Educazione e ruolo di genere

Educazione e ruolo di genere

 

Chiediamoci quale tipo di educazione è più conveniente per il futuro benessere della coppia e per la funzionalità di una futura famiglia.

Vi può essere, infatti, un’educazione che tende a valorizzare ed esaltare le diversità sessuali e di conseguenza i diversi ruoli sessuali e un’educazione che tende a sfumare o se possibile cancellare le diversità sessuali e di conseguenza la diversità nei ruoli sessuali.

Questa prima domanda si può tradurre a sua volta in tre quesiti:

1.    E’ possibile, mediante un’educazione che non valorizzi le differenze sessuali ma che attivamente le contrasti, far scomparire le differenze negli atteggiamenti e nei comportamenti di quelli che diventeranno uomini e donne, mariti e mogli, padri e madri? E’ possibile, in altre parole, ottenere, mediante un’educazione opportuna, un’omogeneizzazione dei vissuti, dei comportamenti, degli istinti nei due sessi?

2.    Se non fosse possibile cancellarli, è possibile far diminuire questi atteggiamenti specifici dei due sessi?

3.    E’ conveniente per l’intesa di coppia e per l’educazione della prole, per la funzionalità delle famiglie fare questo?

La risposta al primo quesito è no. Non è possibile, almeno allo stato attuale delle conoscenze, far scomparire le differenze negli atteggiamenti e nei comportamenti, in quanto queste differenze sono inscritte nei geni. Tornando all’esempio fatto precedentemente del progetto di una casa e della sua esecuzione, è certamente possibile che, in corso d’opera, si cambi la realizzazione di un manufatto. Ad esempio, come spesso avviene tra i “furbetti” di casa nostra che vogliano aggirare le severe leggi sull’edilizia presenti in Italia, è possibile, se si ha un terreno agricolo a disposizione, costruire prima un bel pollaio, la cui autorizzazione si ottiene facilmente, per poi trasformarlo in tanti appartamentini che renderanno molto di più di un pollaio. Purtroppo, anche se questo è possibile, tanto che viene fatto, qualcosa del progetto iniziale resta, ed è evidenziabile anche dopo tutte le trasformazioni effettuate. Anzi avviene, come vedremo, un fenomeno particolare per cui quegli appartamenti, costruiti utilizzando il progetto di un pollaio, non saranno più pollaio, ma non saranno neanche vere case. Quello che ne viene fuori è un ibrido che ha i difetti dell’uno, senza avere i pregi dell’altro. Per tale motivo non è possibile che uomini e donne vivano, sentano, pensino allo stesso modo, tranne un radicale cambiamento genetico che non sappiamo se e quando potrà avvenire e se è conveniente che avvenga.

Ma, e rispondiamo subito al secondo quesito: E’ possibile diminuire l’incidenza genetica che ci fa essere maschi o femmine con tutte le caratteristiche che noi conosciamo, mediante comportamenti educativi diversi? La risposta è sì.

In un mio viaggio in Spagna, nella regione dell’Andalusia, mentre la guida ci accompagnava a vedere una delle tante belle case andaluse, fui colpito nel vedere alcune piante di arancio, potate in modo da tappezzare, come fossero dei rampicanti, le pareti di un cortile. Giacché sono nato e vivo in Sicilia, patria degli agrumeti, ho avvertito come un brivido scorrere lungo la schiena, vedendo come la natura di quegli alberi sempre verdi, così belli e maestosi fosse stata, così scioccamente, violentata e sacrificata. Non c’era ombra di dubbio che quegli spagnoli fossero riusciti a trasformare un albero maestoso e grande, in un simulacro di rampicante che tappezzava una parte del cortile. Ma, a parte la curiosità che suscitava, l’utilità era modesta: non si presentava come un vero rampicante perché il tronco era troppo grosso per tappezzare bene la parete, ma non aveva neanche le caratteristiche di una vera pianta d’arancio in quanto, essendo stata sacrificata la sua natura, troppo modesti per qualità e quantità sarebbero stati i suoi frutti.

Effetto caricaturale ed effetto predominanza.

Lo stesso avviene quando si cerca di modificare o di contrastare un progetto genetico importante come quello riguardante l’identità ed il ruolo di genere. Il risultato che si ottiene è spesso un ibrido, che non ha né le caratteristiche dell’uno né quelle dell’altro, né i pregi dell’uno, né quelli dell’altro.

Quello che si ottiene lo abbiamo definito effetto caricaturale.

Quando guardiamo un uomo che, alle prese con un bambino piccolo, vezzeggia, si muove, sorride, coccola come una tenera mammina, quale sensazione ne abbiamo se non quella di un effetto caricaturale di donna e di madre?

E lo stesso quando si vedono delle donne soldato con abbigliamento maschile, con taglio di capelli maschile, con cipiglio da uomo e con un linguaggio sboccato, quale sensazione ne ha un osservatore anche molto disattento, se non quella di un effetto caricaturale di maschio?

Questo effetto nasce dal fatto che non riuscendo a cogliere l’essenza di un certo tipo di realtà e di comportamento, vengono imitate, esagerandole, alcune caratteristiche più evidenti, ma anche più esteriori, che sono poi le meno importanti. Queste caratteristiche però non qualificano le vera femminilità, né la vera mascolinità.

E’ in definitiva quello che fa un caricaturista o un imitatore, il quale, allo scopo di far ridere, accentua alcuni particolari del soggetto: il naso, la testa pelata, la pancia, le gambe storte, la vocetta squillante, tutte caratteristiche che però non rispondono alla parte più profonda, intima ed importante del personaggio da imitare, ma solo a qualcuno degli attributi più eclatanti.

Le conseguenze di queste modificazioni non sono però indifferenti. Quando un uomo o una donna si trovano di fronte a queste persone, con caratteristiche confuse o ambigue, potranno anche essere curiosamente interessati proprio alla loro ambiguità, ma pochi sognano di innamorarsene, ancora meno di sposarne qualcuno e di formare con questi una famiglia.

Ancora più evidenti sono i bisogni ed i vissuti dei bambini. Poiché questi, per loro natura, amano e cercano persone con caratteristiche ben nette e definite, il loro interesse e l’attaccamento verso questi personaggi è minimo.

L’altro effetto che si è avuto nell’ambito sociale potremmo chiamarlo effetto predominanza. Quando si cerca, come è stato fatto, di fondere in un’unica realtà il mondo affettivo e quello economico e dei servizi, il risultato che si ottiene è quello di una prevalenza o predominanza in alcuni settori dei valori dell’uno, ad esempio dei valori maschili e quindi del mondo dell’economia e dei servizi, mentre in altri settori prevalgono i valori femminili e quindi quelli del mondo affettivo relazionale, senza che si ottenga un corretto equilibrio tra l’uno e l’altro.

