dopo diciotto mesi dalla separazione, riguardava solo un quarto circa dei soggetti del campione studiato.
  2. Disimpegnato. In questi casi i genitori non comunicano tra loro e non collaborano reciprocamente. Per quanto riguarda i figli è come se questi vivessero in due mondi separati. Ad esempio, il sabato e la domenica stanno con il padre, mentre durante la settimana sono totalmente gestiti dalla madre. Quando uno dei due si rivolge con acredine all’ex marito o moglie, fa delle raccomandazioni di questo tipo: “Come abbiamo concordato con il giudice, ricordati di prendere Mario davanti alla porta di casa, alle sedici di sabato e riportarlo alle diciotto della domenica, non prima e non dopo, se no mi rivolgo al mio avvocato e ti faccio passare dei guai seri”. Questo comportamento, solo apparentemente cooperativo, viene attuato solitamente quando si hanno dei figli abbastanza grandi e coinvolge circa un terzo del campione esaminato.
  3. Ostile. In un terzo dei casi i genitori separati mantengono tra loro dei contatti ma questi sono gestiti in modo sistematicamente astioso. Poiché permane in ognuno di essi il bisogno di vendicarsi e far del male all’altro, sono evidenti, nei loro rapporti, la persistenza di aggressività e conflittualità, così come sono evidenti i tentativi tesi a sabotare il benessere e la tranquillità dell’altro. Nei separati e divorziati che assumono un comportamento ostile, ad esempio, per evitare che lui o lei esca il sabato sera con il nuovo legame sentimentale, l’ex coniuge cercherà di ostacolare questi incontri sentimentali frapponendo qualche impedimento: “Purtroppo questo sabato non potrò tenere i bambini perché dovrò farmi visitare dal medico”. Oppure: “Tu puoi stare con i tuoi figli quando vuoi, ma quella donnaccia con cui convivi non deve stare mai accanto a loro”. La qual cosa, naturalmente è impossibile che sia attuata. Questa limitazione ha il solo scopo di contribuire a creare scompiglio nella nuova coppia che si sta formando o si è già formata.

 Con il trascorrere del tempo il comportamento disimpegnato diventa quello più comune e non ha molto valore il tipo di affidamento attuato in sede giudiziaria. I genitori più conflittuali sono quelli che, dopo la separazione, devono provvedere a figli piccoli, quelli che hanno molti figli, ma anche quelli che hanno intrapreso delle nuove relazioni.

 

Le cause dell’aggressività durante e dopo la separazione

I motivi della conflittualità durante e dopo la separazione sono tanti.

  1. 1.      L’invidia e la gelosia

L’atto di separarsi e allontanarsi fisicamente dal proprio uomo o dalla propria donna, per andare a vivere in un’altra casa, intrattenendo delle nuove relazioni, spezza molti equilibri preesistenti che, bene o male, tenevano sotto controllo le emozioni più intense. Alla sofferenza subìta durante il matrimonio o la convivenza si somma quella che scaturisce durante e dopo la separazione. La libertà ritrovata, nella nuova condizione di separati, stimola entrambi a cercare nuove avventure sentimentali, che si concludono con delle relazioni non sempre più stabili di quelle precedenti e che aggiungono altro amaro in bocca ai divorziati.

Spesso si vengono a creare nuovi e a volte più intensi motivi di conflitto, legati all’esplosione della gelosia e dell’invidia. Sapere che altri hanno le parole, i baci, le carezze e il corpo della persona che si è tanto desiderato, sognato e amato, con la quale si è convissuto per tanti anni e con la quale si è costruita una famiglia, suscita intensi sentimenti di acredine, gelosia e rivalità che è molto difficile controllare e contenere: “Perché neanche il tempo di separarci e lui ha un’altra? Cos’ha questa che io non ho? È forse più bella o più interessante di me? Sa ascoltarlo e capirlo più di quanto non abbia saputo fare io?” Oppure da parte dell’uomo: “Lei si è messa subito con il nostro migliore amico. Sicuramente c’era qualcosa anche prima. L’ho sempre detto che era una donnaccia, che non si vergogna di portare a casa nostra il suo amante, presentandolo e facendolo convivere con i nostri figli come se nulla fosse”. Da tutto ciò non possono che nascere dei dolorosi sensi d’impotenza, rabbia e collera, che sono accentuati anche dalla perdita dell’autostima.

Non è difficile che passino davanti alla mente dei separati, come in un doloroso caleidoscopio, una serie d’immagini che possono sconvolgere anche la mente più posata ed equilibrata. Immagini dell’ex partner che, finalmente libero se la spassa con un altra, utilizzando forse proprio la casa di proprietà, comprata insieme a costo d’immensi sacrifici, per organizzare dei festosi, intimi incontri, senza preoccuparsi minimamente del dolore, del disagio o peggio della disperazione e della gelosia che questi comportamenti provocano in chi è stato lasciato.

D’altra parte le due reti familiari, ma anche amicali, piuttosto che essere d’aiuto e di sostegno alla coppia, frequentemente alimentano e rinfocolano la conflittualità: “Come puoi accettare che il tuo ex se la spassi con quella ragazza, mentre tu sei costretta ad occuparti dei suoi figli giorno e notte?” Oppure: “Come puoi restare indifferente verso quella donnaccia che in maniera spudorata fa entrare nella casa, che tu hai comprato con i tuoi soldi e il sudore della tua fronte, il suo nuovo amico?”

  1. 2.      Le motivazioni economiche

Tra i tanti motivi che fanno permanere anche dopo il matrimonio notevoli conflitti, vi sono sicuramente le motivazioni economiche. Ognuno dei due ex coniugi cerca in tutti i modi di pretendere e prendere per sé quanto più possibile, ma anche di togliere all’altro più che può, al fine di vendicarsi e fargli quanto più male possibile. La guerra economica, fomentata dagli avvocati e dai parenti dell’uno e dell’altro, si protrae spesso per decenni. Questo stato di continuo, perenne conflitto esaspera gli animi e rende incandescente il clima tra i due, anche perché la separazione comporta spesso per entrambi un peggioramento delle condizioni economiche. Gli stipendi di entrambi, quando ci sono, sono sistematicamente falcidiati a causa delle nuove spese, come quelle per gli avvocati e per i periti; ma anche per essere costretti a far fronte a due abitazioni, con conseguente raddoppio delle utenze a queste collegate: acqua, luce, gas, telefono, tasse per la casa, per la raccolta dei rifiuti e così via.

