Voglia di crescere e ritardo mentale

Voglia di crescere e ritardo mentale

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Emidio Tribulato "Voglia di crescere" nei bambini con ritardo mentale


Il programma “Voglia di crescere” può essere utilizzato, come vedremo, in diverse situazioni di disabilità ma la prima e più importante situazione di handicap per la quale è nato e che cerca di affrontare efficacemente, è quella del ritardo mentale.

 

Chi è il bambino con ritardo mentale?

 

Non è sempre facile rispondere a questa domanda.

Ognuno di noi ha una sua immagine mentale, ma non sempre questa immagine corrisponde alla realtà. Ricordo ad esempio un’insegnante, un po’ anziana e tarchiatella, la quale intervenendo stizzita durante un incontro effettuato  in una scuola elementare per l’aggiornamento del personale, andando subito al dunque, a questa domanda rispose che l’emblema dei bambini con ritardo mentale l’avevano tutti i bambini della sua classe di quell’anno: “Uno più incapace e stupido dell’altro non se ne salva nessuno.”

Naturalmente non poteva essere vero, in quanto è molto difficile che tutti i bambini della scuola e del comprensorio con questa patologia si fossero concentrati in quella classe, per la disperazione della povera e sfortunata insegnante. Nella statistica riportata da Militerni non dovrebbero superare il 2-5% della popolazione generale.  In quel caso è più facile l’ipotesi che fosse l’insegnante a giudicare male i suoi alunni in quanto si era fatta un’idea errata dei bambini con ritardo.

 

Che aspetto ha il bambino con ritardo mentale?

Alcuni sono colpiti dall’aspetto fisico a volte sgraziato, dalle caratteristiche del volto, dall’andatura impacciata; altri notano il linguaggio, nettamente più infantile e povero rispetto all’età; altri le difficoltà negli apprendimenti scolastici, altri ancora i grossi limiti da loro presentati nella vita sociale e nell’autosufficienza: difficoltà nel vestirsi, spogliarsi ed alimentarsi autonomamente.

Tutti questi elementi possono essere indicativi nel fare diagnosi di ritardo mentale, ma non possono essere sufficienti. Solo un’accurata anamnesi e i test o le scale di sviluppo effettuati correttamente possono confermare o non la presenza di questa patologia attraverso il punteggio ottenuto nelle varie prove, che si tradurrà nel quoziente intellettivo: il famoso Q.I. che metterà in evidenza un notevole divario tra l’età mentale del soggetto e la sua età cronologica.

 

Età cronologica ed età mentale.

Se l’età cronologica corrisponde all’età anagrafica di un bambino, per età mentale intendiamo l’età cronologica che avrebbe un bambino con quel determinato sviluppo logico, o come dice A. Anastasi: “ come l’età equivalente a quella dei bambini normali il cui rendimento il soggetto avesse eguagliato." Si tratta quindi di mettere a confronto il bambino in esame con prove a cui sono stati sottoposti i bambini normali e da questo confronto ricavare un punteggio che esprima il suo grado di sviluppo.

Ma ciò è vero fino ad un certo punto. Se, infatti, un ragazzo ha un’età cronologica di quattordici anni  ma ha un’età mentale di quattro anni, non significa che sarà esattamente come un bambino di quattro anni. Egli possiede, infatti, esperienze, maturazione fisica, affettiva e sessuale di un ragazzo di quattordici anni e non di un bambino di quattro. L’età mentale ci dà quindi una equivalenza relativa a certe aree dello sviluppo logico esaminato e non ci indica la globale personalità del soggetto.

I test che vengono utilizzati e le persone che utilizzano questi test devono però essere in grado di misurare quella realtà così complessa che noi chiamiamo “intelligenza”. Sappiamo, infatti, che questa qualità che caratterizza l’essere umano, ha varie sfaccettature ed è composta da molteplici elementi.

Fa parte dell’esperienza comune il notare in alcune persone notevoli capacità motorie ma scarse capacità linguistiche. Così come non è difficile incontrare altre persone che hanno notevoli capacità speculative o filosofiche, in presenza di scarse capacità pratiche. Per queste ultime parlare di Kant o di Hegel  non è un problema, mentre sembrano avere difficoltà insormontabili nelle attività pratiche o manuali: i loro nemici giurati sono le serrande da sistemare o le spine elettriche che non fanno il loro dovere.