Per riconoscere l’effetto predominanza basta guardarsi attorno. Uomini e donne lavorano con lo stile ed i valori caratteristici del mondo dell’economia e dei servizi. Prevalgono e vengono esaltati l’amore per il potere e per il guadagno, la grinta e l’arroganza, la fretta e il dinamismo. Le donne manager proprio per “l’effetto caricaturale” sembrano accentuare queste caratteristiche, pertanto si muovono, vestono, si relazionano, si attivano come dei super maschi, mentre nel contempo, diminuiscono le capacità, l’amore e l’impegno verso la famiglia, i figli, e la cura dei più deboli.

Lo stesso avviene nei comportamenti, nel linguaggio e nell’approccio sentimentale e sessuale. Non avendo il modello maschile, nessun’altra concorrenza, questo predomina e viene accentuato sia nei maschi che nelle femmine in modo abnorme. Soprattutto vengono accentuati i suoi limiti ed i suoi difetti. Prevale un linguaggio aggressivo, volgare, sboccato, rispetto ad un linguaggio sereno, rispettoso, educato. Prevale l’uso ludico e libero della sessualità, rispetto al suo impiego responsabile e finalizzato ad un progetto familiare e di vita. Prevale l’infedeltà sulla fedeltà, la superficialità sulla profondità del rapporto, l’aggressività sull’accoglienza e sulla comprensione.

Al contrario, nei modelli educativi, predomina il modello femminile e quindi prevalgono gli atteggiamenti di dialogo, accoglienza, comprensione, perdono, con tutti gli eccessi di tipo permissivo. Sono presenti allora: rari e timidi “no”; notevole tolleranza e giustificazione dei comportamenti negativi; accettazione passiva della volontà e dei bisogni individuali e personali; concessioni eccessive; scarsa coerenza nei comportamenti. In questo campo, invece, vengono ampiamente sottovalutati i valori maschili come il coraggio, la determinazione, la forza, la responsabilità, la linearità, l’autonomia, le norme e le regole, i bisogni sociali. Ai modelli femminili si adeguano, accentuandoli ed esagerandoli, sia gli uomini che le donne, ma anche le leggi e l’attuazione di queste. Con grave danno per i singoli, le famiglie e la società.

Adesso rispondiamo all’ultimo quesito: se, come abbiano appena detto, è possibile, almeno in parte, ottenere questo cambiamento mediante un attento stile educativo, è conveniente farlo?

La risposta più che essere data da noi vorremmo che scaturisse dall’osservazione della realtà.

La realtà, l’esperienza e la scienza ci danno conferma che, nel mondo naturale, l’evoluzione ha intrapreso da sempre la linea della specializzazione. Questa direttrice è stata scelta quando dalle amebe primitive si è passati ad esseri più complessi, fino ad arrivare, attraverso una sempre maggiore specializzazione, agli uccelli ed ai mammiferi.

La specializzazione è stata scelta nel campo della sessualità, pertanto si è passati dagli organismi non sessuati ad altri ermafroditi e poi agli animali con chiare e nette differenze sessuali.

E’ stata scelta nell’ambito degli organi ed apparati: l’evoluzione ha abbandonato molto presto gli organismi più semplici, nei quali le stesse cellule potevano effettuare numerose funzioni, per migrare verso organismi più complessi, nei quali i vari tessuti e organi avevano dei compiti specifici. Successivamente, a mano a mano che l’organismo diventava più complesso, si rendevano necessarie ulteriori specializzazioni. Non più soltanto generiche cellule nervose, ma nuclei e aree di secondo e terzo livello di specializzazione: aree specifiche per la visione, per le attività motorie, per l’olfatto ecc.. Ed in seguito, se ciò non bastasse, all’interno di queste specifiche aree, altre sotto - unità si specializzavano per compiti ancora più particolari. Ad esempio, nell’area della visione si riconoscono gruppi di cellule con l’unico scopo di evidenziare chi il colore, chi le forme, chi la grandezza e la disposizione delle linee.

Lo stesso è avvenuto nell’ambito delle società: è stata scelta la specializzazione nei trasporti come nei mestieri. Nelle società più semplici ognuno faceva tutto. Non c’erano meccanici, come non c’erano gli addetti all’ecologia, i muratori, i tessitori, gli avvocati o i medici. Man mano che le società diventavano più complesse sono nati, come esigenza imprescindibile, mestieri specifici. Più è aumentata la complessità, più numerose e specifiche sono state le specializzazioni. Attualmente le industrie non chiedono dei generici operai, ma non chiedono neppure dei meccanici che già sono una specializzazione, ma cercano saldatori, fresatori, tubisti, addetti alla gestione informatica delle macchine e così via.

Questa tendenza la ritroviamo in tutti i campi. Nel campo medico: cardiologi, pediatri, neuropsichiatri, dermatologi, angiologi, podologi, ematologi ecc.. Nel campo della legge: avvocati civilisti, penalisti, matrimonialisti, avvocati del lavoro, commercialisti, amministrativisti, tributaristi, ecc.

Vi è pertanto una regola generale: maggiore è la complessità di un organismo, maggior grado di specializzazione si rende necessario. Ebbene, come abbiamo detto, le funzioni della coppia genitoriale sono estremamente complesse e delicate perché possano essere svolte senza una previa specializzazione e senza dei ruoli specifici.

La riprova della non convenienza a ricercare un unico ruolo ed un’unica identità sessuale si ha dall’osservazione storica degli avvenimenti.

RUOLO SEPARATO O RUOLO UNICO?

Come è risaputo la rivoluzione nel ruolo femminile, la parziale, ma sempre più desiderata e diffusa indipendenza della donna rispetto alle cure familiari e la sua entrata massiccia nel mondo della produzione e dei servizi iniziò con l’affermazione di alcuni principi:

Il principio di uguaglianza: uomini e donne sono uguali non solo come valore ma anche come natura. Le piccole differenze presenti nei comportamenti e nelle inclinazioni sono dovute all’educazione diversa ricevuta dai genitori. Per dimostrare il principio di uguaglianza veniva evidenziato il fatto che le donne alle quali era stata preclusa per secoli tutta una serie di mestieri e attività maschili, avevano dimostrato ben presto di essere bravi medici, ottimi avvocati, coraggiosi aviatori, bravi macchinisti delle ferrovie. Allo stesso modo gli uomini, ai quali era preclusa la cura e l’allevamento della prole, erano anche in grado di cucinare, cambiare i pannolini ed addormentare un bambino, mettere in moto la lavatrice, lavare i piatti e spingere una carrozzina per portare a spasso il pupo.

