Gli educatori primari: i genitori

Gli educatori primari: i genitori

 

 

Dice Smeriglio: “L’osservazione clinica, l’indagine psicopedagogica e le più avanzate ricerche e teorizzazioni dell’attuale psichiatria ci portano quindi inevitabilmente ad affermare che lo sviluppo di ogni essere umano si plasma sostanzialmente attraverso il rapporto con gli altri.”[1] 

Ma chi sono questi altri?

Non sicuramente gli animali i quali non sono in grado di provvedere alle esigenze d’un cucciolo d’uomo, in quanto i bisogni di quest’ultimo sono non solo notevolmente più complessi, ma essenzialmente diversi. Tanto meno sono in grado di compiere la funzione educante degli strumenti, come la TV o il computer o gli altri mass - media. Questi, anche se sono portatori di pensieri esperienze e pensieri umani, non sono in grado di modellarli continuamente sui bisogni e sullo sviluppo di un bambino, né hanno la capacità di instaurare con lui un rapporto relazionale, affettivo o di semplice vero dialogo, indispensabile per la crescita di un essere umano. Per G. Campanini: “La società digitalica può forse assicurare la formazione della ragione, non la crescita e la maturazione dei sentimenti.”[2]  A nostro avviso, come vedremo in seguito parlando dei mass – media, in realtà non riesce a fare né l’una cosa né l’altra.

 

Chi sono gli educatori di un bambino?

Ogni essere umano dovrebbe essere considerato e si dovrebbe considerare educatore.

Qualunque sia la sua età, la sua cultura, la condizione sociale e professionale, ognuno di noi, nei confronti dei nostri simili può dare, con le proprie parole e gli atteggiamenti, dei risvolti educativi di crescita personale e sociale, oppure, al contrario, può essere portatore di messaggi, indicazioni e indirizzi fuorvianti o diseducativi.

Gli educatori primari di un bambino sono i suoi genitori. Vengono poi in ordine di importanza i nonni, gli zii, i fratelli maggiori e quindi gli insegnanti e i leader dei gruppi organizzati. Fondamentali sono però anche tutte le persone impegnate nel campo della comunicazione.

Pertanto, in definitiva, gli educatori sono tutti gli adulti che si trovano in una condizione tale da poter dare un messaggio o lasciare un’impronta educativa nella realtà in cui operano: quindi lo sono anche i politici, i giornalisti, i responsabili dei mass - media, gli industriali, gli attori, i registi, gli uomini di cultura in genere, gli scrittori.    

Nessuno può, infatti, sfuggire dal chiedere a se stesso: “Che cosa io sto dando agli altri perché diventino più maturi, responsabili, sereni? Che cosa io sto negando agli altri per cui, anche se in minima parte, sto contribuendo ad alimentare ansie, tensioni, paure, disagio, comportamenti asociali? Come e perché sto influenzando in maniera negativa altri adulti, e soprattutto altri minori, facendo violenza sul loro animo o, peggio, facendo opera di corruzione nelle loro menti e nei loro cuori ?”

GLI EDUCATORI PRIMARI: I GENITORI

 

Le prime e fondamentali realtà educative sono rappresentate sicuramente dai genitori.

Questi, infatti, sono chiamati gli educatori primari, proprio perché non solo sono i primi ad accostarsi al bambino ed ad avere con lui un rapporto dialogico, ma soprattutto perché hanno, nella formazione di una nuova personalità umana il compito fondamentale. E’, il loro, il ruolo più importante e quindi anche il più gravoso e più delicato, ma è anche il più splendido.

Quali i motivi?

Innanzi tutto sono le persone che hanno desiderato quel bambino. Lo hanno amato fin da quando è stato loro consegnato tra le braccia; ma anche prima, prima di stringerlo tra le braccia, lo hanno sognato, fantasticato. Lo hanno cullato e accarezzato, già durante i giochi della loro infanzia, nelle fantasie e nei lunghi discorsi della loro adolescenza. Nella giovinezza lo hanno amato e desiderato ancor prima che si facesse realtà corporea da abbracciare.

I genitori sono quelli che danno, mediante se stessi ed il loro amore, un corpo e un cuore, una mente e dei pensieri, strumenti intellettivi e valori umani e spirituali al proprio piccolo. Con i loro geni gli forniscono il progetto per uno sviluppo umano, con le loro parole ed i loro comportamenti danno concretezza a questo progetto.  Tutti questi elementi contribuiscono a creare un legame inscindibile ed unico.

I genitori sono quelli che aspirano a prolungare la loro esistenza attraverso i figli. Insieme a questi cercano di realizzare elementi incompiuti della loro vita.

Solo attraverso i figli, infatti, possono immaginare e fantasticare l’attuazione di alcuni loro sogni, dei desideri e delle aspirazioni più profonde.

Attraverso di loro si realizzano come uomo e donna, come padre e madre. Con loro si snoda anche buona parte della loro realizzazione sociale: un bambino è qualcosa da far conoscere agli altri, da vivere insieme con gli altri, da far integrare con gli altri.

 I genitori sono quelli che riescono ad instaurare con il loro bambino, fin dal primo abbraccio, il più grande e profondo rapporto comunicativo, affettivo e d’amore.

Sono loro che trasmettono i primi elementi formativi che lo guideranno nella vita.

I genitori, infine, soprattutto per i bambini ancora piccoli, rappresentano, il loro unico, intero mondo; sono fonte di sistematica e sicura attenzione, affetto, sicurezza, calore, tenerezza, esempio. La loro realtà sarà interiorizzata mediante continui e incessanti processi d’identificazione.

 

Due genitori e non uno

Abbiamo parlato sempre al plurale. Quali potrebbero essere i motivi per i quali ogni bambino che nasce ha bisogno di due genitori e non di uno solo?[3]

In fondo molti esseri viventi, anche animali superiori, come i gatti, i cani, gli elefanti, gli orsi vivono e sono educati da un solo genitore, mentre altri utilizzano l’apporto di papà e mamma, come i gorilla, i lupi, i leoni, i castori, i pinguini ed i cigni.

I motivi vanno ricercati nella particolare complessità dell’essere umano.