Il quoziente intellettivo normale non è come spesso si pensa, uguale a 100 ma può variare da un Q.I. di 85 a un Q.I. di 120, anzi, se nella fascia di normalità inseriamo tutti quei soggetti che sono ai limiti della norma, il quoziente intellettivo “normale” si allarga e comprende tutte le persone che hanno un Q.I. che va da 70- 75, fino a 120. Solo al di sotto di questo limite si potrà parlare di ritardo mentale.

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Per gli insegnanti e la società civile le conseguenze di questa fascia così ampia di normalità sono notevoli.

Per quanto riguarda gli insegnanti, dovendo necessariamente gestire nella loro classe bambini “normali” con una differenza di punteggio ai test di quasi cinquanta punti, i docenti dovranno necessariamente adattarsi, per quanto riguarda la capacità di apprendimento, a situazioni molto diverse, in quanto possono ritrovarsi ad insegnare a bambini “normali” con un quoziente intellettivo di 119 e contemporaneamente insegnare ad altri bambini “normali” con un Q.I. di 76. Per questo motivo il problema della stimolazione intellettiva  che ha la funzione di migliorare le capacità logiche di base, non dovrebbe interessare soltanto i soggetti con chiara disabilità ma dovrebbe costituire un ottimo allenamento per tutti i bambini, specie se con capacità intellettive non eccelse anche se rientranti nella norma.

I genitori d’altra parte, per non rendere molto complessa l’attività didattica degli insegnanti, dovrebbero  prevedere per i bambini “meno svegli” o un inserimento ad un’età più matura o un periodo di stimolazione logico-cognitiva, in modo tale da migliorare le capacità di base preparando, così, i loro figli ad apprendimenti complessi come la lettura o la scrittura, l’aritmetica.

Ciò anche per evitare quel fenomeno curioso per cui mentre nella popolazione generale il ritardo mentale non supera il 2-5%,  nella popolazione scolastica stranamente arriva all’otto - dieci per cento. Il motivo è ovvio: le varie équipe scolastiche, pressate dagli insegnanti  che evidenziano in alcuni alunni normali, per i motivi che abbiamo detto prima, difficoltà negli apprendimenti curriculari, pur di concedere l’insegnante di sostegno vedono il ritardo mentale anche dove non c’è.

 

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I suoi problemi.

Il bambino con ritardo mentale può presentare varie problematiche. Le difficoltà nell’autonomia personale: vestirsi, spogliarsi, lavarsi, l’uso del bagno, alimentarsi da soli, erano in passato le maggiori cause di afflizione per i  genitori. Per fortuna questi motivi, a causa di una migliore educazione e stimolazione dei minori, appaiono ora meno frequenti, meno gravi e più facilmente superabili. Permangono in alcuni casi i problemi legati alle attività scolastiche e all’autonomia sociale. Questi problemi, se non ben affrontati, rimangono e sono motivo di ansia e preoccupazione per i genitori e per gli insegnanti. Per quanto riguarda ad esempio le attività scolastiche, se lo sviluppo logico e percettivo non raggiunge livelli sufficienti, si manifestano inevitabilmente problemi legati agli apprendimenti curriculari. Tali attività presuppongono infatti delle capacità intellettive notevolmente maggiori di quelle presenti in bambini con ritardo mentale, che non siano stati adeguatamente stimolati. Ad esempio, la capacità di analisi e di sintesi sillabica indispensabile nella scrittura e lettura analitica, che è quella più frequentemente usata nelle scuole, necessita di un’età mentale di almeno cinque - sei anni, e così le capacità spaziali che servono a distinguere le varie lettere dell’alfabeto, maturano quando si è acquisita un’età mentale di almeno cinque anni.

 L’apprendimento dell’orologio presuppone la conoscenza non solo dei numeri ma anche di concetti complessi come: la metà, l’intero, il quarto, i tre quarti. Anche le capacità temporali, indispensabili nella lettura per distinguere nel dettato le sillabe che sono pronunciate prima da quelle successive, necessitano di livelli intellettivi molto spesso superiori a quelli presenti nel bambino con ritardo mentale all’età in cui questi viene inserito a scuola. Lo stesso per le capacità spaziali indispensabili per la lettura sia analitica che sillabica. Ad esempio, le lettere “p – q - d – b “ sono formate dagli stessi elementi ma con una configurazione spaziale diversa.