Il principio di parità e di giustizia: avendo pari qualità e dignità era giusto avere pari responsabilità e funzioni nella società, nel lavoro extrafamiliare e domestico, nelle relazioni sessuali ed affettive, nella gestione politica ed economica, come nell’ambito religioso ed ecclesiastico. La pari responsabilità nelle decisioni familiari significava che uomo e donna, marito e moglie avevano gli stessi diritti nel prendere ogni decisione nei riguardi dei figli, della famiglia e del lavoro. Quindi ogni decisione, dalla più piccola alla più importante, doveva essere posta al vaglio dell’uno e dell’altro e attuata solo se veniva accettata da entrambi. La parità nell’ambito sociale aveva come conseguenza che sia agli uomini che alle donne non venisse precluso alcun lavoro, in base al sesso. Donne soldato, aviatore, imbianchino, minatore andavano benissimo, come andavano benissimo uomini negli asili nido, nella scuola materna, o puericultori. Era altrettanto giusto che uomini e donne impiegassero pari tempo ed energie nella cura dei figli e dei familiari anziani. Bisognava allora che gli uomini si dedicassero ad occupare, per le attività domestiche e per la cura dei bambini e dei familiari, la stessa quantità di tempo impiegata dalle donne. Pur non potendo ancora l’uomo partorire era giusto che almeno soffrisse, insieme alla donna, partecipando ai dolori del travaglio e del parto. Se era concesso agli uomini essere “cacciatori” e fare delle proposte sentimentali e sessuali alle donne, altrettanto dovevano poter fare le donne nei confronti degli uomini. E così come gli uomini potevano usufruire di un vasto campionario di donne che vendevano il loro corpo, era giusto che anche gli uomini si decidessero a vendere le loro prestazioni sessuali ed il loro corpo alle donne che desideravano trascorrere qualche minuto in loro compagnia. Bisognava pertanto superare al più presto, tutte le discriminazioni in campo religioso, in quanto non era giusto che solo gli uomini potessero fare i preti, i vescovi, i cardinali ed i papi. Anche la carriera ecclesiastica doveva essere aperta alle donne, perché diventasse effettiva, per entrambi i sessi, la pari dignità.

Il principio di sussidiarietà: il rapporto tra uomini e donne doveva prevedere l’aiuto reciproco e l’interscambiabilità dei ruoli. In tal modo i figli, anche con la momentanea o prolungata assenza di un genitore, ne avrebbero avuto sempre un altro di riserva, capace di essere di volta in volta madre o padre, a seconda dei casi e delle necessità. Un genitore unico avrebbe potuto cullare il bambino, dargli la pappa, cambiargli il pannolino, mentre l’altro era fuori a dirigere il traffico, in missione, in un’altra città a tenere una lezione all’università, o in un altro Stato  a pilotare un aereo. In questo modo la responsabilità del mondo degli affetti e delle relazioni e quella del mondo dell’economia e dei servizi, sarebbe stata equamente divisa al 50% tra uomini e donne, tra padri e madri, tra mariti e mogli.

Il principio di libertà: il rapporto tra uomo e donna doveva essere improntato alla massima libertà reciproca. I divieti da parte dell’uno o dell’altra dovevano essere minimi. L’intesa fra questi due generi doveva fondarsi sul dialogo, sull’amore e sull’accettazione reciproca, non su imposizioni o vecchi dogmi.

Purtroppo le cose non avvengono solo perché noi le desideriamo e razionalmente le programmiamo, in quanto non sempre riusciamo a scorgere tutti gli elementi che influiscono sul problema che volevamo affrontare e risolvere. Quando trascuriamo, come abbiamo fatto in questi decenni, alcuni fattori importanti ed essenziali, ciò che otteniamo dai nostri comportamenti è molto diverso da quanto programmato, desiderato o auspicato.

Nelle società che hanno scelto la strada dell’impegno paritario d’entrambi i coniugi nel mondo affettivo e del lavoro, le cose non sono affatto avvenute come ci si aspettava.

Quando nei primi decenni del novecento iniziò la tendenza all’uguaglianza dei ruoli, iniziò anche una sfida, che per molti non è ancora conclusa, per contemperare sia da parte femminile che da parte maschile il mondo affettivo e di cura ed il mondo economico e dei servizi. Lo scopo che si voleva ottenere era quello di armonizzare, in modo tale che nessuno ne soffrisse, l’indipendenza della donna rispetto al ruolo tradizionale nel campo familiare ed affettivo e quello da poco assunto nel campo della produzione.

Nel momento in cui le donne madri iniziarono a lavorare lontano dalla casa, dalla famiglia, alle dipendenze di altri, per molte famiglie aumentò sin quasi a raddoppiare il reddito familiare e con esso si ebbe un miglioramento notevole del tenore di vita, del risparmio e degli investimenti. 

Questa soluzione sembrò quindi essere l’uovo di Colombo per ottenere insieme ad una maggiore realizzazione femminile, una maggiore ricchezza delle famiglie e della comunità. Perché avere un solo stipendio quando era possibile averne due? Perché non dare ai figli più benessere e più mezzi per il loro avvenire? Perché far godere solo una persona, l’uomo, dei benefici della cultura più avanzata: diploma, laurea, dottorato, master? Perché far godere sempre l’uomo della sicurezza ottenuta mediante l’indipendenza economica, e non anche la donna? Perché non liberare la donna dalla schiavitù dei fornelli e darle un posto più prestigioso nell’ambito culturale, sociale, economico e politico?

Naturalmente ci si accorse subito che questo travaso dell’impegno della donna all’esterno della famiglia non avveniva in modo indolore.

Chi avrebbe effettuato tutte le attività che erano state fino a quel momento appannaggio della donna come cucire, cucinare,  pulire la casa, curare i bambini, gli anziani, i malati?

La risposta non sembrava affatto difficile. Intanto era necessario ottenere una maggiore collaborazione da parte degli uomini e poi era sufficiente comprare, con il maggior reddito, gli strumenti e le macchine necessarie.

Per quanto riguarda il primo punto: la collaborazione degli uomini, non è stata un’impresa facile ottenerla  e ciò per vari motivi. Gli uomini educati ed abituati ad un certo ruolo e ad un certo stile di vita, difficilmente erano disposti a cambiarlo. Inoltre, date le caratteristiche maschili nella gestione delle proprie energie questi, dopo aver dato fondo a tutte le proprie risorse nel lavoro esterno alla famiglia, si aspettavano, al ritorno a casa, un meritato riposo e non sopportavano o accettavano altri lavori e altri impegni. Un secondo motivo nasceva dal dover sopportare più che accettare una realtà non condivisa. Alle donne in carriera il discorso fatto dai loro mariti era pressappoco questo: “Ti piace e ci tieni a lavorare anche all’esterno della famiglia per la tua realizzazione personale e per la tua indipendenza economica, pertanto arrangiati.” Questo atteggiamento naturalmente aveva come conseguenza la nascita o l’accentuazione dei contrasti nell’ambito della coppia.

Più facile fu ottenere la collaborazione della macchine idonee a diminuire il lavoro femminile all’interno delle case. Cucine a gas, frigorifero, lavatrice, lavastoviglie, aspirapolvere, forno a microonde ed altre furono, e sono tuttora, strumenti indispensabili nel momento in cui buona parte dell’attività lavorativa della donna si era spostata fuori dalle mura domestiche.