Nel cucciolo d’uomo, le sue capacità affettive, le enormi potenzialità intellettive e relazionali, le grandi capacità comunicative, oltre che la sua sete di cultura, non possono essere soddisfatte solo da un genitore, ad esempio solo da una madre.

 Una donna, una madre, ha un patrimonio d’umanità immenso dentro di sé ed è capace di dare apporti preziosi per lo sviluppo del figlio. Le sue capacità comunicative, l’affettività, l’intensa sensibilità, le tenerezze che riesce a dare, sono fondamentali nell’educazione del minore.

Ma anche un papà apporta e dà elementi insostituibili di carattere, d’intelligenza, d’affettività. La forza, la linearità, il coraggio, la sicurezza, la coerenza, la fermezza, caratteristiche di un buon padre, sono altrettanto importanti degli apporti materni in tutte le età.

 

 

APPORTI PATERNI                       APPORTI MATERNI

       
 

Forza

Linearità

Coraggio

Sicurezza

Coerenza

Fermezza

 

 

 

 
 

Capacità comunicative

Affettività

Sensibilità

Tenerezza

Disponibilità

Capacità di cure

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   

Tanto importanti gli apporti dell’uno e dell’altro che ogni bambino non può esserne privato senza averne un danno più o meno grave, in base all’età in cui è costretto a farne a meno ed in rapporto alla possibilità da parte di altre figure: zii, nonni, amici, in grado di sostituire il genitore mancante.

Purtroppo sono numerose le occasioni in cui il genitore separato, vedovo, o una ragazza madre, provano a sostituirsi al genitore assente. Una mamma cerca di sostituire il papà, un papà cerca di fare anche da mamma.

I risultati di questa vicarianza, non sono così ottimali come quando sono presenti le due figure. Kaplan riferisce che: ”Più del 50% degli eroinomani che vivono in città, appartiene a famiglie di divorziati o nelle quali è stato presente un solo genitore.”[4]

 I motivi sono diversi:

  • Ognuno di noi può dare ciò che è e ciò che ha. Difficilmente può inventarsi realtà, capacità, qualità, sentimenti, emozioni, diverse da quelle che possiede. Il patrimonio genetico, ormonale che ogni uomo e ogni donna possiede dalla fecondazione, le esperienze di vita, i vissuti relazionali, condizionano ogni attimo della nostra esistenza e non possono essere sostituiti o aggiunti ad altri, solo attraverso l’uso della nostra volontà, se non in minima parte.
  • Due realtà permettono al bambino di proiettare sentimenti interiori diversi. Quando la mamma rimprovera un bambino questa, in quel momento, può diventare ai suoi occhi l’elemento “cattivo“, da cui momentaneamente allontanarsi, per avvicinarsi maggiormente e utilizzare l’altra realtà, quella “buona”, rappresentata dal papà e viceversa. Questa possibilità gli permette di trovare sempre un elemento consolatore e quindi di non rimanere in balia dell’angoscia. Quando questo meccanismo non è possibile perché manca uno dei due genitori, il bambino sarà costretto a trovare all’esterno della famiglia l’elemento “buono” con conseguente senso di colpa, in quanto può essere vissuto come un tradimento del genitore. E’ come se dicesse a se stesso: “ Io mi allontano da mia madre, per cercare una persona che mi capisca; e questo non è giusto.”  L’altra possibilità è di chiudersi in se stesso cercando nell’intimo del proprio cuore l’elemento consolatore buono. Questa soluzione, però, è ancora più drammatica perché può portare a difficoltà ad aprirsi agli altri e al mondo.
  • Molto spesso, nella vita d’ogni persona, vi sono dei momenti di crisi, di malessere fisico e psicologico. Tali malesseri sono a volte ciclici come nella donna, il cui umore e quindi la sua disponibilità all’altro, è spesso condizionato dalla situazione ormonale. Altre volte questi malesseri sono causati dalle avverse o difficili circostanze della vita: il tradimento di un amico, un capoufficio particolarmente severo, una malattia. In queste situazioni l’avere “di scorta“, un genitore sereno, calmo, disponibile, affettuoso, è fondamentale per la salute psichica del minore.
  • Due genitori, permettono al bambino di vivere e risolvere in maniera armoniosa il legame edipico, vale a dire l’amore che per Freud ogni bambino o bambina all’età di tre - sei anni vive e prova nei confronti del genitore del sesso opposto. Se i genitori sono due, egli potrà momentaneamente e tranquillamente “innamorarsi” del genitore dell’altro sesso e successivamente, nell’età adolescenziale, potrà abbandonare quest’amore impossibile notando che l’oggetto del suo amore ama, riamato, l’altro genitore che gli è accanto. Questa realtà, che non può negare, lo spingerà e costringerà a cercare il suo amore all’esterno della famiglia. Se ciò non avviene l’amore edipico avrà difficoltà ad essere superato.  Il bambino ad esempio, non notando accanto alla madre un padre, potrà pensare che sia giusto e naturale questo suo sentimento che gli permette di sostituirsi al padre mancante, dando amore alla madre sola. Quest’amore edipico non superato lo potrà legare per molto, molto tempo al genitore dell’altro sesso impedendo lo sviluppo di un amore esterno alla famiglia.
  • Un genitore solo sarà più facilmente spinto ad un attaccamento morboso nei confronti dei figli, impedendo loro, anche se in modo indiretto, i normali investimenti affettivi al di fuori della famiglia.
  • Nel campo educativo il genitore che è costretto, o ha scelto di vivere questo ruolo da solo, si trova molto spesso in situazioni difficilmente superabili. A volte ha paura di lasciare spazio ad altre figure educative, in quanto può diventare geloso del proprio primato e del riconoscimento affettivo. Tende ad oscillare da un comportamento troppo rigido, ad uno troppo permissivo, senza riuscire a trovare il giusto equilibrio. Lo attanaglia il dubbio, l'incertezza di non fare ciò che più serve nei confronti del figlio. Non sa, non capisce quale sia il comportamento educativo più corretto. L’impossibilità di confrontarsi e di dialogare con un altro, la mancanza d’aiuto lo rende ansioso, timoroso, insicuro. Gli manca inoltre la possibilità di mediazione nei confronti dei figli che solo un altro genitore potrebbe dare.