  1. 3. La cura e la gestione dei figli

Un altro motivo che innesca nuovi e frequenti conflitti, riguarda la cura, l’educazione e la gestione dei figli. Educazione, cura e gestione che, in queste occasioni, diventano notevolmente più complesse e difficili. Lo sviluppo umano dei minori richiede una presenza costante di persone serene, adulte e mature, che sanno essere di esempio, guida e stabile punto di riferimento. È gravemente illusorio immaginare che un educatore possa tranquillamente sostituirsi ad un altro o che un affetto possa tranquillamente essere sostituito da un altro o che una casa possa essere abbandonata per un’altra, senza che i minori ne risentano un danno. Danno che in alcuni casi può essere lieve ma che, in tante situazioni, può essere tanto grave da destrutturare o far regredire in maniera notevole e stabile, la fragile personalità dei più piccoli.

Ogni figlio vorrebbe amare e rispettare entrambi i genitori, giacché la sua tranquillità, la sua gioia, la sua fiducia nella vita e nel mondo, la sua serenità interiore, sono riposte quasi esclusivamente in loro. Per tale motivo la sofferenza è grande quando è costretto a scegliere l’uno piuttosto che l’altro. Allo stesso modo i minori soffrono e provano intensi sensi di colpa, difficilmente gestibili, quando sono costretti a voler bene e frequentare soltanto i nonni e i parenti materni o soltanto quelli paterni. Il fanciullo entra in un circolo vizioso poiché il comportamento che fa piacere a un genitore suscita il rifiuto dell’altro (Lidz, 1977, pp. 65-66).

Difficilmente gestibile è anche il conflitto interiore, quando i figli si accorgono che il loro schierarsi a favore del genitore con il quale sono affidati, con il quale restano più a lungo e che ha maggiore cura di loro, nasce spesso non da una scelta oggettiva, ma dalla maggiore possibilità che questi ha di parlar male e accusare l’altro, ma anche dalla paura di rischiare di perdere l’appoggio e il legame dell’unica persona che si occupa di loro. Questa conflittualità provoca e aggrava la già difficile e delicata vita interiore dei figli dei separati e può innescare disturbi psicologici di varia gravità, che alterano i rapporti che essi hanno con se stessi, con i coetanei, con la scuola, con gli insegnanti e, soprattutto, con uno o con entrambi i genitori.

Spesso i minori, provati dai tanti dissidi e dallo scombussolamento della loro vita intima e relazionale, provano disistima sia verso la madre sia verso il padre in quanto, con i loro comportamenti incongrui, non sono riusciti a mantenere quel clima di pace e serenità che essi si attendevano e ed al quale avevano diritto. I genitori perdono autorevolezza ai loro occhi non solo per il modo con il quale si erano comportati quando stavano insieme, ma anche per come giornalmente si comportano da separati. Ad esempio, quando, come fossero ragazzini adolescenti, iniziano a frequentare nuovi uomini e nuove donne, non tenendo in alcun conto i bisogni e i desideri dei loro piccoli, i quali vorrebbero invece che papà e mamma, dopo il periodo tempestoso, si decidessero a non più litigare e a far pace riunendosi nuovamente. E nel caso che ciò non fosse proprio possibile, che almeno evitassero di frequentare altre persone, alla ricerca di nuovi amori o semplicemente di nuove avventure sentimentali, occupandosi principalmente di curare le ferite inferte al loro animo. È infatti molto difficile per un figlio immaginare ed accettare che i propri genitori amoreggino, si fidanzino, abbiano delle “storie” o rapporti sessuali con persone diverse dalla loro madre e dal loro padre.

Quando poi, con i nuovi matrimoni o convivenze, entrano nella vita dei figli nuove figure a loro sconosciute e spesso istintivamente rifiutate: nuovi nonni, nuovi zii, nuove sorellastre e fratellastri, verso i quali non vi è alcun legame preesistente, ma soprattutto non vi è alcun desiderio di accoglienza, i loro problemi non sempre migliorano! Spesso questi nuovi rapporti, non desiderati e non cercati, provocano nei figli ulteriori severi giudizi verso chi continua a sconvolgere il mondo nel quale fino a quel momento essi erano vissuti.

I figli sono costretti a subire anche gli effetti di una maggiore irritabilità e gelosia da parte di uno dei genitori. Poiché: “Quando l’unità coniugale si è infranta e uno dei due coniugi si sente escluso, le paure di castighi e ritorsioni che incombono sul bambino non sono soltanto proiezioni del suo desiderio di liberarsi di un genitore, ma si basano sull’effettiva presenza di un genitore geloso e ostile nei suoi confronti” (Lidz, 1977, pp. 72-73).

Infine, non è facile da parte dei figli accettare che i genitori, da separati, continuando a guerreggiare in modo aperto o sotterraneo, li coinvolgano direttamente come spie di quello che l’altro fa o non fa, di quello che l’altro dice o non dice, di quale persona l’altro frequenta. Il loro giudizio diventa ancora più severo, quando si accorgono di essere usati come armi improprie, per accusare o denigrare l’altro genitore, per sottrargli più denaro o per colpirlo e ferirlo in maniera più dolorosa.

Infine per dei separati o divorziati, così psicologicamente provati, è difficile mantenere una corretta linea educativa. Spesso, pur di accaparrarsi l’amore di qualche figlio, entrambi gli ex coniugi tendono ad assumere un comportamento nettamente permissivo o altalenante. D’altra parte come fare ad attivarsi come coppia genitoriale? Come fare a decidere in piena armonia e intesa che cosa fare e come educare al meglio i figli dovendo necessariamente accogliere le proposte o le indicazioni che provengono dalla persona che più si odia, dalla persona che ha tradito tutte le loro aspettative, della persona che più si disprezza? Da quanto abbiamo detto, è facile comprendere come sia difficile per i genitori separarti o divorziati l’educazione dei figli, ma anche semplicemente la loro normale gestione quotidiana.

Le conseguenze sui figli

Per tutelare il benessere di un minore è necessario tutelare il suo ambiente affettivo. Questo è costituito, fondamentalmente, dalle relazioni esistenti tra e con le persone a lui più vicine e più care al suo cuore: i suoi genitori e i suoi familiari. Un rapporto armonico, sereno e affettuoso è per ogni figlio la fonte principale della sicurezza fisica ed emotiva. Questa sicurezza è indispensabile per il suo sviluppo fisico ma soprattutto per il sano sviluppo dell’Io di ogni piccolo che viene al mondo. La serenità che nasce dall’avvertire attorno a sé un clima d’intesa, collaborazione e sostegno reciproco, è indispensabile per il formarsi di una solida identità personale, atta ad affrontare efficacemente i tanti eventi critici presenti nella vita di ogni essere umano. Per tale motivo i rapporti tra i genitori (rapporti coniugali) e quelli tra genitori e figlio (rapporti genitoriali), anche se fondamentalmente diversi, sono strettamente legati gli uni agli altri, tanto che non è possibile scinderli, poiché fanno parte dello stesso sistema familiare.