Allo stesso modo sono difficili alcune attività sociali: come fare amicizia con i coetanei, aggregarsi in modo autonomo a gruppi spontanei o organizzati, l’uso dei mezzi e servizi pubblici, avere rapporti affettivo sentimentali e sessuali validi e stabili.

Tutti questi sono obiettivi difficilmente realizzabili se non supportati da buone capacità nello sviluppo logico, presupposto indispensabile per avere la necessaria responsabilità, capacità educativa ed autonomia economica.

Nasce pertanto il problema se questa realtà sia modificabile oppure no e, se modificabile, di quanto possa esserlo. Se la risposta dovesse essere, infatti, negativa rimarrebbe soltanto la possibilità di apprendimenti strettamente connessi con le potenzialità che la malattia di base ha lasciato nel bambino. Se invece pensiamo che questa realtà sia, almeno in parte, modificabile, allora possiamo sperare in una crescita  globale di questi bambini, che può portare ad apprendimenti fino ad ora preclusi.

Molti elementi ci fanno essere ottimisti nel pensare che la stimolazione logico - cognitiva possa migliorare le capacità di base di questi soggetti.

    Il primo elemento di ottimismo nasce dall’esperienza quotidiana: tutti noi rimaniamo sbalorditi nel vedere, ad esempio al circo equestre, giocolieri, funamboli e trapezisti effettuare esercizi molto difficili, complessi e molto ma molto lontani dalle nostre possibilità.

 

 

 

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Queste maggiori capacità nell’equilibrio e nei riflessi, queste notevoli e incredibili capacità motorie, hanno sempre una base genetica oppure sono dovute a lunghi e faticosi allenamenti effettuati fin dalla più tenera età con metodologie, strumenti e tecniche precise e raffinate, spesso tramandate di padre in figlio? Sarebbe poco realistico affermare che tutti questi soggetti, come tutti gli sportivi, i musicisti e i tecnici che hanno capacità notevoli, abbiano anche un patrimonio genetico superiore alla norma. Sappiamo invece che il lungo, costante e graduale eser-cizio fa fruttare al meglio le normali capacità umane.

Il secondo elemento di ottimismo nasce dalle ricerche sperimentali che evidenziano in modo chiaro le capacità di  adattamento, modellamento e sviluppo della mente umana in seguito a stimoli e a processi di apprendimento.

Ciò è dimostrabile sia sul piano anatomico che fisiologico. Sul piano anatomico una corteccia cerebrale che è stata sottoposta a numerosi stimoli e apprendimenti, appare all’esame microscopico come una struttura  a rete più fitta e più ricca di connessioni e terminazioni nervose, rispetto ad una corteccia poco stimolata. Anche sul piano fisiologico, quando l’individuo è sottoposto a stimoli frequenti e ben graduati apprendimenti, si evidenziano nette modificazioni avvenute nelle diverse aree cerebrali e nei rapporti tra queste.

Il terzo motivo nasce dall’immagine stessa dei bambini ritardati che è notevolmente cambiata negli ultimi decenni. Per quanto riguarda ad esempio i bambini Down, che prima venivano descritti come portatori di gravi deficit sia sul piano motorio, che linguistico e nell’autonomia personale, questi attualmente sono visti come capaci non solo di una buona autonomia personale e sociale ma anche di apprendimenti scolastici come la lettura, la scrittura, l’aritmetica. Ciò non è dovuto ad interventi di tipo medico, ma ad approcci educativi più fisiologici, incisivi ed adeguati rispetto al passato.

Il quarto motivo nasce dall’esame delle metodologie, dei materiali, delle tecniche di stimolazione oggi esistenti per lo sviluppo logico e cognitivo. Questi, ad un esame appena approfondito, appaiono molto lontani dalla perfezione. Anzi, più ci approfondiamo nello studio e nella ricerca di strumenti idonei, più ci rendiamo conto di errori, grossolane imperfezioni e imperdonabili incongruità presenti negli strumenti di stimolazione normalmente utilizzati. Ma, nonostante ciò, i bambini sottoposti a stimolazione intellettiva migliorano notevolmente. Quanto potranno ottenere questi bambini nel momento in cui saremo riusciti a costruire strumenti e metodologie notevolmente più cor-retti, attenti ed adeguati?