I casi in cui è presente un solo genitore sono, purtroppo, numerosi. Mentre fino a qualche decennio fa la causa più consueta che portava a queste situazioni difficili era la morte di uno dei due coniugi e quindi la vedovanza, nell’attuale società le cause più frequenti sono altre: il lavoro, la separazione, il divorzio, la solitudine della ragazza madre.

Ognuna di queste ha delle caratteristiche e dei risvolti educativi diversi.

 

 

La vedovanza

Dati gli enormi progressi della medicina, tale situazione, per fortuna, sta diventando sempre più rara.

In queste tristi evenienze è facile che sia preesistente alla morte del coniuge uno stress familiare più o meno notevole, dovuto al travaglio a volte molto lungo causato dalla malattia, che può mettere in gravi difficoltà psicologiche, economiche, organizzative, assistenziali, oltre che affettive, il coniuge superstite.

Anche per i figli la malattia del genitore è spesso fonte di tensioni e paure; ma è anche privazione di quelle necessarie attenzioni che, in tali casi, vengono quasi esclusivamente rivolte al coniuge gravemente ammalato.

Da parte dei figli è impossibile rimuovere questa sofferenza e questa tensione, anche se il genitore superstite ed i parenti cercano, a volte, di negare o camuffare l’evento luttuoso, cercando di evitare in tutti i modi ai minori il senso di morte, allontanandoli, anche fisicamente, da tutte quelle incombenze e situazioni che glieli possano ricordare.

In ogni caso il senso del lutto ed il dolore della perdita resta. Lutto e dolore possono continuare per un tempo molto lungo, a causa di problematiche nevrotiche preesistenti che rendono difficile la loro elaborazione.

In caso di lunga e grave malattia, da parte del coniuge sano vi può essere un rifiuto di coccole e affettuosità ai figli; come sintomo depressivo, o come bisogno di vivere in maniera intensa o esclusiva il rapporto con la persona ammalata.

Al contrario si può evidenziare verso i piccoli, un morboso ed eccessivo attaccamento, come compensazione della perdita, come paura di nuove perdite, o come un modo per scongiurarle attraverso una presenza continua.

Tutto ciò comporta, a livello individuale e familiare, una maggiore fragilità psicologica.

Dopo la morte, il coniuge superstite può assumere un doppio ruolo, in modo tale da cercare di sostituirsi al genitore mancante. In altri casi vi può essere un affidamento o uno spostamento, al figlio o alla figlia maggiore, del ruolo del coniuge ammalato o defunto. In questo caso vi potrà essere una più precoce responsabilizzazione del figlio che è stimolato ad assumere un ruolo non proprio.

 Da parte del figlio o dei figli superstiti, la morte del genitore può essere vissuta in vario modo: alcuni potranno avvertirla con un senso di colpa, ricordando tutto ciò che non è stato detto, tutto ciò che non è stato fatto, gli scontri avvenuti, le difficoltà nella relazione. Altri potranno viverlo con un senso di liberazione, sia per la fine dello sconvolgimento familiare, causato dalla malattia, sia per la possibilità di riappropriarsi delle attenzioni del genitore superstite.

 

Genitori lontani per lavoro

Le cause più frequenti dell’allontanamento dei genitori dai compiti educativi sono, nel mondo occidentale, rappresentate dai normali impegni lavorativi e sociali.

Questo tipo di “normalità degli impegni” fa notevolmente aumentare il numero di “orfani bianchi.” Sono questi i figli di genitori che, pur convivendo sotto lo stesso tetto, sono talmente assorbiti dalle attività esterne, da non riuscire a dare una presenza continua, costante ed efficace. Per questi genitori le possibilità educative diventano difficili, rare e saltuarie. [5]

Il lavoro in città diverse.

Tradizionalmente era il lavoro dell’emigrante che provocava ciò. Attualmente, a questa motivazione classica, si è aggiunto l’impegno lavorativo dei genitori in città o regioni diverse. Non sono rare le famiglie in cui i due genitori vivono in città poste a centinaia di chilometri l’una dall’altra, in quanto, ognuno di loro, sente di avere diritto alla realizzazione lavorativa: “Ho studiato per vent’anni, mi sono sacrificato per ottenere questo posto di lavoro, non intendo rinunciarvi, anche se si trova in una città diversa da quella dove risiede la mia famiglia”. I diritti individuali spesso prevalgono su quelli familiari. Una coppia di nostra conoscenza,  in questo aveva raggiunto un non invidiabile primato. La loro casa coniugale era a Milano, il marito lavorava a Torino, mentre la moglie abitava e lavorava a Messina, il loro unico figlioletto invece stava con i nonni a Barcellona Pozzo di Gotto! Come avevano raggiunto questa strana situazione è presto detto: quando hanno deciso di sposarsi, poiché il fidanzato lavorava a Torino lei, giustamente, ha cercato un lavoro al Nord e l’ha trovato a Milano dove hanno comprato casa. Casa abbandonata dopo qualche mese per ritornare insieme al figlio a Messina, in quanto il vecchio lavoro era più gratificante. Ma, poiché la madre non riusciva a gestire da sola il figlio questi restava  a Barcellona Pozzo di Gotto con i nonni.

In altri casi è la speranza di un maggior benessere economico a spingere verso queste scelte: “Perché rinunciare alla promozione?” “Perché rinunciare ad un lavoro più remunerativo?” In molti casi non si può parlare di pendolarismo, ma l’assenza assume per i figli caratteri simili a quelli dell’emigrazione.

I figli rivedono il genitore lontano per lavoro, solo il sabato e la domenica o occasionalmente, addirittura solo durante le grandi festività: a Natale, a Pasqua o nel periodo delle ferie estive.

Il genitore con cui vivono, in genere la madre, coadiuvata dai nonni materni, è costretta ad assumersi quasi tutti gli oneri e le responsabilità formative. La famiglia si costruisce pertanto attorno ad un’unica figura: la madre, tranne che questa non venga assorbita più o meno completamente nel nucleo originario. In questo caso assumono maggior rilevanza affettiva i nonni.

 

Le conseguenze educative.