Tra l’altro l’utilizzo di queste macchine e le maggiori possibilità economiche, nell’ambito industriale, funzionarono da volano per innescare una serie di eventi positivi. Più acquisti, più produzione, più ricerca, minori costi, maggiori capacità di acquisto, più diffusione di oggetti e strumenti nell’ambito delle famiglie, maggior benessere economico. Il volano dell’economia cominciò a girare molto più velocemente rispetto al passato.

Accanto a questi effetti positivi furono subito notate le conseguenze negative sia di tipo economico, sia di tipo affettivo – relazionale. Dal punto di vista economico più aumentavano gli strumenti necessari per diminuire gli impegni e le fatiche della donna, più aumentavano per le famiglie le spese: per l’acquisto, per le riparazioni, per l’energia necessaria a far funzionare le macchine e per lo smaltimento dei rifiuti. Aumentarono anche i bisogni femminili e maschili, per ben presentarsi ogni giorno in società. Dovendo vivere tutto il giorno, gomito a gomito, con altre donne e con altri uomini e non sfigurare davanti ai loro occhi e nei loro apprezzamenti, aumentarono le spese personali per l’acquisto degli indumenti e per la cura del corpo. Aumentarono anche le spese per i trasporti. Non più un’automobile ma due, per spostarsi e andare e tornare dal lavoro. Aumentò anche, conseguentemente, sia l’inquinamento globale che lo stress. Stress causato dalla fretta, dal moltiplicarsi degli impegni. Stress dovuto al tempo sempre più lungo necessario per gli spostamenti da casa per e dal luogo di lavoro. Stress dovuto al difficile e spesso conflittuale rapporto con colleghi e superiori. Stress nel vivere con ritmi non confacenti ad un essere umano. Stress dovuto all’aumento della conflittualità tra uomo e donna. Giacché, a causa di tanto stress dentro e fuori casa, si avvertiva la necessità di maggiori gratificazioni e piaceri, aumentò anche la spesa per il soddisfacimento dei bisogni ludici ma anche per l’uso di psicofarmaci.

L’aumento delle spese portò come conseguenza un aumento dei bisogni economici. Da qui la necessità di lavorare di più sia per gli uomini che per le donne.

Per coprire i bisogni affettivi, relazionali, di assistenza e cure, lasciati scoperti dalle donne che andavano a lavorare fuori della famiglia, nacquero e si diffusero numerosi servizi. Questi, anche se inizialmente erano molto scarsi, nel giro di pochi anni aumentarono di numero in modo considerevole. Numero però mai sufficiente a coprire i bisogni sempre crescenti. Furono istituite le case di riposo per gli anziani, gli asili nido comunali, regionali e privati per i bambini piccoli, e poi le scuole materne, gli asili aziendali, il tempo prolungato ed il tempo pieno nelle scuole, i centri per i disabili.

Furono necessari gli scuolabus per prelevare ed accompagnare i minori a scuola e viceversa, per riaccompagnarli a casa. Il servizio da parte delle baby-sitter, i servizi di custodia nelle scuole per i bambini i cui genitori erano costretti dagli orari di lavoro a lasciarli anzitempo e prenderli dopo l’orario scolastico. Aumentò il servizio gratuito di custodia dei bambini da parte dei nonni, o di qualche zia compiacente. Furono istituite poi le mense aziendali ed i buoni pasto, in modo tale da evitare di ritornare a casa nella pausa pranzo. E ancora fu necessario l’aiuto degli insegnanti di doposcuola per fare effettuare i compiti ai figli.

Naturalmente, buona parte di questi servizi aggiuntivi, aveva un costo che gravava o sulle singole famiglie o sulla comunità nel suo complesso.

Attualmente, mentre è in continuo costante aumento dentro le mura domestiche l’uso di macchine sempre più sofisticate e di servizi rivolti alla normale gestione della casa e della famiglia, è in notevole espansione anche la richiesta di personale specializzato con funzioni di tipo pedagogico, psicologico e psichiatrico. Personale necessario a coprire i bisogni per le piccole e gravi disfunzioni dovute all’incremento delle patologie psichiche dei minori, delle coppie e delle famiglie.

Se gli adulti vengono seguiti dagli psichiatri e dagli psicologi, molti bambini con problemi sono seguiti o curati da pedagogisti, psicologi e neuropsichiatri infantili. Questo personale specialistico viene attivato, sia per risolvere problemi già esistenti, sia per coprire le carenze affettive presenti nelle famiglie.  Questo costosissimo personale a volte ha la funzione soltanto di orecchie o di cuori, disposti ad ascoltare, finalmente, pensieri ed emozioni.

Per gli adolescenti con problemi di tossicodipendenza vengono attivati i Sert  e le comunità terapeutiche. Per le giovani anoressiche e gli alcoolisti le cliniche specializzate o i gruppi di auto aiuto. Per le coppie in difficoltà i consultori familiari e i consulenti e terapisti della coppia e della famiglia.

Se non bastasse, negli ultimi decenni molte famiglie benestanti si stanno organizzando con camerieri tutto fare per coprire le residue esigenze della cura della casa (pulizia della casa, preparazione degli alimenti),  mentre le esigenze affettive e di compagnia degli anziani anche se perfettamente autosufficienti vengono affidate alle badanti. 

Si possono allora distinguere tre fasi: una prima fase nella quale era necessario coprire solo alcune esigenze di tipo materiale; una seconda fase nella quale era necessario coprire anche le esigenze psicologiche, di assistenza e cura; una terza fase, quella attuale, nella quale è necessario coprire le esigenze patologiche in notevole aumento riguardanti la coppia, i bambini, gli adolescenti, i giovani, le persone mature e gli anziani.

A questo punto è chiaro che ci si trova inseriti senza volerlo, e credo senza averne una chiara cognizione, in un circolo vizioso: il trascurare il mondo degli affetti, se da una parte fa aumentare il reddito pro capite, dall’altra fa crescere la necessità di strumenti e servizi sostitutivi ma, e questo è il fattore che dovrebbe più allarmare il mondo della politica, dell’economia e dei servizi: con l’aumento delle situazioni di disagio e di malattia è necessario l’intervento di personale specializzato e l’attivazione di servizi e strutture che fanno lievitare i costi, sia per lo Stato  sia per le famiglie. Gli economisti come L. Bruni dell’università di Milano hanno, infatti, evidenziato che: “La crescente indigenza delle famiglie è anche conseguenza di una crescente carestia di rapporti di gratuità, dello sfilacciamento delle reti familiari e comunitarie. – Per crescere un bambino ci vuole l’intero villaggio -, recita un saggio proverbio africano. Ma quando il villaggio non c’è più per crescere il bambino (o per assistere l’anziano) c’è bisogno del mercato: baby-sitter, badanti, asilo nido, servizi di cura, eccetera, che prendono il posto dei rapporti mancanti. Il valore economico del “capitale relazionale” è enorme, ce ne accorgiamo quando viene meno e dobbiamo ricorrere al mercato.” 