Sappiamo che tra un padre e una madre vi è un mutuo interesse nel crescere congiuntamente i loro figli, per cui quando tra papà e mamma è presente una buona intesa, questi riusciranno a lavorare insieme, supportandosi reciprocamente, così da collaborare strettamente al lungo, complesso impegno che ha come obiettivo la strutturazione della personalità dei loro piccoli. In un sistema coparentale funzionale, quando nascono dei problemi o dei disaccordi, i genitori sono perfettamente in grado di lavorare insieme per risolverli. Per ottenere ciò una coppia funzionale riesce ad essere aperta e disponibile verso i bisogni e le aspirazioni dell’altro, creando un clima affettivo nel quale il figlio si ritrova a suo agio. Ed è per tale motivo che le coppie soddisfatte da un punto di vista coniugale hanno la possibilità di dimostrare, nei confronti dei figli, più calore, più dialogo, più cooperazione e più sensibilità nei confronti dei loro bisogni. Con tali preziosi apporti i figli avranno maggiori possibilità di crescere affettivamente ed emotivamente sani e di introiettare molto più facilmente norme, regole, esperienze, abilità relazionali, possibilità di scambi, espressioni affettive, nonché strategie adeguate alla risoluzione dei futuri conflitti con i coetanei e gli adulti.

Per tale motivo se durante il matrimonio sono presenti degli intensi ed eclatanti conflitti, quando questi cessano con la separazione, ciò può apportare giovamento ai figli, i quali non sono più costretti ad assistere a quotidiane aggressioni e violenze verbali o fisiche tra i genitori. Tuttavia, se dopo il matrimonio questi comportamenti irritanti e aggressivi perdurano o si accentuano, il danno che i minori ne hanno, dovendo tra l’altro vivere senza l’apporto di uno dei genitori, aggrava il loro status psicologico, già molto provato.

Come conseguenza di ciò si possono avere una serie di disturbi psicoaffettivi, più o meno gravi, ma sempre limitanti il normale sviluppo dei minori. Questi disturbi sono più gravi quando è presente solo un figlio unico, rispetto a quando vi sono più fratelli e sorelle che possono, con la loro presenza, la loro relazione affettiva, attenuare o limitare l’eventuale danno.

 Nei genitori separati nei quali perdura lo stato conflittuale si evidenziano spesso segnali di  carenze affettive, mancanza di equilibrio psichico, deficit cognitivi, senso di solitudine, depressione, difficoltà relazionali, facili comportamenti devianti, condotte asociali o antisociali, pigrizia, mancanza d’impegno e fenomeni d’auto-colpevolizzazione in rapporto alla separazione dei genitori.

Per Lidz (1977, p.69): “Più spesso di quanto non appaia da uno studio superficiale, i figli cresciuti in famiglie ove esistono tendenze disgregatrici tendono a manifestare una scissione della struttura dell’Io. La definitiva frattura tra i genitori sul piano della realtà dà luogo, in seguito all’introiezione, a un’analoga frattura sul piano psichico”.

 
 


[1] Pirrone, C.,  (2014), “Come dire: Ti prometto di essere fedele sempre”, Famiglia oggi,  n. 3.

[2] Volpi R. (2007), La fine della famiglia, Mondatori, Milano, p. 62.

[3] Volpi R. (2007), La fine della famiglia, Mondatori, Milano, p. 15.

[4] Andreoli, V. (1995), La violenza – dentro di noi, attorno a noi, Fabbri editore Corriere della sera, Milano, p. 71.

[5] Hacker F., (1971), Aggressività e violenza nel mondo moderno, Edizioni il Formichiere, Milano, p. 145.

[6] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri, p. 193.

[7] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri, p. 82.

[8] Harding E. (1951), La strada della donna, Roma, Astrolabio, p. 233.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Ti odio!", Conflitto, aggressività e violenza tra i sessi.  Per scaricare gratuitamente l'intero libro clicca qui.

 

I ruoli

I RUOLI

 

Secondo la definizione del sociologo Neil J. Smelser: [1]  “Un ruolo consiste nelle aspettative che si creano riguardo al comportamento di una persona quando questa si trova in una certa posizione all’interno di un gruppo.” 

Il ruolo può nascere dalla necessità, dai bisogni o dalle scelte effettuate dalle singole persone, ma può venire affidato e richiesto da qualche responsabile o da qualche società e gruppo organizzato. Da queste necessità, bisogni o scelte nasce l’affidamento di un certo compito ben preciso, al quale è collegata anche una chiara e netta responsabilità. Qualunque ruolo, per essere funzionale, deve in qualche modo essere accettato dagli altri. Nel mondo della marineria, il “ruolino” prescriveva a ciascun membro dell’equipaggio il compito che gli era affidato nella conduzione della nave. Naturalmente il comandante o l’ufficiale addetto affidava i vari ruoli tenendo presenti le necessità della nave ma anche e soprattutto, le caratteristiche, la preparazione e le capacità dei singoli marinai.

 Il ruolo può però concretizzarsi anche in modo automatico. Ad esempio nel momento in cui una donna o un uomo hanno un figlio, questi diventeranno automaticamente, anche se solo nominalmente, padre e madre, mentre i loro fratelli acquisteranno il ruolo di zii e i genitori di questa donna e di quest’uomo saranno nonni.

In altri casi il ruolo può essere scelto dalle stesse persone allo scopo di trovare, in un determinato impegno, una nuova realizzazione o maggiori piaceri e gratificazioni: “Io voglio essere tua moglie; io voglio essere tuo marito”. “Io voglio essere madre per questo bambino adottato”.

Da quanto abbiamo detto si deduce facilmente che il ruolo:

  • può essere scelto dalle singole persone
  • può nascere da una necessità individuale o collettiva;

In ogni caso, per essere ben svolto, necessità di specifiche qualità e preparazione; ha bisogno di essere accettato dagli altri; richiede una grande responsabilità ma anche impegno, sacrificio e molta attenzione nella sua conduzione e realizzazione.

La molteplicità dei ruoli

Ognuno di noi può avere, e spesso ha più ruoli: si può essere contemporaneamente padre, zio, nonno, fratello, marito, responsabile aziendale, scrittore, sindacalista, volontario ecc. Per gli adulti avere più di un ruolo è la norma e non l’eccezione. Ed è forse per tale motivo che cercare di assumere molti e diversi ruoli e cambiarli a volontà ci appare non solo naturale ma anche molto facile e desiderabile: “Perché essere soltanto madre o padre e non anche insegnante, politico, scrittore e quant’altro?”

Sicuramente questo comportamento ci appare più interessante, stuzzicante, moderno e in linea con i tempi: “Che noia fare sempre le stesse cose” “Che bello cambiare e rimettersi in gioco”.

Tuttavia non sempre è facile e conveniente cambiare il proprio ruolo o assumerne uno nuovo o peggio aspirare a eccessive pluralità di ruoli, a volte tra loro contrastanti. 