  • I figli sono costretti a subire la situazione presente nelle famiglie monogenitoriali, in cui vi è l’assenza di uno dei genitori, soprattutto il padre.
  • Questi, d’altra parte, non riesce, nei rari momenti in cui è presente, ad assumere un ruolo educativo coerente, lineare e stabile. Il più delle volte si limita a fare la parte del papà buono che, per motivi di lavoro, è costretto a vivere lontano dai figli, ai quali non può dare un normale apporto educativo, ma che può colmare di regali ogni volta che ritorna a casa.
  • Spesso, la separazione porta nei coniugi uno scollamento nel rapporto coniugale, a causa di gelosie, tradimenti, alleanze patologiche. La gestione della famiglia diventa di esclusivo appannaggio della madre e dei nonni, soprattutto di quelli materni.
  • La coppia, inoltre, è costretta a subire, più facili stimoli al tradimento “consolatorio” da solitudine e bisogno affettivo e sessuale non soddisfatto; con conseguenze traumatiche sul futuro stesso della coppia e della famiglia.
  • Queste famiglie, a volte, vanno in crisi allorquando il genitore lontano, o perché ha raggiunto l’età della pensione, o perché ha ottenuto l’avvicinamento, ritorna a vivere insieme alla famiglia. La causa di ciò è dovuta a difficoltà di adattamento dei coniugi e dei figli nel vivere un ménage familiare cui non erano abituati. Spesso il genitore che ritorna lamenta di essere trattato da estraneo, non si sente partecipe nelle decisioni. I figli, a loro volta, avvertono i suoi interventi educativi come un’illecita intrusione in quanto dentro il loro animo alberga spesso il risentimento per le sue prolungate assenze.
Il lavoro nella stessa città.

Anche il lavoro nella stessa città, negli ultimi decenni è diventato causa d’allontanamento e scollamento del nucleo familiare.

Oltre che un problema di quantità, il lavoro può creare problemi nella qualità della relazione.

Esso, infatti, può creare un coinvolgimento emotivo nella persona, occupando i suoi pensieri, prelevando buona parte delle sue energie, impegnando la volontà oltre i limiti accettabili dagli altri doveri e compiti, come quelli di padre e di madre, di marito e di moglie. 

Spesso è il datore di lavoro che chiede e pretende dal lavoratore, non una parte ma tutte o quasi le sue energie, la sua fantasia, il suo interesse, in modo tale da rendere l’impegno di questi sempre più produttivo. Queste richieste, non solo sono viste come sacrosante, ma anzi viene bollato di discredito il lavoratore che si occupa e preoccupa molto dei doveri familiari e coniugali, i quali vengono giudicati come esigenze sociali accessorie.

Ciò può accadere sia per gli uomini che per le donne, sia per il padre che per la madre; quando è coinvolto però solo un genitore, la presenza dell’altro accanto alla famiglia, ai figli, nella casa, porta ad una divisione dei compiti sociali. Uno dei due si assume il compito di produrre ricchezza materiale, l’altro il ruolo di produrre ricchezza affettiva, relazionale, educativa. Allorquando invece sono entrambi i coniugi coinvolti, la società, la famiglia, i figli, possono risentirne in maniera grave.

Viene, infatti, “prodotto” solo benessere materiale, mentre la povertà affettiva, relazionale, educativa, invade i singoli ed i gruppi. In definitiva, quindi, tutta la società diventa più povera.

Le reazioni di persone coinvolte in maniera pesante ed eccessiva nel lavoro intra o extrafamiliare, sono abbastanza note: l’individuo vive, pensa, respira, in funzione di ciò che deve fare, in funzione degli impegni e delle realizzazioni che ha in mente.

Tende ad estraniarsi dal coniuge, dai figli, dagli amici e dalle relazioni. Naturalmente questa pressione e stress psicologico, ha bisogno di momenti di compensazione e di fuga. Momenti che però non sono vissuti in maniera fisiologica, ma in modo eccessivo e stressante.

Per tale motivo accanto ad ore e giorni di frenetica attività, si alternano soprattutto nei giorni canonici come i sabati, le domeniche, o le notti, momenti di divertimento frenetico o di completo riposo nella speranza di recuperare e di riacquistare quanto perduto o assorbito nelle attività lavorative.

Se sul piano della tensione nervosa si recupera qualcosa, ciò produce però degli effetti negativi sulle relazioni. Queste vengono vissute in modo superficiale o nevrotico. E’ difficile l’ascolto, ed è ancora più difficile un intervento sereno e mirato al superamento dei problemi che di volta in volta si presentano.

La persona si impoverisce sempre di più, tende ad entrare in crisi ed ad accusare non colui o quella cosa che gli ha sottratto energie, ma gli altri: il marito, la moglie, gli amici, di non riuscire ad entrare in sintonia, di non riuscire a comprenderla o ad avere normali rapporti.

E’ un circolo vizioso che allontana sempre di più l’individuo da se stesso, dagli altri, dalla società.

Mentre inizialmente questo coinvolgimento è funzionale ad un miglior rendimento lavorativo, successivamente, anche il lavoro ne risente, ne soffre, ne paga lo scotto: la persona privata del suo equilibrio psicologico ed affettivo non riesce a dare e produrre quanto produceva prima. Riesce a dare poco e male, il numero degli errori aumenta e anche il rendimento diminuisce progressivamente.

 

L’impegno sociale.

Accanto alle attività lavorative ve ne sono altre apparentemente di grande spessore umano e sociale che però, sommate alle prime, producono risultati analoghi, sono le militanze sociali, politiche o religiose.

Succede a volte, e la cosa potrebbe essere comica se non fosse tragica, che mentre siamo occupati con passione ed impegno a risolvere i problemi e le difficoltà degli altri: coppie con problemi, bambini, anziani, handicappati, svantaggiati, ecc. va alla malora la nostra vita di coppia, trascuriamo i nostri figli, lasciamo soli i vecchi genitori.

Siamo soprattutto occupati a “fare”, non importa che cosa e dove, l’importante e che sia un “fare”, gratificante e qualificante fuori della propria famiglia, mentre siamo poco o nulla disponibili alla cura, all'ascolto, al dialogo con le persone che sono a noi più vicine, con le persone verso le quali dovremmo avere degli obblighi e dei doveri ben precisi.