Quando educare.

L’educazione del bambino con ritardo mentale dovrebbe iniziare fin dai primi mesi di vita, come meglio diremo in seguito, mediante una stimolazione logico – cognitiva globale che interessi tutte le aree e le potenzialità del soggetto. Ciò in quanto le capacità di modellamento, di sviluppo, di apprendimento e memorizzazione delle aree cerebrali sono massime nel bambino piccolo mentre diminuiscono con l’età. Ricordiamo infatti che un bambino è capace, in pochi mesi, di imparare una lingua con migliaia di parole e di concetti; di memorizzare milioni di informazioni visive, tattili e cenestesiche; di effettuare migliaia di categorie e di ragionamenti logici; un adulto no.

La personalità del ritardato mentale.

Il bambino con ritardo mentale ha una personalità simile a quella dei bambini “normali”; essi, pertanto, somiglieranno ai loro genitori non solo per il nasino, per gli occhi o il colore dei capelli ma anche per alcuni tratti del carattere. Tratti del carattere che però si completeranno, come per tutti gli altri bambini, con l’importante concorso dell’ambiente circostante. Ambiente che può essere accogliente, affettuoso, allegro, comprensivo, dialogante o al contrario traumatizzante, emarginante, scostante, freddo, triste, scarsamente vicino ai bisogni più profondi. 

Nei vecchi test di neuropsichiatria infantile un capitolo era dedicato alla personalità del ritardato mentale. Questi veniva descritto come un soggetto con una più facile instabilità, irritabilità, scontrosità, aggressività. Queste caratteristiche non sono state inventate dagli studiosi ma risentono delle difficili situazioni in cui, venivano e purtroppo vengono ancora oggi a trovarsi i soggetti che presentano questa o altre disabilità.

L’emarginazione e la segregazione negli istituti “specializzati”, creava, a causa della deprivazione affettiva, delle gravi situazioni psicologiche con conseguenti sintomi di irritabilità e aggressività.

Ma anche adesso, che buona parte degli istituti sono chiusi, la vita dei bambini con ritardo mentale non è facile. Questi hanno, dal punto di vista affettivo - relazionale gli stessi bisogni degli altri, ma spesso non sono trattati come gli altri già fin dalla nascita. Gli errori presenti nell’educazione sono numerosi e hanno una notevole importanza sul loro sviluppo psichico.

Ad esempio l’atteggiamento pietoso e ansioso dei parenti e delle persone che conoscono la situazione di tali bambini condiziona in modo negativo il sentire dei loro genitori: il vedere il bambino con ritardo diverso, non normale e fonte di problemi, può comportare per questi ultimi frustrazione e angoscia. Questi sentimenti non possono non ripercuotersi sull’autostima e sul benessere psicologico del figlio disabile. Ogni figlio vorrebbe essere per i propri genitori fonte di gioia, gratificazione e benessere e non causa di tristezza, preoccupazione, vergogna e dolore.

  mille consigli e suggerimenti, a volte poco appropriati, che vengono da varie fonti: “Al figlio della tal dei tali è stata consigliata la frequenza nell’asilo nido.” “Fa logoterapia, psicomotricità, ippoterapia. “È stato visitato in una clinica superspecializzata di Ginevra” e così via, aumentano nei genitori l’ansia del fare e del fare quanto più possibile. Si acuisce, in tal modo, il loro stress nell’inserire nelle attività quotidiane i mille impegni consigliati. Sul bambino si ripercuote la stanchezza dei genitori, ma anche lo stress derivante dalle tante attività che spesso non solo non aggiungono nulla ma, al contrario, traumatizzano il bambino stesso.

Non è il numero o la durata delle attività che fa una buona educazione speciale ma la qualità di queste attività e la loro rispondenza ai bisogni reali: fisici, intellettivi e psicoaffettivi.