Per comprendere meglio quanto detto mi permetto di riferirvi il caso di una famiglia da noi seguita qualche anno fa.

Questa famiglia era composta da due genitori e tre figli. La mamma, una professionista, alla domanda di come si svolgesse la loro vita familiare mi riferì che, fin dall’inizio del matrimonio, si era dedicata preferibilmente alla sua professione per un motivo molto semplice e facilmente comprensibile: “Io sono una professionista, una mia ora vale 50 euro; se io assumo una colf per la pulizia della casa spendo 8 euro l’ora, guadagnando così 42 euro. Se faccio lo stesso con la cuoca, che prepara il pranzo per me e per i miei figli e che pago 10 euro, ne guadagno 40. Se a questi aggiungo una brava insegnante per aiutare i bambini nei compiti, che mi costa 15 euro, ne guadagno altri trentacinque.

Questa professionista si lamentava di avere dei gravi conflitti con il marito (tanto che fu poi costretta a dividersi da questi) e di avere, nonostante tutti i suoi sacrifici, tutti e tre figli con problematiche psicologiche più o meno gravi.

Ma questo non è tutto. Dopo alcuni anni, stranamente, nonostante tutti questi suoi “guadagni” che si aggiungevano a quelli del marito, si era accorta di non riuscire a sbarcare il lunario, perché il numero di persone e delle terapie e quindi di spese che doveva sostenere per affrontare la difficile situazione che si era venuta a creare nel tempo, aumentavano ogni giorno di più e lei era costretta a lavorare anche nei fine settimana per cercare di rimediare i soldi necessari.

La madre di cui sopra, nei suoi calcoli corretti ma incompleti, non aveva valutato il fatto che nel trascurare il mondo degli affetti si producono dei danni notevoli ai singoli, alla coppia e alla funzionalità della famiglia nel suo complesso, danni che hanno spesso delle ricadute economiche non indifferenti.

Nonostante quello che abbiamo riferito sia un caso limite, l’esperienza di questi anni maturata nella cura dei bambini in difficoltà, ci conferma ogni giorno di più che il sottovalutare da parte dei singoli e della società il mondo delle emozioni e dei sentimenti, produce dei notevoli guasti che si evidenziano sul piano del benessere individuale, sulle famiglie, sulle coppie, come sui rapporti sociali. Questo malessere ha dei risvolti economici non indifferenti.

Infatti, per ogni bambino, giovane o adulto con problematiche psicologiche di una certa rilevanza, a carico della famiglia e/o della società, sono da mettere in conto:

•    costi per visite, esami ed interventi specialistici che coinvolgono spesso numerosi centri ed operatori. Frequentemente per un problema psichico vengono interessati oltre al medico di base, almeno tre specialisti e due – tre strutture ospedaliere, con conseguenti numerosi esami che, negli ultimi anni, sono diventati sempre più costosi: test mentali e di personalità, EEG, TAC, REM, esami cromosomici ecc.. Questi esami clinici spesso vengono considerati di routine in molti centri;

•    costi per effettuare interventi educativi e riabilitativi presso centri e strutture specializzate. Queste terapie spesso si protraggono per diversi anni;

•    costi, nell’ambito scolastico, per attuare un insegnamento individualizzato con l’aiuto degli insegnanti di sostegno. Anche queste spese devono essere sostenute per diversi anni;

•    costi per il trasporto in queste strutture;

•    costi per comprare o utilizzare materiale didattico speciale;

•    costi, nei casi più gravi, per l’assistenza scolastica, mediante l’ausilio di personale specializzato;

•    costi per gli interventi psicoterapici individuali, di coppia e familiari anch’essi della durata di diversi anni;

•    poiché per le visite, i ricoveri, i controlli e gli interventi riabilitativi e terapeutici, sono coinvolti necessariamente i genitori o altri parenti, bisogna anche considerare i costi consequenziali al loro impegno;

•    costi per l’assistenza ospedaliera  o domiciliare;

•    costi di tipo assistenziale e pensionistico quando il recupero non ha dato buoni frutti;

•    a tutte queste spese bisogna aggiungere quelle indirette legate all’influenza negativa che i soggetti con problematiche psicologiche provocano nei confronti delle famiglie e dei soggetti normali ed i mancati guadagni dovuti ad una parziale, scarsa, o nulla attività lavorativa dei soggetti interessati da patologie psichiatriche. Infatti, purtroppo, frequentemente, tutti gli interventi su esposti non permettono un recupero totale e spesso neanche parziale delle capacità lavorative del soggetto;

•    se poi, come spesso accade, quando si trascura o si sottovaluta l’importanza del mondo affettivo, anche il rapporto tra i coniugi va a rotoli, a queste spese bisogna aggiungere quelle per portare avanti le cause di separazione e di divorzio e quelle per mantenere un’altra casa con tutti i costi dei servizi che risultano praticamente raddoppiati;

•    per non parlare di quanto lo Stato  è costretto a spendere quando vengono posti in essere comportamenti delinquenziali per i quali sono necessari tribunali, carceri, centri di recupero e così via. 

La carenza dell’impegno verso il mondo affettivo.

Cosa ci conferma che vi è una carenza nell’impegno verso il mondo affettivo e della relazione?

Sono molti i segnali che ci indicano uno scarso impegno nei confronti del mondo affettivo-relazionale.

•    La diminuzione del tempo trascorso in casa da parte dei genitori.

•    La diminuzione del tempo trascorso con i figli.

•    Un aumento nell’uso della TV e dei video giochi.

•    L’aumento nell’utilizzazione delle baby-sitter.

•    L’aumento nel coinvolgimento dei nonni, degli altri parenti e dell’asilo nido per la cura e la custodia dei minori.

•    L’aumento dell’uso di cibi surgelati; precotti, cibi pronti da asporto già cotti.

•    L’aumento delle occasioni nelle quali la famiglia o i vari componenti consumano i pasti fuori casa.

•    L’aumento nell’utilizzazione di insegnanti esterni per seguire i figli nei compiti.

•    L’aumento nell’uso di badanti per gli anziani.

•    La diminuzione dell’assistenza familiare ai soggetti malati o infortunati;

•    L’uso eccessivo ed improprio dei servizi sanitari, anche per situazioni facilmente gestibili in famiglia.

•    Lo scarso o patologico legame che si stabilisce con i figli.

•    Gli scarsi momenti di dialogo e cura nei confronti dei vari componenti la rete affettiva e familiare.

•    Un aumento del tempo trascorso lontano dai genitori, da parte dei figli.

L’aumento del malessere psicoaffettivo e relazionale.

Altrettanto numerosi sono i segnali che indicano un aumento del malessere psicoaffettivo e relazionale.