Altre volte, e ciò avviene sempre più frequentemente, nelle ricche e opulente società occidentali, sono impegni sicuramente più futili o ludici come la cura della propria bellezza: la palestra, la piscina; oppure le cene con gli amici, i giochi, i balli ad occupare papà e mamma.

Queste ed altre attività similari, vengono però avvertite come molto importanti per la propria vita e per la realizzazione personale. Sono sentite come “bisogni” imprescindibili del corpo e della mente, quindi non si riesce a rinunciarvi o a limitarle.

I motivi di ciò vanno ricercati nell’alienazione di una società che continuamente stimola, per motivi economici a vivere senza mai accontentarsi di ciò che si ha e che si è. E’ la nostra una società basata sui beni di consumo, che spinge a comprare e consumare sempre di più, con la vana promessa di raggiungere in questo modo la felicità. E’ una società che stimola a migliorare il proprio aspetto nella prospettiva e nella speranza di sentirsi meglio. “Se sei triste e insoddisfatta è perché il tuo naso è troppo grande, il tuo seno troppo piccolo, i tuoi fianchi troppo larghi; per sentirsi meglio basta mettersi nelle mani di un chirurgo che penserà a stringere, allargare, sostenere, modellare e quindi insieme alla bellezza ti darà serenità e gioia.” E’ una società che invita al divertimento ed al piacere nella chimera di raggiungere piena soddisfazione personale.

Giacché le promesse restano solo promesse, gli inviti alla ricerca del benessere, mentre si vive nel malessere, diventano sempre più numerosi e si prolungano all’infinito.

S’innesca allora un circolo vizioso: si è invitati a superare lo stress del lavoro e della vita quotidiana acquistando di più e spendendo di più > per spendere di più e consumare di più sono necessari più soldi e più lavoro > impegnandosi di più nel lavoro aumenta lo stato di malessere e di disagio; si ritorna al punto di partenza in una spirale senza fine.

 

Conseguenze del defilarsi dell'attività educativa

Il defilarsi per motivi più o meno importanti dall’attività educativa e di accudimento comporta inevitabilmente una delega sempre maggiore verso gli “ altri.” Per l’uomo e quindi per il padre l’altro è la madre, in quanto la donna viene vista come la persona più capace di cure e di relazioni con i bambini e più efficiente nella gestione della casa. Per la donna “l’altro”, che si dovrebbe impegnare maggiormente è sicuramente il papà, in quanto tende a trascorrere più tempo nel lavoro e quindi al di fuori della famiglia.

Entrambi i genitori sono però d’accordo almeno su un punto, che ad impegnarsi maggiormente dovrebbe essere la scuola e gli insegnanti, in quanto professionisti dell’educazione e quindi pagati per svolgere tale compito! Ma anche i nonni, “ che non hanno nulla da fare”, le baby- sitter, e gli insegnanti di doposcuola, “che sono pagati per questo”.

 A sua volta questi, con il libro di psicologia e pedagogia in mano, si difenderanno dicendo, giustamente, che l’attività educativa deve svolgersi soprattutto in famiglia e che gli insegnanti hanno un compito di supporto a completamento dell’attività  dei genitori e nel frattempo affidano il bambino con problemi ad un’insegnante di sostegno o all’équipe psicopedagogiche scolastiche, le quali, a loro volta o cercheranno di stimolare la scuola ed i genitori, “ad un maggior impegno” o affideranno il bambino ad uno specialista per una psicoterapia “ che cercherà di risolvere i suoi problemi”.

                                      

 
   

Ma intanto il bambino continua a rimanere solo. Solo con i suoi dubbi e le sue perplessità. Solo con i suoi timori, le sue insicurezze i suoi bisogni non soddisfatti.

Bisogno di una presenza attiva dei genitori

La necessità in quantità e qualità di presenza dei genitori è insita nella specie, non varia, né è sostanzialmente modificabile, se non in tempi lunghissimi, al variare dell’ambiente o della società.

La necessità di dialogo, di affetto, di comunicazione, di rapporto con le figure genitoriali, di un bambino del duemila, non è, nelle sue qualità fondamentali, molto diversa da quella di un coetaneo dell’età della pietra.

D’altra parte, la probabilità che si creino paure, ansie, insicurezze se questi bisogni fondamentali non sono soddisfatti pienamente, è sostanzialmente uguale.

E’ necessario quindi che le persone che si occupano di bambini seguano la fisiologia dello sviluppo, senza mai forzarla o contrastarla. In caso contrario, lo scotto da pagare può inizialmente essere soltanto un più o meno grave vissuto di disagio, che però, a lungo andare, può avere nella sua vita futura, delle conseguenze invalidanti, come una nevrosi, un disturbo del comportamento sociale o, nei casi più gravi, una psicosi. “ Una risposta incompiuta ai bisogni infantili da parte dei genitori tende a mantenere immodificate nel tempo le richieste affettive del figlio, prolungando una condizione di profonda dipendenza emotiva che ostacola la costruzione di relazioni adulte



[1] L. Smeriglio. L’errore nell’educazione, Peloritana Editrice, Messina, 1983, p.158-159 

[2] G. Campanini, Il bambino nella famiglia: tra gratificazione e disagio, La famiglia, anno XXVII, luglio- agosto 1993, p.28.

[3] Negli Stati Uniti, secondo un  rapporto dell’UNICEF, il 50% dei bambini bianchi e l’ 80% dei bambini neri, nati dopo il 1980, trascorrerà parte dell’infanzia in una famiglia con un solo genitore.

[4] H.L. Kaplan – B.J. Sadock, Manuale di Psichiatria, 1993, Edises Napoli, p. 331.

[5] Per quanto riguarda il tempo dedicato dalle madri ai figli  Giuliana Faini riporta su Madre del Giugno 1996: “Preoccupanti a questo proposito i dati relativi al tempo dedicato ai figli: consumare pasti insieme e guardare la televisione sono infatti le attività che i genitori condividono più spesso con i propri figli. Il blocco temporale dei pasti (mediamente 9 ore alla settimana) è il più consistente, seguito da quello dedicato a giocare con i figli (7ore alla settimana), e a guardare la televisione (5 ore la settimana).

Separazione e divorzio

 

Una delle cause più rilevanti di assenza genitoriale è data dalla separazione e dal divorzio.