E ciò per vari motivi:

1. È evidente che per ogni ruolo assunto che si aggiunge ai precedenti, aumentano gli oneri, gli impegni, le responsabilità e i sacrifici necessari per assolverli bene tutti e ciò comporta un grande dispendio di tempo ed energie che non sempre sono a nostra disposizione. Il buon senso e la visione reale e non illusoria della vita vorrebbe allora che assumessimo i ruoli che siamo in grado di affrontare  e assolvere bene e correttamente e non tutti quelli che l’entusiasmo o le mode del momento ci suggeriscono o che ci vengono offerti.

2. Spesso anche un ruolo apparentemente semplice ha bisogno di una lunga e attenta preparazione. Ciò è soprattutto vero oggi giacché per ogni compito che le moderne società notevolmente complesse e articolate richiedono sono necessari lunghi studi, master e tirocini che si protraggono spesso per decine d’anni. Pertanto il dispendio di tempo e di energie necessari per assumere un ruolo difficilmente potrà essere replicato e attivato per molti altri. In questi casi il rischio è di affrontare alcuni compiti essenziali per la famiglia e la società, senza la necessaria preparazione, rischiando di far male ogni cosa affrontata. Ciò evidentemente comporta delle conseguenze negative anche sul piano dell’autostima personale.

3. Quando si cerca d’affrontare mansioni troppo diverse e contrastanti spesso siamo coinvolti dall’ansia e dai dubbi: “faccio bene o faccio male”  “E’ corretto quello che faccio oppure no”. Se cerchiamo di uscire da queste ansie e da questi dubbi trascurando alcuni compiti a favore di altri è evidente che deluderemo innanzitutto noi ma anche gli altri che si aspettano molto di più di quanto in realtà siamo capaci e siamo disposti a offrire.   

4. Ci sfugge, spesso, anche la considerazione che il ruolo è qualcosa di più di un compito momentaneo, esso tende a incidere e penetrare in profondità nel nostro essere, legandosi fortemente all’Io del soggetto segnando e modificando anche profondamente le caratteristiche di quest’ultimo. Pertanto se a volte una particolare personalità ha bisogno di esprimersi in una certa mansione, altre volte, al contrario è la mansione assunta che, in qualche modo, plasma e modifica la personalità del soggetto. Facciamo qualche esempio. Se una personalità tendente alla precisione cercherà e si attiverà per dei compiti confacenti alle sue caratteristiche personologiche, come fare il contabile o l’orologiaio, può tuttavia capitare anche il contrario: e cioè che un certo stile richiesto da questi compiti modifichi, anche se in parte, la personalità del soggetto e il modo con il quale questi si porrà nei confronti degli altri. Un altro esempio, fra i tanti che possiamo fare, è quello di un comandante militare il quale, volente o nolente, a motivo della lunga preparazione e della intensa disciplina alla quale deve sottostare per effettuare correttamente il suo lavoro, assume ben presto le classiche caratteristiche presenti in un buon militare: grinta, aggressività, impeto, resistenza, ubbidienza.  Caratteristiche queste che non sempre sono confacenti con altri compiti nei quali lo stile militaresco non è necessario o addirittura è controproducente.  Non solo i militari o gli orologiai avranno problemi nell’affrontare ruoli diversi e contrastanti. In generale possiamo dire che lo stile che si acquisisce nel mondo economico e dei servizi può risultare e spesso risulta scarsamente adeguato e confacente nei rapporti affettivi, educativi e relazionali E ciò in quanto nelle attività manageriali e professionali hanno molto valore la grinta e il dinamismo; l’intraprendenza e la determinazione;  le parole e i ragionamenti; la capacità di cambiare e aggiornarsi. Mentre nel mondo degli affetti e delle relazioni, al contrario sono importanti: la serenità e la distensione; la dolcezza e la tenerezza; la disponibilità e l’accoglienza; le capacità di ascolto e di cura; le capacità di sacrificio ma anche la stabilità e continuità nel rapporto.

4. Spesso quando si assumono più ruoli si entra in competizione con le altre persone con le quali si è costretti a condividere quel ruolo, in special modo quando non vi è un chiaro e netto punto di riferimento e un ben definito responsabile al quale far capo. In questi casi le gelosie e i contrasti anche intensi e violenti sono all’ordine del giorno.  Il caso più frequente e grave lo troviamo proprio dentro le nostre case. Se a entrambi gli uomini e donne sono affidati, come avviene oggi nella nostra società, gli stessi ruoli educativi, di ascolto, attenzioni e accudimento verso i minori, gli anziani e le persone bisognose di cure e assistenza e, nello stesso tempo, viene ad entrambi data la stessa responsabilità  sull’indirizzo  sociale ed economico della famiglia,  saranno facili e spesso gravi i contrasti sia per un diverso modo di giudicare, gestire e affrontare i vari compiti e le varie situazioni, sia per il nascere di confronti, gelosie e invidie: “Perché lui deve guadagnare più di me?” “Perché lei deve avere buona parte delle coccole dei figli e io no?” “Perché devo sottostare a quello che lei/lui dice o preferisce e non deve prevalere la mia idea, la mia opinione o la mia volontà?” “Perché lui/lei deve spendere non solo i suoi soldi ma anche i miei?”.  Purtroppo affidare ad entrambi i coniugi stessi compiti e medesime funzioni e ruoli si è rivelato  -e non era difficile prevederlo-  il modo migliore per mettere uomini e donne l’uno contro l’altro e rendere stabilmente e perennemente conflittuale il rapporto tra i sessi.

5. Vi è infine un altro problema del quale si parla poco: se un certo ruolo è affidato solo a una persona questa sentendosi pienamente responsabile del risultato si impegnerà  a svolgerlo nel migliore dei modi, dando il massimo di sé, se non altro per soddisfare il suo orgoglio e la sua autostima, ma se lo stesso ruolo è affidato a due o più persone l’impegno sarà sicuramente più modesto in quanto, in caso di fallimento è facile dare la colpa all’altro o agli altri: “Che non hanno collaborato”; “Che non si sono impegnati abbastanza”; “Che hanno sbagliato nella loro condotta”; “Che sono stati dei pigri o degli incapaci”; e così via. Ancora una volta un importante esempio l’abbiamo nelle nostre famiglie. L’aver affidato lo stesso ruolo agli uomini e alle donne ha comportato un disinvestimento negli impegni e nelle responsabilità familiari specie nelle responsabilità educative. In quanto se qualcosa non funzione e purtroppo sono tante le cose che non funzionano nell’ambito delle famiglie e dell’educazione dei figli, è sicuramente colpa dell’altro;  se invece qualcosa va bene è sicuramente merito nostro. Pertanto non è valorizzato adeguatamente il personale contributo e impegno.