•    La rete familiare diventa sempre più piccola, povera, sfilacciata, incapace di accoglienza ed aiuto.

•    La vita di coppia è sempre meno gratificante, sempre più conflittuale, tanto che molti uomini ed un gran numero di donne preferiscono rimanere soli che sposarsi o convivere.

•    Si assiste ad una diminuzione nel numero dei matrimoni.

•    Aumenta l’età media degli sposi.

•    Vi è un netto aumento delle violenze nell’ambito familiare.

•    Aumentano i figli nati al di fuori del matrimonio.

•    Aumentano i casi di separazione e di divorzio.

•    Diminuisce il desiderio di maternità e paternità.

•    La vita sessuale nella coppia diventa sempre più povera e insoddisfacente.

•    Aumentano i casi di infedeltà prematrimoniale e matrimoniale.

•    Vi è una maggior presenza di legami affettivi precari, superficiali senza un progetto ricco, ampio e proiettato nel futuro.

•    Vi è un aumento dei disturbi psichici anche gravi sia in età infantile sia durante l’adolescenza o la giovinezza.

•    Vi è un aumento dei fenomeni devianti  ed una diffusione massiccia dei disvalori come il sesso, il denaro ed il potere.

•    Vi è un aumento nell’uso di psicofarmaci, alcool e droghe.

Il rapporto uomo - donna.

Per quanto riguarda il rapporto uomo – donna ci si aspettava certo una certa resistenza maschile nel momento in cui venivano avanzate delle richieste di parità. Era prevedibile che il rinegoziare ogni aspetto della vita di coppia e familiare avrebbe comportato, specialmente nei confronti della prima generazione maschile e nella fase di adattamento, un aumento della conflittualità, ma credo che non ci si aspettasse affatto quanto poi è avvenuto. Anche perché le premesse sembravano molto promettenti.

Intanto l’accettazione dei diritti femminili sembrò non incontrare se non una marginale resistenza sul piano politico ed istituzionale. Anzi, moltissimi uomini, nell’ambito della politica, del sindacato, come della Chiesa accolsero, facendoli propri, i proclami di liberazione femminile, alla stessa stregua degli altri proclami libertari, impegnandosi ad attuarli mediante tutta una serie di leggi che sancivano buona parte delle richieste.

 Anche nell’ambito culturale la maggioranza degli studiosi fece propri questi nuovi principi nella relazione tra i sessi. Questi studiosi di varie discipline psicologiche, politiche e sociali diventarono essi stessi paladini del nuovo corso egualitario che si voleva instaurare. I pochi che osarono dubitare della bontà di questi principi, vennero bollati come antiquati retrogradi maschilisti, legati ancora ad un superato mondo arcaico contadino.

Nell’ambito religioso, anche se la dottrina della Chiesa cattolica sull’ordinazione dei vescovi e sacerdoti continuava ad escludere le donne, tuttavia, pur di dimostrare di accettare e far propri i princìpi egualitari, venivano spiegate e piegate a questi principi le indicazioni sui ruoli maschili e femminili nell’ambito della famiglia contenute nel Vecchio, come nel Nuovo Testamento, nelle Lettere degli Apostoli, come nei Padri della Chiesa. Tutte le espressioni che davano al marito il ruolo di capo famiglia, venivano spiegate come concetti nati in una società ed in un’epoca ad impronta maschilista e quindi non più attuali.

Nonostante queste premesse sembrassero le migliori per favorire una nuova intesa tra uomini e donne, tuttavia, come un fiume che scorre in profondità e si allarga formando immensi tunnel sotterranei e buie caverne che poi, improvvisamente, crollano con tutto quello che la natura e gli uomini vi hanno costruito sopra, qualcosa non è andato per il verso giusto. Ed i motivi sono numerosi.

“Innanzi tutto se noi siamo uguali, se tra noi non vi devono essere differenze, perché solo l’uomo deve fare gli approcci sessuali e sentimentali e la donna deve fare la difficile e rifiutare o accuratamente scegliere? Perché questa possibilità e libertà di esprimere i propri desideri, impulsi e bisogni non deve essere offerta anche alle donne?” Che poi questo si traduca in una accentuazione massiccia del tradimento, sia prima, sia dopo il matrimonio, e quindi in una notevole sofferenza per entrambi i sessi, per la famiglia, per la società, è solo una trascurabile conseguenza del diritto alla parità tra i sessi.

“Se noi siamo uguali, e se tra noi non vi devono essere differenze, perché non vestire allo stesso modo? Perché non avere entrambi lo stesso linguaggio? Perché non frequentare gli stessi luoghi? Perché non avere gli stessi stili di comportamento nel muoversi e nel gestire?” Peccato però che ai maschi, donne e ragazze che vestono come loro, parlano come loro, dicono parolacce come loro, interessino poco o nulla. E se vi è un qualche interesse questo nasce solo da motivi ludici o sessuali. Ma anche le donne, nonostante siano per loro natura più disponibili degli uomini ad accettare le mode del momento, non dimostrano molto entusiasmo verso gli uomini con caratteristiche femminili.

“Se entrambi, uomini e donne siamo esseri umani liberi, chi o che cosa può imporre costumi ed atteggiamenti castigati? Chi o che cosa può indicare che vi è un limite alla decenza nel modo di vestire, di parlare o di comportarsi?” Peccato però che questi atteggiamenti poco decorosi, agli occhi dei maschi appaiano spesso come una sfrontata disponibilità sessuale, pertanto il tipo di approccio verso queste ragazze o donne, ha quasi esclusivamente un’impronta di libero e spensierato gioco sessuale, con dolorose ricadute in chi sperava in qualcos’altro.

“Se noi siamo uguali, se abbiamo gli stessi diritti di scelta, se siamo liberi e maggiorenni, chi o che cosa potrà decidere del luogo dove andare a lavorare, dove trascorrere le vacanze, le persone da incontrare, le attività da intraprendere? Nessuno, certamente.” Peccato che questo smembri le famiglie e renda estremamente difficili l’educazione dei figli e la fedeltà sia dell’uomo che della donna.

“Se noi siamo uguali, se tra noi non vi devono essere differenze, se abbiamo gli stessi ruoli, chi o che cosa potrà essere o valere come discriminante per decidere delle scelte, su che cosa fare e non fare? Chi deve fare un certo tipo di lavoro piuttosto che un altro? E soprattutto come deve essere fatto un certo tipo di lavoro?”

Nelle attività industriali, commerciali o dei servizi ma anche nelle comuni esperienze di convivenza in una stessa casa, è noto ciò che succede quando non vi sono compiti chiaramente definiti.