Il numero delle coppie che si separano o divorziano in tutto il mondo occidentale è in continuo, costante aumento. In Italia l’introduzione nel 1970 dell’istituto del divorzio, ha provocato un modo diverso di vedere e di affrontare il matrimonio e le crisi coniugali.

           Il legame matrimoniale si è trasformato, agli occhi e nell’animo di molti, da legame perenne, fonte di sicurezza, solidarietà e impegno, a legame temporaneo da cui ci si può sciogliere facilmente e unilateralmente. Naturalmente per fare ciò è necessario superare il problema educativo dei figli, ma a questo pensano studiosi compiacenti che cercano di dimostrare, arrampicandosi sugli specchi, che i figli dei divorziati non subiscono poi un gran danno dalla rottura del matrimonio o che in ogni modo è meglio vivere lontani da un genitore che vivere in una famiglia conflittuale.        

Per tale motivo il matrimonio viene sempre di più visto come un gravoso optional di un rapporto a due, in quanto gravato da minacce, da stress psicologico, economico o legale, più che come la realizzazione di un progetto agognato, una meta da raggiungere e vivere serenamente e pienamente, per cui, se nascono dissidi nella vita matrimoniale, non si cerca di affrontarli e risolverli, anche con molto sacrificio del proprio Io, ma si tende a gettare la spugna e quindi a separarsi.

         Le leggi che si sono succedute negli anni, le quali, in qualche modo, hanno interessato la coppia e la famiglia, non hanno fatto altro che peggiorare, e di molto, il clima familiare e l’intesa tra i coniugi. “ Tra moglie e marito non mettere il dito.” Questo detto popolare dovrebbe valere soprattutto per il legislatore e per la magistratura.

         L’istituto del divorzio, ad esempio, ha modificato in maniera notevole il concetto di separazione dei coniugi. Questa è vista non più come “…una pausa di riflessione consentita ai coniugi in difficoltà, per correggere comportamenti ed atteggiamenti pregiudizievoli alla prosecuzione della convivenza, bensì una fase intermedia del rapporto coniugale, spesso compromesso e proiettato verso lo scioglimento definitivo.”[1]  Cambia la prospettiva stessa della famiglia e del matrimonio, il quale viene inteso non più come uno strumento per far crescere nel modo migliore le future generazioni, ma come uno dei tanti modi in cui la coppia può vivere e amarsi.  Una realtà in cui l’individuo può realizzare se stesso e i propri bisogni. Ciò che ci si aspetta dal matrimonio è il raggiungimento di un’elevata felicità personale, mentre si trascurano gli obblighi nei confronti dei figli e della società.

 

Affidamento dei figli.

Per consuetudine giuridica, i figli sono affidati in Italia alla madre (nel 2002 nell’82,7%) Questo affidamento è legato all’uso dell’appartamento comune. Recita, infatti, l’art. 155 c.c. “L’abitazione della casa familiare spetta di preferenza e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli…” Ciò comporta, spesso, un grave disagio e un cocente senso di ingiustizia, per l’altro coniuge, costretto a uscire, a volte, dall’abitazione che con tanti sacrifici aveva contribuito a creare.

I motivi sono noti: la madre viene vista come la persona più idonea a curare, seguire, educare i figli, in quanto viene evidenziato nella femminilità quel particolare carisma capace di instaurare un miglior dialogo con il bambino e una migliore comprensione e realizzazione dei suoi bisogni. La madre, quindi, in quanto tale, è giudicata come il coniuge più adatto a seguire e educare un bambino, specie nei primi anni della sua vita. Ciò, come vedremo, è solo in parte vero se si tiene conto delle capacità nell’allevamento e nell’accudimento; invece, per quanto riguarda le regole, le norme e linee educative, l’apporto paterno in tutte le età e specialmente nell’età adolescenziale è fondamentale.  In questo momento però non è di questo che vorremmo discutere ma delle conseguenze di queste scelte giuridiche.

Il rischio è che, da parte della donna, discenda un pensiero consequenziale: “Potrò separarmi tranquillamente in quanto il giudice quasi sicuramente mi farà dare un assegno di mantenimento, mi affiderà i figli e mi permetterà di continuare a vivere nella casa dove già abito, utilizzando tutti i mobili e gli arredi che contiene, senza nulla perdere, se non un ingombrante marito.” Quest’ipotetico pensiero c’è il rischio che corrisponda spesso alla realtà se lo colleghiamo ad un altro dato statistico, il quale evidenzia il fatto che sono soprattutto le donne a chiedere la separazione ed il divorzio.

Da parte dell’uomo il discorso potrà essere diverso ma altrettanto distruttivo: “La legge riconosce l’importanza primaria della donna nell’educazione dei figli, per cui, se mi separo, perderò quasi sicuramente i miei figli, la casa dove abito, i mobili, gli arredi e una parte del reddito che dovrò dare alla mia ex come assegno di mantenimento, in compenso non dovrò più occuparmi della salute e dell’educazione dei bambini, in quanto sono le donne e le madri che si occupano di queste cose. Io potrò tranquillamente pensare ad un nuovo amore ed a nuovi rapporti affettivi”; infatti, nell’80% dei casi, l’uomo riesce a trovare un altro legame e “…il 21% di loro (dei padri) vede i figli meno di una volta al mese a due anni dalla separazione. E tale percentuale sale con il passare degli anni rompendo dolorosamente i rapporti padre-figli.”[2]  

Abbiamo cercato di tradurre anche se in modo molto rude e grossolano, ma pensiamo molto vicino alla realtà, il pensiero più probabile dell’uno e dell’altro coniuge, solo per evidenziare come certe prassi giurisprudenziali possono portare a conseguenze sicuramente non volute, ma psicologicamente prevedibili. E’ per tale motivo che vi sono numerose istanze da parte non solo delle associazioni degli uomini separati, ma anche da parte di associazioni cattoliche, che hanno a cuore il futuro delle famiglie e delle nuove generazioni, affinché tale prassi cambi sostanzialmente.

Si vuole che in queste tristi situazioni si esaminino con accuratezza le reali possibilità e capacità educative dell’uno e dell’altro coniuge. Soprattutto si tenga conto delle reali necessità del bambino ad avere non uno ma due genitori educandi, quindi si attui, per quanto possibile, un affidamento congiunto.