6. Un ruolo di responsabilità o autorità comporta non solo “onori” ma anche tanti “oneri” che spesso superano le gratificazione dovute agli onori. Questo spiega molto bene il fatto che quando le leggi sulla famiglia hanno tolto l’autorità di capo famiglia al marito, molto uomini come si direbbe oggi “non hanno fatto una piega” e “ hanno tirato i remi in barca”. Hanno cioè accettato di buon grado questa perdita del loro ruolo di “capo” ma in compenso hanno ceduto ben volentieri la responsabilità, la fatica, l’impegno, il sacrificio che questo ruolo comportava. La responsabilità condivisa in definitiva si è trasformata in una comune irresponsabilità giacché ogni componente della coppia non essendo investito formalmente in uno specifico compito ha pensato bene di scrollarsi di ogni responsabilità, impegno e sacrificio. E ciò in quanto, come abbiamo detto prima, quando la responsabilità è condivisa è facile scaricare ogni impegno ma anche ogni colpa sull’altro. Il detto che “la pentola in comune non bolle mai” sintetizza molto bene questo concetto.



[1] Neil j. Smelser, Manuale di sociologia, Il Mulino Prentice hall International, 1995, p.18.

 

 

Famiglie funzionali e famiglie disfunzionali

Emidio Tribulato

LE FUNZIONI DELLA FAMIGLIA

PAROLE CHIAVI: famiglia: definizioni, funzioni della famiglia, società, educazione, cura, affettività,  

 

 

 

 

Che cos'è la famiglia?

Le definizioni sono tante:

La famiglia funzionale

La famiglia, se funzionale, riesce ad assolvere a numerose ed importanti funzioni a favore della società è viceversa. E’ possibile, ma non è affatto conveniente, come spesso si vorrebbe e si è tentato di fare, rompere questo intimo sodalizio tra famiglia e società, in quanto se paragoniamo le famiglie alle cellule di un individuo, così come le cellule hanno bisogno dell’intero organismo per vivere, anche l’organismo ha bisogno delle cellule per la sua salute e per la sua sopravvivenza. pertanto se la famiglia, ogni famiglia, ha bisogno della società, questa, a sua volta, non può fare a meno delle famiglie.

La famiglia provvede a svariate funzioni sociali:

Funzione emotiva -affettiva

 

 

Essendo la famiglia luogo privilegiato degli affetti, e quindi luogo dove nascono e si sperimentano i primi sentimenti d’amore, essa ha, come fondamentale funzione, lo sviluppo dell’espressioni affettivo-emotive. Come luogo primario dell’amore, dell’accoglienza, dell’abbraccio, della carezza, della rassicurazione, della sollecitudine, questa istituzione è dispensatrice della fiducia di fondo, del bambino, del giovane e dell’adulto, rispetto alla vita e all’ambiente sociale.  Nell’unione familiare, più che in altre forme di convivenza, possono dialetticamente armonizzarsi libertà e responsabilità; autonomia e solidarietà; cura dei singoli e ricerca del bene comune; forza progettuale e disponibilità all’imprevisto; sollecitudine e discrezione; fisiologica e sana reattività nei confronti delle aggressioni, ma anche capacità di perdonare; disponibilità alla comunicazione ma anche all’ascolto.

Se la famiglia ha buone caratteristiche di funzionalità riuscirà a far star bene tutti i suoi componenti mediante la soddisfazione dei loro bisogni affettivo-relazionali. Riuscirà a far stare bene i genitori, i figli, le persone anziane. In quanto riuscirà a dare a ognuno di essi ciò di cui hanno bisogno: riuscirà a dare sicurezza, ascolto, gioia, affetto, amore, piacere. Una famiglia funzionale sarà in grado di creare in ogni componente la fiducia di fondo nei confronti della vita, degli altri, in se stessi. Se la famiglia riesce ad essere luogo di calore, accoglienza e amore, sarà capace di produrre nella prole capacità e possibilità affettive e relazionali notevoli. In definitiva creerà benessere psicologico in tutti i suoi membri.

In caso contrario, quando la famiglia ha caratteristiche disfunzionali, oltre a numerose problematiche psicologiche: nevrosi, psicosi, caratteropatie, tossicomanie ecc., darà vita a insicurezza, sospetto reciproco, conflittualità, ansia, depressione, frustrazione, impotenza, aggressività, odio e rancore. Problematiche queste che, inevitabilmente, saranno trasferite nel contesto sociale, creando un danno economico e di funzionalità di tutto il sistema sociale, anche di quello politico ed economico, tanto più grave quanto più numerosi e importanti sono i problemi dei suoi componenti.

Funzione assistenziale, di cura e di sostegno nelle avversità fisiche e psicologiche

 

 

E’ solo all’interno delle famiglie che le attenzioni amorevoli tra i coniugi,  verso la prole, le persone ammalate, disabili o sole, hanno caratteristiche che le rendono uniche, insostituibili e particolarmente importanti. Psicologicamente, i membri della famiglia sono legati da una reciproca interdipendenza, per la soddisfazione dei bisogni affettivi. I servizi statali o quelli offerti, anzi comprati dai privati, raramente sono in grado di dare quanto promesso. Pertanto nelle famiglie funzionali ogni componente sarà sostenuto, incoraggiato, aiutato nei momenti di difficoltà o crisi: nella perdita de lavoro, nella malattia, quando sono presento gli acciacchi dovuti all’età, quando si presentano difficoltà economiche, delusioni sentimentali e relazionali, momenti di solitudine, frustrazione ecc.  Nessun servizio pubblico o privato è, infatti, capace di dare tanto e bene ad un costo così contenuto, come riesce a fare una normale sana famiglia, in quanto nessun servizio pubblico o privato riesce a creare, attorno ad un minore o alla persona ammalata, anziana, disabile, sola o bisognosa di cure e di particolari attenzioni quel clima di affettuosa e attenta presenza che dà il necessario conforto, che lenisce la sofferenza, allevia i problemi, accelera la guarigione.

Nelle famiglie disfunzionali mancherà l'aiuto e il sostegno reciproco tra i coniugi, la cura dei minori è insufficiente ad un sano sviluppo e si farà un uso eccessivo e abnorme dei servizi statati o privati nel vano tentativo di dare a ogni suo componente ciò che la famiglia non riesce a offrire. 

Funzione educativa

 

 

 

La famiglia, al di là delle sue diverse configurazioni, ci rimanda a quella struttura relazionale delle persone che definisce il nostro Io più vero e profondo. Pertanto la funzione educativa primaria e di base non può che essere affidata alla famiglia. Solo in questa le future generazioni trovano quel legame d’amore tra due esseri di sesso diverso, quell’affetto, quelle attenzioni e cure, capaci di sviluppare tutte le potenzialità dell’essere umano, in un clima di serenità, apertura alla vita, fiducia e sicurezza. Solo in questa istituzione sono presenti quei presupposti di continuità e gradualità dei processi educativi capaci di sviluppare e far crescere persone con una stabile e sicura identità e personalità. Persone quindi non solo intelligenti e capaci ma anche serene, mature e responsabili.