In un corso nell’ambito di un progetto di prevenzione del disagio psicologico tenuto qualche anno fa nella nostra città per studenti fuori sede, avevamo ipotizzato come possibili problemi per questi universitari, la lontananza dal paese natio, la nostalgia per i genitori, le difficoltà ad integrarsi in un nuovo ambiente, in una nuova città. Pertanto avevamo impostato gli incontri su queste tematiche. Ci accorgemmo subito che non avevamo centrato gli obiettivi del corso. Buona parte dei problemi riportati dai giovani, non erano legati alla nostalgia della casa natia e dei genitori, né erano dovuti alla perdita delle amicizie dell’infanzia o alle difficoltà di mettere radici in una grande città. Buona parte dei problemi nascevano, invece, dalla difficile convivenza di più giovani nella stessa casa. Convivenza tra persone che, almeno in teoria, non avrebbero dovuto avere di questi problemi, in quanto dello stesso sesso, con gli stessi interessi, senza particolari legami e doveri se non quelli di studiare e divertirsi. Il problema principale, portato da questi universitari nelle discussioni di gruppo, era la divisione dei compiti. In parole povere: chi, quando e come doveva lavare la cucina, il corridoio ed il bagno, costituiva il tema principale dei contrasti e delle acerrime discussioni tra i giovani e soprattutto tra le giovani studentesse. Nonostante alcuni di loro, dividendo tutti i compiti in modo equilibrato, avessero definito prima, almeno in teoria in modo perfettamente equanime, cosa bisognasse fare, come bisognasse farlo e soprattutto chi dovesse eseguirlo, nascevano lo stesso discussioni infinite. Perché “C’è sempre qualcuno che vuol fare il furbo e quando è il suo turno o non fa quello che dovrebbe o lo fa male, o non così bene come dovrebbe.”

La realtà che dovremmo riuscire ad accettare è che ognuno di noi, soprattutto se di genere diverso, ha un suo modo di vedere le cose, un suo modo per affrontarle, un suo modo per risolverle.

I conflitti sono molto meno intensi e la gratificazione è molto maggiore quando ad una persona viene affidato un compito specifico, quando quel compito per il quale è stata a lungo preparata, ha la possibilità di svolgerlo bene, e quando per quel compito questa persona viene ampiamente gratificata da parte di chi usufruisce del suo servizio.

Al contrario, se siamo in due a dover svolgere un compito è difficile, se non impossibile, dividerlo equamente, pertanto è facile che nasca dell’attrito per quello che l’altro non fa o non fa bene. Se siamo in due a dover eseguire un compito la gratificazione ottenuta è molto inferiore, non solo perché il piacere provato bisogna dividerlo in due, ma anche perché non lo sentiamo pienamente nostro. E tutte le cose non avvertite come nostre danno scarso piacere e scarsa soddisfazione. Aumentano i contrasti, aumentano i musi lunghi, aumenta l’insoddisfazione personale. Diminuisce la gioia ed il piacere nell’eseguire quel compito, diminuisce il senso del dovere e di responsabilità.

Quest’ultimo è forse l’evento più grave.

Se un determinato compito è affidato solo o prevalentemente ad una sola persona che ne è anche responsabile, questa si prepara ad assolverlo al meglio, si impegna al massimo per eseguirlo bene in quanto, sia in caso di fallimento che di riuscita, a questa persona soltanto saranno riconosciuti i meriti o imputati i demeriti. Se si è in due o più di due, vi è sempre la possibilità di scaricare sull’altro o sugli altri i demeriti e di prendere su di sé i meriti.

Questo è ciò che in realtà è successo nelle esperienze di condivisione dei compiti e dei ruoli.

La responsabilità e l’autorità condivisa su tutti gli aspetti educativi e formativi, data ai due genitori, si è ulteriormente ampliata ai nonni, agli insegnanti e agli operatori dei servizi. Quando qualcosa non va per il verso giusto, e sono sempre più numerose le occasioni nelle quali le cose non procedono bene, vi è o la negazione del problema: “Mio figlio non ha alcun disturbo, sta meglio di me e di lei; è solo capriccioso” o la responsabilità, per istintiva difesa personale, viene inevitabilmente scaricata sugli altri. “Sono stati i suoi compagni che lo hanno traviato.” “E’ colpa di suo padre sempre assente.” “E’ stata sua madre permissiva che lo ha rovinato.” “Sono gli insegnanti incapaci e impreparati che non lo hanno capito.” “E’ colpa della psicologa alla quale lo avevamo affidato che non ha saputo fare il suo lavoro.”

Il rifiuto di ogni responsabilità sull’educazione dei figli, porta sempre più genitori a denunciare o picchiare gli insegnanti per essersi permessi di bocciare o rimproverare il loro figlio ignorante o maleducato. Nella nostra quotidiana attività professionale di neuropsichiatria infantile abbiamo potuto notare che, per alcuni genitori, è già offensivo aver loro semplicemente comunicato che il figlio ha dei problemi psicologici che bisognerebbe affrontare.

LA PROPOSTA DEL 50%

Perché è così difficile impegnarsi in modo equanime nel mondo affettivo ed economico affinché nessuno ne soffra?

Molti per la verità, soprattutto nell’ambito religioso, non avrebbero assolutamente voluto che il mondo della produzione fosse privilegiato rispetto a quello degli affetti, in quanto prevedevano le conseguenze nefaste sulla coppia, sulla famiglia e sull’educazione della prole. Pertanto, proponevano che l’uomo e la donna si dividessero equamente questi due fondamentali impegni.

Era ed è ancora per molti psicologi, sociologi, educatori e uomini di chiesa, “la proposta del 50%”.

In pratica, per attuare questa proposta, il marito e la moglie, l’uomo e la donna, dovrebbero impegnare il proprio tempo e le proprie energie dividendole equamente tra casa e lavoro; tra mondo dell’affettività e mondo della produzione e dei servizi.

In questo modo nessuna delle due realtà ne soffrirebbe. Uomini e donne avrebbero la stessa gratificazione. Entrambi i sessi avrebbero doppie capacità e doppie competenze.

Tutto ciò, purtroppo, non è avvenuto.

In realtà è avvenuto ben altro. E’ avvenuto quello che alcuni prevedevano.

Nonostante gli uomini portino a spasso i propri figli nella carrozzina o lavino i piatti, non si sono mai veramente coinvolti, né si sono impegnati, se non raramente, ad utilizzare metà del proprio tempo, della propria preparazione e delle proprie energie a favore del mondo degli affetti. Ma, quel che è peggio, la donna, nonostante l’intenso e connaturato istinto materno, dapprima gradualmente e ora, negli ultimi anni, precipitosamente, ha quasi del tutto abbandonato il mondo degli affetti per riversare  le proprie energie ed il proprio tempo sul mondo dei servizi e della produzione. E anche quando si occupa della famiglia e dei figli lo fa con lo stile e con i valori imposti dal mondo economico e non con quelli caratteristici del mondo affettivo, per cui risulta spesso inadatta a questo ruolo.