L’affidare ad entrambi i genitori la cura e l’educazione del bambino così come si profila nella nuova legge, sicuramente non risolverà tutti i problemi educativi, in quanto persisteranno molti dei problemi di cui parleremo. In compenso, questo atteggiamento, potrebbe dare ai genitori un segnale ben preciso: i figli hanno dei diritti che travalicano le problematiche, le scelte e i bisogni individuali e personali dei loro genitori. Una nuova formulazione dovrebbe portare, se non altro, ad una maggiore responsabilità da parte di tutti.

 

Il padre separato.

Chi è il padre separato?

Può essere un uomo che in solitudine lecca le ferite ricevute nel matrimonio, soprattutto negli ultimi periodi che hanno preceduto la separazione. Periodi questi ritenuti dagli psicologi tra i più tesi, stressanti e drammatici che un individuo può subire durante tutta la sua vita (nel punteggio degli stress al primo posto vi è la morte del coniuge, al secondo il divorzio, al terzo la separazione coniugale). Quest’uomo spesso cerca una rivincita che lo compensi, in qualche modo, della sofferenza subita.

Può essere lo sposato, finalmente di nuovo scapolo, che approfitta della sua ritrovata posizione e della nuova condizione di libertà per fare nuove conquiste, trascurando la famiglia d’origine che avverte carica di tensione e aggressività verso di lui.

Altre volte è il padre affettuoso che cerca la continuità nel rapporto con i figli, che si lega con altri padri in associazioni per rivendicare il diritto alla paternità, all’affidamento e all’educazione della prole.

 In rari casi, per fortuna, potrebbe essere il padre disperato che, pur di non concedere l’amore e l’educazione dei figli alla moglie, preferisce uccidere questa e togliersi la vita.

Ancora può essere l’amante che spera in un riavvicinamento della propria compagna. Ascolta e interpreta, a volte in maniera ottimistica, ogni telefonata o sguardo che possa essere interpretato come il rinascere di un sentimento d’amore, la scintilla di una nuova e ritrovata passione.

Al contrario potrà vestire i panni dell’amante deluso che cerca in tutti i modi di vendicare i torti e le angherie subite da parte della sua ex compagna anche mediante l’uso della violenza.

Può essere un uomo che esclude ogni rapporto affettivo con una donna o, al contrario, che cerca in un altro essere femminile ciò che non ha trovato nella prima moglie: una presenza, un affetto, una compagnia, un amore.

La madre separata.

Anche la donna separata può vivere molte delle realtà maschili che abbiamo descritto ma, poiché si sente dalla legge economicamente protetta e più appagata nel suo ruolo di madre che, a differenza del padre, in giudizio non le viene quasi mai negato, raramente arriva ad atti inconsulti.

Il suo vissuto si caratterizza soprattutto, per un legame più stabile e continuativo con i figli che le sono affidati. Legame che però difficilmente riesce a vivere in maniera serena e produttiva. 

Per difficoltà intrinseche al suo essere femminile, senza l’apporto di un uomo ha difficoltà ad essere guida serena, equilibrata e lineare per i figli.

In quanto coinvolta anche lei in una spirale fatta d’aggressività, di difese e di sospetti non riesce a garantire loro un minimo di serenità ed equilibrio.

Bisognosa di un appoggio morale e materiale, è portata molto spesso ad essere riassorbita nella casa paterna, regredendo di nuovo al ruolo di figlia. Infine, poiché più coinvolta nel ruolo di madre, più raramente dell’uomo riesce a trovare con un nuovo compagno un sano e sereno rapporto affettivo.

Difficoltà educative nei separati e divorziati

Il mondo del bambino inizialmente è limitato alla propria casa e ai propri genitori, per tale motivo è diverso dal mondo degli adulti che è ampio, perché fatto di numerosi e complessi rapporti familiari, amicali, professionali e di mille conoscenze. Compito degli adulti dovrebbe essere pertanto quello di dargli un mondo pacifico anche se non dell'Eden; invece, quando avverte tra loro conflitto, freddezza, aggressività, tutto il suo essere è pervaso, sconvolto e squassato dal conflitto, dall'aggressività, dalla tensione; pertanto ogni disturbo della relazione dovrebbe essere ”curato” o con l’aiuto di persone mature e responsabili o mediante specialisti nella terapia della coppia e della relazione.

D’altra parte, anche quando la separazione è già avvenuta, le conseguenze e le tensioni non diminuiscono di molto. Per tutti questi motivi, nel caso di separazione o di divorzio, è raro che entrambi i genitori riescano a seguire e curare l’educazione e la crescita dei figli in maniera adeguata, a causa della mancanza di stima, affetto, apertura e disponibilità reciproca e a motivo della perdita d’autorevolezza. Inoltre, lo scontro tra i genitori, che spesso si trasforma in guerra aperta, coinvolge anche i figli che sono costretti a schierarsi con l’uno o con l’altro.

In genere questi tenderanno ad allearsi con il genitore al quale sono stati affidati, in quanto  è il genitore più vicino, quello che li cura di più, ma anche quello che ha tutta la possibilità di parlare male dell’altro, senza che quest’ultimo possa difendersi.

    Lo schierarsi, porta inevitabilmente ad una perdita di stima e quindi di autorevolezza nei confronti del genitore avvertito come colpevole. A sua volta, quest’ultimo, non sentendosi più amato e rispettato, tenderà a rispondere con altrettanta acredine o con freddezza.

Il rapporto genitori – figli, pertanto, si deteriora rapidamente, e molto spesso anche definitivamente.

         Da ciò nasce quella “lacerazione interna” di cui parlano i figli dei separati o divorziati.  Lacerazione in quanto, ogni figlio vorrebbe apprezzare e amare entrambi i genitori.

Dalla lacerazione discende il frequente vissuto di colpa.

Non è raro, come conseguenza di quanto abbiamo detto, il rifiuto del figlio di restare anche per poche ore con il genitore non affidatario, sia per sfuggire al senso di colpa e alla tensione interiore, sia per l’acredine reciproca, che spezza rapidamente i legami affettivi preesistenti.