Questo perché è soltanto nella famiglia che ritroviamo dei legami affettivi con quelle caratteristiche di intensità, stabilità, continuità e responsabilità. Qualità indispensabili nella formazione ed educazione delle future generazioni umane.  Per tali motivi quando la famiglia possiede buone caratteristiche di funzionalità provvederà a sviluppare nei nuovi nati tutte le potenzialità umane presenti nei geni: l’intelligenza, Il linguaggio, la motilità, la socialità, l’affettività, i sentimenti, le emozioni, la spiritualità, la cultura di base. In definitiva riuscirà a formare un uomo e una donna con buone caratteristiche di maturità, serenità, equilibrio e socialità.

La funzione educativa della scuola o degli altri servizi non può che essere secondaria e sussidiaria a quella familiare, in quanto, questi servizi non hanno né la capacità, né la linearità, né la coerenza, né la responsabilità, presenti in una sana, normale famiglia. Pertanto è soprattutto in questa che al bambino vengono trasmessi i valori fondamentali indispensabili per la sua esistenza e per la società. E’ nella famiglia che lui impara a limitare le sue esigenze; capisce come rispettare quelle degli altri; apprende ad inserire i bisogni in una corretta scala di valori. Ed è nella famiglia che impara a comprendere che la vera libertà si nutre di responsabilità e rispetto nei confronti degli altri, di se stesso e della verità.

Quando la famiglia è disfunzionale uno o più potenzialità non saranno sviluppate o saranno stimolate in maniera abnorme o patologica. Il caso che descriviamo è sicuramente raro ma è un segnale di come la famiglia stia perdendo la sua funzione educativa anche nei comportamenti più basilari ed elementari.

Un giorno venne all’osservazione della nostra equipe una bambina di tre anni. Ben sviluppata dal punto di vista fisico rispetto alla sua età, appariva nell’aspetto una bella bambina sana e vivace. Era figlia di genitori di ottima estrazione sociale e culturale: il padre aveva due lauree e così la madre. Entrambi i genitori mi dissero subito di essere super impegnati nelle attività lavorative. Quando ancora io stesso non mi ero lasciato sedurre dal telefonino cellulare che ora tengo, per la disperazione di mia moglie e dei miei figli, ben conservato e spento in un cassetto, la madre con orgoglio mi fece vedere di averne due: uno per le attività d’ufficio e uno per ricevere le chiamate di amici e familiari. Mi esposero il loro problema sintetizzandolo in poche parole: “La bambina nonostante abbia più di tre anni ancora non parla.“

Non vi erano, nelle notizie riguardanti la gravidanza e la nascita, segni che potessero far pensare ad una patologia cerebrale pre o post natale. La bambina sembrava possedere un buon udito e anche i test per evidenziare  il suo sviluppo intellettivo evidenziavano delle capacità logiche e percettive nella norma. Tra l’altro non sembrava una bambina psicologicamente trascurata, la madre affermava che la bambina era sempre con lei per parecchie ore al giorno. Eppure non parlava. Imbarazzati in quanto non riuscivamo a fare uno straccio di diagnosi, io e gli altri membri dell’equipe, ci guardavamo in faccia, sperando che qualcuno riuscisse a capire l’origine di questa strana patologia. Poi, come per un’improvvisa illuminazione divina, le feci una domanda che raramente faccio ai genitori: “Ma voi avete insegnato a parlare a questa bambina?” Sia il padre che la madre mi guardarono stupiti. “Mi scusi ma perché avremmo dovuto insegnarle a parlare? Noi sappiamo che i bambini normali verso i tre anni parlano, lei non lo fa e per questo che noi ci siamo preoccupati e siamo venuti da lei.” Ripetei la domanda spiegando cosa significasse insegnare a parlare, la madre mi guardò quasi offesa e rispose stizzita :” Dottore ma veramente lei pensa che con tutto il da fare che ho io avrei mai potuto fare quello che lei mi dice? Forse non ha capito, io ho due lavori che mi impegnano anche quando sono a casa. Ecco perché porto due telefonini. La bambina sta sempre con me, anche quando vado dai clienti la porto nel sedile posteriore della macchina, ma certo non potevo mettermi a fare quelle cose che lei mi dice. Io e mio marito pensavamo che i bambini ad una certa età parlassero e basta.”

Capendo che non era proprio il caso di infierire cominciai a spiegare loro un programma che avrebbe dovuto aiutare la bambina ad acquisire il linguaggio. Si trattava soltanto di farle ripetere delle parole prendendo spunto da immagini  semplici e colorate. Sapendo che entrambi i genitori avevano una cultura basata soprattutto sui numeri ed i calcoli, con pignoleria descrissi quante volte e per quanti minuti ogni giorno bisognava sottoporre la bambina a quel programma “speciale.”

Dopo un mese circa i genitori e la bambina ritornarono per un controllo. Chiesi come andavano le cose e la madre: “Dottore è un miracolo, adesso la bambina parla.” Da allora quando vi sono casi simili dico scherzando ai miei collaboratori che si tratta di un altro caso che necessita di un intervento miracoloso!

Funzione riproduttiva

 

 

All’interno della famiglia nascono le future generazioni umane. Se le famiglie trovano nel proprio seno sufficienti capacità e all’esterno un ambiente favorevole, esse sono in grado di fornire alla società un numero di figli sufficiente a sostituire le persone decedute e ad ampliare, gradualmente, la diffusione della razza umana. Nelle famiglie disfunzionali, sia qualitativamente che numericamente, il “prodotto” di questa istituzione sarà scarso ed insufficiente a coprire anche solo le morti.

Funzione economica

 

 

La famiglia è una piccola impresa tra persone che condividono e si impegnano per dei progetti comuni. Tra questi ve ne sono sicuramente anche di tipo finanziario. La famiglia provvede, infatti, a procurare, con il lavoro dei suoi membri, le risorse necessarie per la vita comune: cibo, vestiti, abitazione, cure sanitarie e altre necessità materiali. Giacché con le sue spese consuma, mentre nel contempo produce reddito mediante il lavoro dei suoi componenti, è la famiglia il principale motore dell’economia. Mediante il pagamento delle tasse essa provvede alle necessità dello Stato, mentre, a sua volta, utilizza gli aiuti dello Stato per l’assistenza ai minori, agli anziani, ai malati e ai disabili.  Quando uno o più dei suoi membri sta male sia fisicamente sia psicologicamente, non ne soffre solo la famiglia ma anche la società, in quanto sarà costretta a rinunciare al lavoro utile e produttivo di questi e sarà anche costretta a provvedere alla sua cura ed assistenza.

Funzione di protezione dai pericoli esterni

 

 

 

La famiglia ha il dovere di proteggere i suoi membri dai pericoli fisici, psicologici e morali: dipendenza, disvalori, violenze, abusi di ogni genere (sessuali, fisici, spirituali, morali).