Si continua poi con le attività scolastiche. Sta diventando ormai prassi comune inserire questi bambini nell’asilo nido e nella scuola materna il più precocemente possibile “per avere più stimoli” e “per farli socializzare con gli altri bambini”, come si dice di solito. Niente di più errato di questa prassi se, come abbiamo detto nel capitolo sulla socializzazione, si riflettesse appena un attimo sulla fisiologia dello sviluppo umano la quale vuole che il distacco dall’ambiente familiare e dai suoi genitori avvenga non prima dei tre – quattro anni di maturazione globale. Pertanto, inserire un bambino di quindici mesi con ritardo mentale significa molto spesso inserire un essere umano di appena sette - otto mesi di età mentale in un ambiente avvertito da quest’ultimo come non familiare e quindi freddo, ostile, inospitale e quindi pauroso. Questa modalità priva il bambino del caldo contatto con la madre e l’ambiente familiare, mentre nel contempo introduce sintomi di disagio psicologico che non solo spesso annullano ogni tentativo di maggiori acquisizioni ma, il che è peggio, fanno diminuire di molto ogni futura possibilità di apprendimento.

Se il bambino non è sereno e pago di stimoli affettivi non solo non apprende di più ma il suo ritardo si accentua e si aggrava. Per essere ancora più chiari, il rischio è che al posto di diminuire un handicap se ne aggiunga un altro!

Altri errori troviamo nell’inserimento scolastico vero e proprio. Molto spesso tra i banchi della scuola elementare, con la penna in mano e davanti ad un normale libro di lettura e un quaderno, sta un bambino con un’età cronologica di sei anni ma con un’età mentale di tre – quattro anni, senza i requisiti indispensabili per le attività richieste. Non vi sono spesso i requisiti di attenzione e stabilità necessari per sopportare ore e ore di impegno scolastico; non vi sono i requisiti percettivi, spaziali, logici, di pregrafismo per l’apprendimento della lettura, della scrittura e del calcolo. La frustrazione in tali condizioni è molto facile che sopraggiunga e angosci il bambino anche se ha accanto un’insegnante di sostegno che l’aiuti. Ora dopo ora, giorno dopo giorno egli è costretto a constatare che gli altri fanno, apprendono e producono molto ma molto di più di quanto lui non riesca ad apprendere e a produrre nonostante tutti i suoi sforzi. Tale situazione non fa poi che aggravarsi negli anni successivi, in quanto il distacco tra lui e gli altri diventa sempre più ampio.

 

Cause.

Le cause del ritardo mentale sono numerosissime. Vengono distinte in due grandi categorie: genetiche e acquisite. Mentre le anomalie genetiche sono presenti già nel patrimonio genetico del prodotto del concepimento, le cause da fattori acquisiti sono rappresentate da alterazioni patogene che agiscono “dall’esterno” sul sistema nervoso centrale nei periodi prenatale, perinatale o post-natale.

 

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Le cause genetiche, a sua volta si distinguono in alterazioni geniche e aberrazioni cromosomiche. Delle alterazioni geniche fanno parte le malattie congenite del metabolismo, le facomatosi e le altre alterazioni encefaliche eredo – degenerative. Delle aberrazioni cromosomiche con anomalie nel numero e nella struttura fanno parte la sindrome di Down, di Turner, di Klinefelter, di Angelman, di Prader-Willi e la sindrome dell’X – fragile.

 

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Le cause acquisite sono anch’esse numerosissime e si distinguono in:

•    cause prenatali: infezioni acute materne come la rosolia e la toxoplasmosi; le malattie croniche materne come il diabete, le cardiopatie, le endocrinopatie; le intossicazioni sia accidentali che voluttuarie come l’uso di droghe;

 

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•    cause perinatali: sono quelle che intervengono verso la fine della gravidanza ed entro la prima settimana di vita del bambino. Le condizioni patologiche che causano sofferenza fetale possono riguardare la placenta, il travaglio, il parto ed il periodo neonatale;

 

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•    cause postnatali: queste possono intervenire dopo la prima settimana di vita extrauterina e possono essere dovute a traumi, infezioni, disturbi metabolici, intossicazioni, gravi carenze ambientali.

 

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In definitiva, poiché l’ encefalo è uno degli organi più complessi ma anche più delicati del nostro organismo, questo può subire, numerose ed invalidanti lesioni a causa di traumi, agenti batterici, virali o di metaboliti presenti in circolo sia in eccesso che in difetto. Ma poiché, tranne qualche eccezione, le cause che hanno provocato il ritardo non sono più attive, è assolutamente inutile oltre che controproducente continuare, come si fa spesso, ad effettuare esami e controlli per andare a scoprire particolari biochimici o anatomici insignificanti. C’è il rischio che molti di questi esami si traducano solo in ulteriori traumi psichici per il bambino.