Come mai i conti non tornano? Come mai se due persone fanno un lavoro diverso il mondo affettivo non ne risente ed invece, se entrambi i coniugi si impegnano nei due mondi e quindi cercano di contemperare le esigenze del lavoro con quelle familiari, il mondo degli affetti risulta deprivato, se non del tutto abbandonato?

Il problema nasce dal fatto che solo un numero esiguo di persone: uomini e donne che siano, anche quando se lo propongono, riescono a mantenere un equilibrio anche solo vicino al 50%.

Per quanto riguarda le donne, una parte di loro, una minoranza, dopo le prime esperienze o dopo la nascita del primo figlio, ritorna ad una divisione dei ruoli. In genere la donna ritorna ad un ruolo prevalente nell’ambito familiare ed affettivo e l’uomo ad un ruolo prevalente nel campo del lavoro e degli impegni sociali.

Delle donne che optano per la famiglia solo una parte, però, lo fa convinta di avere fatto la scelta migliore, per le altre si tratta di un necessario ripiego imposto dalle circostanze. Per il resto delle donne la prevalenza dell’impegno, anche se non sempre del tempo dedicato, è a favore del mondo economico.

Ma perché avviene ciò? Che cosa spinge un gruppo così numeroso di uomini e donne ad impegnare buona parte delle proprie energie, del proprio tempo, della preparazione e della loro passione a favore del mondo economico e dei servizi?

Le cause.

Le cause dell’abbandono o della diminuzione dell’impegno affettivo-relazionale sono numerose.

Per accettare e fare accettare incondizionatamente l’impegno sociale e lavorativo delle donne e per contrastare quelle persone ed istituzioni che presagivano il danno e pertanto erano contrarie a questo cambiamento di ruolo, sono state suggerite e presentate una serie di motivazioni che hanno trovato accoglienza nelle società occidentali sia in ambito sociologico, che politico e religioso.

Si è cominciato con il valorizzare il duplice impegno femminile come necessità improrogabile per alcune famiglie più bisognose: “Quella donna ha necessità di lavorare: perché il marito è disoccupato; perché la sua famiglia manca dei mezzi indispensabili di sussistenza; perché i figli e loro stessi morirebbero di fame; perché hanno troppe bocche da sfamare.”

Successivamente si è detto che erano delle eroine e delle stacanoviste le donne che lavoravano dentro e fuori casa in quanto, per amore della famiglia e dei figli, si sobbarcavano un doppio, anzi triplo servizio: come donne lavoratrici, come madri e come mogli.

Non era da meno il mondo a regime comunista che si proponeva di dare dignità e libertà alla donna solo se questa si fosse impegnata non solo nei lavori domestici ma anche in tutte le attività extrafamiliari. In questo modo la donna, offrendo incondizionatamente le sue braccia e la sua mente entro e fuori della famiglia, avrebbe dato il suo apporto prezioso alla costruzione dello Stato  comunista. Basta andare a Mosca per notare come nelle foto, nei dipinti, nelle statue e nelle manifestazioni del regime non mancava mai l’esaltazione della donna contadina, operaia, capotreno, ma anche  ingegnere, aviatrice, astronauta ecc..

Il tema della liberazione veniva evidenziato anche nel mondo capitalista; questo, avendo bisogno di molta manodopera a basso prezzo, per decenni ha ripetuto il falso ritornello per il quale “la donna era stata per millenni schiava dell’uomo tiranno. Schiava legata ai fornelli, alle pappine e alle cacche dei bambini. La nuova e moderna società aveva il dovere di ridarle, con il lavoro all’esterno della famiglia, completa libertà, nuovo valore e nuova dignità”.

Negli anni sessanta e settanta poi, la ribellione verso tutte le autorità, compresa quella paterna con la consequenziale liberazione da questa, presentava il popolo dei padri come un popolo di padri padroni. Un popolo di autoritari tiranni, pronti a limitare, proibire, castigare e punire mogli e figli se disubbidivano o se osavano ribellarsi al loro dominio. Padri per altro descritti come affettivamente lontani, deputati solo al sostentamento economico e alla somministrazione delle punizioni.

Per giustificare la diminuzione del tempo trascorso con il marito ed i figli veniva proclamato lo slogan secondo cui: “Non è importante la quantità di tempo messo a disposizione della famiglia e dei figli, quanto la qualità”.

A questi slogan se ne aggiungevano molti altri come quello che recita: “La donna può dare un contributo importantissimo ed essenziale di sensibilità ed umanità alla vita sociale e politica del paese se verrà inserita nelle varie attività e servizi ed in tutti i contesti politici ed istituzionali”.

Come conseguenza di ciò venivano propugnati comitati, assessorati, ministeri “per le pari opportunità”, in tutte le istituzioni con l’obiettivo di ottenere almeno la metà di presenze femminili nei vari impieghi ed in ogni posto di potere,  non importava se fosse di tipo politico, industriale, dei servizi.

Che siano solo degli slogan non è difficile dimostrarlo. Intanto è risaputo che l’educazione dei minori ha bisogno di una disponibilità molto elevata, sia in qualità che in quantità, com’è risaputo che l’energia che la natura ci ha messo a disposizione e che possiamo spendere per le varie attività ed impegni lavorativi, non la possiamo aumentare se non per un breve periodo. Si tratta allora di ben distribuire questa energia. Si può concentrarla in poche ore o diluirla in molte ore. Oppure si può canalizzarla tutta per un solo impegno o dividerla in due o dieci impegni. Alla fine la quantità di energia impiegata è sempre la stessa. Se per un breve periodo forziamo le nostre potenzialità potremmo aumentare la quantità dei risultati ma a scapito della qualità.

Per quanto riguarda poi la presunta schiavitù della donna, è possibile definire schiava una persona alla quale viene dato il compito più importante per il genere umano, che è quello di dar vita e poi curare, aiutare a crescere e maturare altre donne e altri uomini?

Agli schiavi si danno i lavori più umili, non gli impegni al più alto livello di prestigio.

E’ possibile definire schiava una madre e contemporaneamente darle onori e glorie come a una dea? Eppure in molte religioni una delle divinità più importanti era la dea madre.

E’ possibile che “l’uomo schiavista” prenda per sé gli aspetti più pesanti e rischiosi del genere umano lasciando alle schiave i lavori meno pesanti e pericolosi?

Vi è mai stato un tiranno che abbia sacrificato la sua vita per un suo schiavo? Eppure non si contano gli uomini che hanno sacrificato la loro vita per salvare le loro donne.

E’ possibile che una schiava allevi dei figli maschi in modo tale che da adulti diventino a loro volta aguzzini delle donne?

E’ possibile che metà del genere umano abbia mantenuto in schiavitù l’altra metà dell’umanità per milioni di anni senza che vi sia stata mai una ribellione, se non negli ultimi decenni?

Senza dimenticare, tra l’altro, che a questa “ribellione” hanno partecipato e partecipano, sostenendola con foga, moltissimi uomini. La qual cosa dovrebbe per lo meno destare qualche sospetto!

 

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