I pericoli presenti nell’ambiente sociale sono di vario ordine: sono pericoli di tipo fisico, ma sono soprattutto pericoli di tipo psicologico: contatto con disvalori, violenze, abusi o offese di tipo spirituale, morale e relazionale. La famiglia dovrebbe poter offrire a tutti i suoi membri, protezione e riparo, così da essere porto sicuro nei confronti dei fattori negativi dell’ambiente sociale nel quale è inserita. La famiglia, se adeguatamente preparata, aiutata e sostenuta dalle istituzioni, ha gli strumenti per riconoscerli, ha gli antidoti per neutralizzarli, ha la forza per debellarli, così da impedire danni irreparabili ai suoi membri.

Abbiamo detto “se aiutata dalle istituzioni”. E’ indispensabile quindi che le istituzioni si facciano carico della protezione delle famiglie e dei loro membri, senza abbassare la guardia con la scusa   della libertà di parola e di pensiero. Oggi, nelle società occidentali, questa protezione manca quasi completamente, in quanto  in modo assolutamente irresponsabile, lo Stato non si cura di portare, mediante la TV e gli altri mass media, vicino alle famiglie e dentro le famiglie, insieme a materiale utile anche elementi molto dannosi per la vita di questa istituzione o per qualcuno dei suoi componenti più fragili e indifesi. Pertanto si ricercano e si puniscono severamente i pochi orchi pedofili, ma si lascia che un mare putrido di melma prodotto anche a spese della comunità invada, mediante i mass media, le menti ed i cuori di minori e adulti.  E poiché nessun genitore ha il dono della bi o tri locazione per essere contemporaneamente presenti al primo e secondo lavoro; per essere pronto+ ad accompagnare i figli nelle varie attività sportive, musicali e scolastiche “indispensabili per farli crescere bene”; per accompagnarli alle visite dei vari medici e specialisti, non possono essere nel contempo pronti a controllare che i figli non si mettano in situazioni di rischio con radio, Tv, Internet e telefonini tutto fare.

Funzione socializzante

 

 

Essendo il gruppo primario intermedio tra l’individuo e la più vasta società, la famiglia è la più piccola cellula sociale ma anche il principale mediatore sociale.

È nella famiglia che inizia il cammino socializzante per i minori, che si amplierà e completerà poi mediante l’attività della scuola e delle altre agenzie educative. È sempre in questa istituzione che viene attuato il miglior tirocinio verso la comunità e verso l’altro. Si impara a limitare i propri desideri, a confrontarli con i bisogni degli altri, si impara a riconoscere nei propri comportamenti le conseguenze positive o negative che da questi comportamenti potrebbero scaturire.

E’ nella famiglia che vengono posti i fondamenti dell’educazione all’integrazione dei ruoli sociali e l’accettazione delle responsabilità verso il più vasto mondo esterno ad essa.

Funzione etica e religiosa

 

 

All’interno della famiglia sono trasmessi i fondamentali principi etici, morali e religiosi.

E’ all’interno della famiglia che, nei vari popoli, si coltiva e viene espressa la religiosità più profonda e vera. E’ solo in questa istituzione che gli insegnamenti morali  ed i valori fondamentali del genere umano vengono trasmessi dagli adulti alle nuove generazioni, senza orpelli o grandi manifestazioni esteriori ma nel modo più intimo, profondo e vero.

Nella vita di ogni giorno, tra le mura che racchiudono e uniscono le famiglie, lo spirito religioso viene trasmesso non solo come informazione culturale ma, goccia dopo goccia, è alimento prezioso ed essenziale nella strutturazione e formazione della personalità.

Non è un caso che in tutti i popoli di grande civiltà, è in seno alla famiglia che viene iniziato, alimentato e sviluppato il senso etico e religioso della vita, tanto che per la chiesa cattolica la famiglia rappresenta la “piccola chiesa domestica”.

Funzione di trasmissione culturale

 

 

All’interno della famiglia sono trasmessi i principali elementi della cultura di base della società. E’ la famiglia che provvede allo sviluppo della personalità dei singoli componenti.

E’ attraverso la famiglia che le fondamentali conoscenze e la cultura di base dell’umanità passano alle nuove generazioni. Mediante l’esempio quotidiano sono trasmessi gli insegnamenti riguardanti i rapporti con il prossimo, i principi educativi fondamentali per il buon vivere sociale, i valori morali, i ruoli sessuali, i compiti ed i legami generazionali.

Funzione di sviluppo e orientamento dell’identità personale e sessuale

 

La famiglia ha lo scopo di sviluppare l’identità sessuale e personale che si trova allo Stato potenziale nei nostri geni. Almeno un terzo dell’identità e dei ruoli sessuali sono affidati all’ambiente affettivo relazionale nel quale il bambino vive. Questo significa che una buona parte della corretta identità sessuale necessita di idonei interventi da parte della famiglia di origine.

 

La famiglia non è un fossile storico, ma resta il migliore ed insostituibile strumento per la sopravvivenza della specie e della società ed è l’unità base affinché la società si evolva positivamente. Dalla famiglia dipende il destino dell’uomo, il suo benessere o malessere psicologico, la sua capacità di cogliere i piccoli piaceri e le gioie della vita, la capacità di dare senso alla sua esistenza. Se le famiglie sono funzionali le future generazioni saranno forti, ricche di beni materiali, culturali, spirituali e materiali. In caso contrario saranno deboli, fragili, disturbate, malate fisicamente, psicologicamente o socialmente. La famiglia, pertanto, è il più importante capitale di ogni società umana.

 

PAROLE CHIAVI: famiglia:definizioni, funzioni della famiglia, società, educazione, cura, affettività,  

 

 

 

Famiglie estese e famiglie ridotte - Il figlio unico

"Famiglie estese e famiglie ridotte - Il figlio unico"

 

Dott. Emidio Tribulato

 

Si è notato come il benessere fisico e psichico dei minori sia direttamente proporzionale al numero e alla qualità delle persone legate a questi da stabili vincoli affettivi e di parentela. Quando accanto ad un cucciolo d'uomo sono presenti, nei suoi bisogni materiali, nelle necessità affettivo – relazionali, ma anche nei suoi giochi e nelle sue scoperte, degli esseri umani numerosi, qualitativamente validi, e a lui legati da vincoli affettivi stabili, le attenzioni, la quantità e la qualità del dialogo, i contatti capaci di apporti positivi aumentano in modo considerevole.