 

Gli obiettivi.

 

Gli obiettivi sono essenzialmente tre:

1)    Il primo obiettivo che ogni educatore dovrà porsi è quello di fare in modo che ogni bambino con ritardo mentale sviluppi la sua personalità in modo sereno, gioioso, armonico, interagendo in maniera efficace con la sua famiglia e, successivamente, con i compagni e gli altri adulti. È su questa base di serenità, di gioia e di armonia interiore che è possibile costruire il secondo obiettivo.

2)    Il secondo obiettivo ha come fine il miglioramento delle capacità di base del soggetto in tutte le aree dello sviluppo: dal linguaggio alla memoria, dalle capacità logico – percettive allo sviluppo cognitivo; dall’autosufficienza alla motilità fine e grosso motoria.

3)    Il terzo obiettivo si propone, invece, di avvicinare alle possibilità del soggetto gli apprendimenti culturali e scolastici. Ciò, come abbiamo visto parlando dell’apprendimento programmato e delle ricerche semplici, è possibile mediante vari accorgimenti.

I comportamenti educativi che noi consigliamo dovrebbero prevedere:

 1)    lasciare che durante i primi mesi di vita la relazione affettiva tra i genitori ed il bambino si esprima liberamente e spontaneamente. Evitare pertanto altre terapie o interventi, specie se potenzialmente traumatizzanti, tranne che non siano assolutamente indispensabili o non  siano presenti danni organici e neurologici evidenti. Ma anche in questi casi bisogno valutare bene il rapporto danno- beneficio. A volte uno scarso, improbabile beneficio a favore della motricità può essere pagato con un grave danno psicologico!
 

b)    solo verso l’ottavo - nono mese, come un altro bel gioco da fare insieme alla mamma e al papà,  sarà utile iniziare “Voglia di crescere a partire dal livello zero del programma. Abbiamo detto “come un bel gioco da fare insieme” e quindi senza ansia, senza forzature, senza costrizioni ma divertendosi insieme madre –figlio, padre – figlio. Completato il livello zero si consiglia di continuare gli altri livelli ripetendo ogni livello sia quello cartaceo che quello interattivo  almeno una volta; 

c)    iniziare l’inserimento nella scuola materna quando il bambino ha già un’età mentale di almeno tre anni ed è, come abbiamo detto nel capitolo della socializzazione, maturo per il passaggio dall’ambiente familiare ad un ambiente istituzionale. In ogni caso il periodo di tempo che il bambino dovrebbe trascorrere nella scuola materna non dovrebbe superare le quattro ore;

d)    evitare assolutamente di lasciare a scuola il bambino durante il pranzo o peggio durante le ore pomeridiane, che vanno trascorse in famiglia, nella sua casa, nel suo cortile con i genitori, i nonni, i fratelli, gli zii, i compagnetti;

e)    continuare il programma “Voglia di crescere” fino alla fine del quinto livello e solo allora, se lo sviluppo logico e del linguaggio è adeguato a quello di un bambino di almeno quattro anni, è bene iniziare la lettura sillabico -  fonematica facilitata mediante “Leggo anch’io”;

f)    iniziare la frequenza presso la scuola elementare quando il bambino conosce i numeri fino al dieci e ha già effettuato la prima parte di “Leggo anch’io”. Sa già quindi leggere brevi frasi utilizzando delle sillabe semplici;

g)    nella scuola elementare l’insegnante dovrebbe suddividere il tempo a disposizione in modo equanime tra attività prettamente scolastiche: lettura, scrittura, aritmetica ecc.; attività di sviluppo logico percettivo e attività ludiche, motorie ed espressive. Per evitare che il bambino si ritrovi con impegni per lui troppo complessi, sarebbe bene fargli frequentare sempre la classe o le classi più vicine al suo sviluppo logico e cognitivo, sia utilizzando la ripetenza, sia mediante l’uso delle classi aperte.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Voglia di crescere" Guida per i genitori e gli operatori.

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