Per LIDZ

‹‹Quando la famiglia nucleare composta da genitori e figli, non è nettamente separata dall’ampio contesto dei parenti (nonni, zii e zie, cugini ecc.), le varie funzioni della famiglia vengono divise fra i parenti. I genitori sono aiutati nell’allevamento dei figli che, a turno, possiedono molti genitori “sostituti”. Gli effetti delle anomalie e delle deficienze dei genitori, e quindi l’influenza della loro personalità, sono fortemente diminuiti››.[1]

 

Per ZATTONI e GILLINI, quando il bambino entrava in un contesto di famiglia allargata fatto di cascina, cortile o persino di paese

‹‹…i piccoli erano un bene comune, senza che questo venisse proclamato a parole; se il bambino combinava qualche guaio, veniva redarguito dagli adulti presenti; così come, se faceva sfoggio di qualche capacità, aveva un naturale “pubblico” adulto che gli batteva le mani››.[2]

Ciò non avviene quando la rete sociale e parentale è molto ridotta o, come spesso avviene nel mondo occidentale negli ultimi decenni, è quasi assente. In questa condizione è facile che i piccoli dell'uomo soffrano di carenze in molti momenti della loro crescita e del loro sviluppo. Soffrono nel momento dell'attesa e della nascita, in quanto le ansie dei genitori non saranno affrontate e quindi placate o ridotte da persone più mature ed esperte che potranno consigliare, rasserenare e accogliere le paure sia della madre sia del padre. Soffrono nei primi mesi di vita, in quanto mancherà ai loro genitori una guida autorevole e serena che li indirizzi sulle tante problematiche da affrontare in questo periodo, che è anche il momento più delicato e decisivo per l'instaurarsi di un sano e felice rapporto e legame genitori - figlio. Soffrono quando questi genitori sono costretti ad affrontare, in solitudine, i numerosi malanni o disturbi psichici e somatici dei figli. In questi casi l'intervento del pediatra o dello specialista non sempre è sufficiente a sedare le ansie di papà e mamma. E per finire, i bambini soffrono quando avrebbero bisogno di iniziare a socializzare con i fratelli o con i cugini, con i quali vi è un’antica e prolungata frequenza e invece sono costretti a confrontarsi, in ambienti affollati, con gruppi di coetanei sconosciuti, vocianti e spesso irritati e irritabili, in quanto frustrati a causa della lontananza dai genitori e dalle rassicuranti mura domestiche. Per tali motivi tutti i piccoli dell'uomo, come quelli di molti animali, dovrebbero avere la fortuna di crescere in ambiti familiari ricchi di capacità umane ma anche estesi.

 

 Il figlio unico.

 

 

 

Nell’essere figlio unico vi sono certamente dei vantaggi. Non è necessario dividere con altri fratelli l’amore dei genitori. Questi, se vogliono, possono tranquillamente dedicare tutte le affettuosità e tutto il tempo che hanno a disposizione, a questo figlio. Inoltre, se si è più piccoli, è facile dover subire le angherie del fratello maggiore. Ma anche quest’ultimo sarà costretto a sopportare le prepotenze del fratello minore quando questi, approfittando della maggiore protezione dei genitori che gli è accordata, potrà impossessarsi dei suoi giocattoli o fumetti, scappando subito dopo, per nascondersi dalla mamma e così farsi proteggere. Questa mamma, d’altra parte, difendendolo, non mancherà di dire l’odiosa, aborrita frase: ‹‹Tu sei grande, accontenta tuo fratello che è piccolino››. Sarà, inoltre, più facile per i genitori accontentare il figlio unico nei suoi bisogni e nei suoi desideri costosi, in quanto le finanze della casa non devono essere ripartite tra due o tra tanti elementi.

 

Accanto a questi aspetti positivi ve ne sono, però, molti altri negativi. Essere figlio unico significa:

  • ·         rinunciare a molti stimoli di tipo competitivo, nel conquistare e poi mantenere l’affetto dei genitori mediante i comportamenti più opportuni, affettuosi, dialoganti e collaboranti;
  • ·         perdere precocemente il piacere e le esperienze ottenute mediante i giochi infantili in quanto, giocando e dialogando spesso con persone adulte, i figli unici sono stimolati a diventare precocemente adulti negli atteggiamenti e nei comportamenti;
  • ·         essere costretti a confrontarsi molto presto con il mondo degli adulti senza aver prima sperimentato il rapporto protetto con altri minori con i quali si è già stabilito un legame affettivo e di sangue;
  • ·         non avere la possibilità di comparare esperienze, idee, riflessioni e pensieri con altri minori, diversi per età e per sesso ma che vivono gli stessi valori familiari;
  • ·         non avere la possibilità di trovare nei fratelli maggiori dei fondamentali modelli di riferimento, da imitare ed introiettare;
  • ·         non poter giocare con minori che vivono e partecipano dello stesso clima familiare, che hanno un analogo stile di comportamento e che condividono i medesimi valori;
  • ·         non poter utilizzare e godere di una realtà e di una presenza calda e rassicurante, nel momento in cui i genitori sono assenti per lavoro, quando uno di loro viene a mancare o nei momenti di crisi della famiglia. Crisi che può sopravvenire a causa di gravi conflitti coniugali o, peggio, per la frattura della coppia genitoriale;
  • ·         dover affrontare la genitorialità senza aver avuto preziose esperienze educative e di cura di bambini piccoli. Per WINNICOTT: ‹‹…ogni bambino che non sia passato attraverso questa esperienza e che non abbia mai visto la madre allattare, lavare e curare un bambino piccolo, è meno ricco del bambino che è stato testimone di questi avvenimenti››;[3]
  • ·         confrontarsi frequentemente con dei genitori permissivi o ansiosi. I genitori dei figli unici, vivono con più apprensione e paura il loro ruolo. Hanno timore che al loro unico erede capiti qualcosa di grave e poiché hanno anche ansia e timore di perdere il suo affetto hanno difficoltà a porre in essere comportamenti autorevoli, in quanto temono che lui reagisca negativamente e distruttivamente di fronte ad atteggiamenti educativi severi;

·         non essere rafforzati, mediante la nascita del fratellino, dall’idea che i genitori si vogliono ancora tanto bene da scommettere sul futuro, arricchendo la famiglia di un nuovo elemento;

  • ·         fare esperienze di ruoli diversi, così da prepararsi a vivere in gruppi più vasti, e alla fine, nel mondo;[4]
  • ·         avere difficoltà ad allontanarsi dalla famiglia in quanto schiacciati e legati dalla responsabilità di dover lasciare dei genitori che, in mancanza di altri figli, rimarrebbero soli.

[1] T. LIDZ, Famiglia e problemi di adattamento, Editore Boringhieri, Torino, 1977, p. 30.

[2] M. ZATTONI – G. GILLINI, , “Di mamma non ce né una sola”, in Famiglia oggi, N° 2- febbraio 2003, p.12.

[3] D. W. WINNICOTT, Il bambino e la famiglia, Giunti e Barbera, Firenze, 1973, p. 146.

[4] Cfr. D. W. WINNICOTT, Il bambino e la famiglia, Giunti e Barbera, Firenze, 1973, p. 148.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -(Volume unico)

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