Più raramente, specie nel periodo adolescenziale, con la fine della fase edipica, può accadere che il genitore accusato, diventi quello con cui il figlio convive. Ciò è facilitato dall’atteggiamento polemico e contestatore caratteristico di quest’età e dalla necessità, da parte del genitore affidatario, d’interventi educativi tendenti a limitare o reprimere i comportamenti e gli atteggiamenti più problematici.

L’adolescente tenderà allora a manifestare aggressività, irritabilità ed atteggiamento dispettoso ed irrispettoso nei confronti del genitore che si cura di lui e che vorrebbe, anche per questo, tutta la sua solidarietà e comprensione. La risposta di quest’ultimo, a tali accuse ed aggressività che ritiene assolutamente illegittime ed ingiuste, scatena spesso altrettanta aggressività e rifiuto verso il figlio ritenuto immeritevole di tanti sacrifici.

Manca spesso inoltre, in queste situazioni, un dialogo efficace.

Questo, che dovrebbe essere continuo e spontaneo, è limitato per il genitore non affidatario alle poche ore settimanali concesse dal giudice, spesso in un clima di sospetto e diffidenza reciproca. Per il genitore affidatario, invece, la difficoltà nasce soprattutto dalla carenza di una figura che l’aiuti, l’accompagni, e lo collabori nell’attività educativa, ma anche dall’essere costretto ad assumere un doppio ruolo, maschile e femminile, di padre e di madre. 

Inoltre, per accaparrarsi l’amore del figlio conteso, è frequente la tendenza, in entrambi i coniugi, ad essere più permissivi di quanto si sarebbe voluto e si dovrebbe; come conseguenza di ciò si ha, nei figli, una frequente presenza di comportamenti capricciosi ed infantili.

E’ nota, inoltre, l’utilizzazione di questi con lo scopo di aggredire l’altro coniuge. Tale aggressività e bisogno di vendetta possono durare molti anni: se c’è qualcosa di duraturo nella coppia separata o divorziata è la loro reciproca aggressività, capace di durare per tutta la vita. I figli sono spesso utilizzati come arma impropria per minacciare, colpire, sfruttare, assoggettare, difendersi dall’ex marito o moglie. Nel momento della separazione, frequentemente, ognuno dei coniugi cerca di togliere qualcosa all’altro, di ferire, sminuire e far del male all’altro. Da ciò la frase abusata, ma vera, che “i genitori separati litigano a colpi di bambino”, cioè utilizzano il bambino per farsi del male.

Le minacce sono spesso del tipo: “Se non mi dai più soldi non ti faccio vedere i figli.” “Se mi chiedi troppo, ti tolgo il figlio più amato” ecc.. I minori spesso avvertono di essere usati come arma o mezzo di scambio e ricatto per cui la stima nei confronti dei genitori, intesi come adulti responsabili, forti, equilibrati, fonte di sicurezza, serenità e amore, non può che risultare gravemente compromessa.

Il coinvolgimento dei parenti e degli amici, nei casi di separazione o di divorzio, è frequente. Anche loro, vuoi spontaneamente, vuoi perché trascinati nella contesa, si sentono moralmente costretti a schierarsi, dividendosi per l’uno o l’altro fronte. Con ciò, alimentando e accentuando gli elementi di rottura ed inimicizia, privando così, sia l’uno che l’altro coniuge, dell’apporto amicale.

Ricco poi di complesse problematiche interiori è, per i figli, l’accettare la presenza di un’altra persona accanto al proprio padre o alla madre.

E’ molto facile, infatti, che la solitudine, il bisogno di dialogo, di affetto e di una vita sessuale normale, spinga alla ricerca di un nuovo partner. Ciò disturba notevolmente l’immagine che ogni figlio tende a farsi dei propri genitori e della propria famiglia. Il genitore per i figli è circondato da un alone di serietà e purezza particolare. Un padre non si fidanza: lo ha già fatto una volta con la mamma e basta. Non corteggia, non s’innamora, non ha rapporti sessuali, non si sposa con altre donne. Per il figlio queste realtà possono solo riguardare il passato, ma non il presente. Nel suo immaginario i rapporti sessuali sono accettati già con molta difficoltà solo nei confronti della propria madre o padre, con estranei sono visti e giudicati come una cosa impudica e sconcia.

Tra l’altro, oggi, vi è la tendenza, da parte di genitori sempre più infantili, di far partecipare i figli delle proprie esperienze amorose. Per cui, mentre prima l’amante era presentato come un amico, fino a pochi mesi prima del matrimonio, oggi i figli sono costretti a partecipare a tutta la vita amorosa e sessuale dei genitori. Da ciò un accentuarsi del disagio interiore e del giudizio negativo verso di loro e gli adulti in genere.[3]  

Anche in questo caso si prospetta, come risolutore del problema, “l’adattamento.” Si dice: “I figli, come i coniugi, si devono adattare alla nuova situazione.” Ma a quale prezzo? Vale, anche in questo caso ciò che abbiamo detto prima sull’adattamento.

Con il nuovo matrimonio o convivenza vi è l’inserimento di nuove figure che si pongono come paterne o materne.

Se si tengono in giusto conto le caratteristiche così particolari di unicità, globalità, indissolubilità del rapporto genitore - figlio, si comprenderà bene come l’inserimento di figure che dovrebbero aggiungersi o sostituire quelle che lui conosce e che si sono profondamente radicate nel suo animo, sia traumatico e fonte di conflittualità interiore notevole. Spesso quest’inserimento porta a dei giudizi severi da parte dei figli: “Perché lo ha fatto, forse io non gli/le bastavo?”

Il nuovo compagno difficilmente sarà accettato pienamente e quindi non potrà avere, nei confronti dei figli non propri, quella dignità, quell’autorità e responsabilità che sono appannaggio del vero genitore.

Se poi, come spesso avviene, con il nuovo matrimonio si aggiungono anche altri figli di precedenti unioni, le dinamiche relazionali si complicano ulteriormente. Questi, infatti, sono portatori non solo di un diverso patrimonio genetico e un diverso cognome, ma anche di diverse esperienze educative. Portano, nella nuova famiglia, tutta una rete di dinamiche affettive e relazionali che è difficile gestire in maniera corretta. I rapporti tra fratelli sono molto conflittuali per loro natura. Questa conflittualità non può che aumentare nelle famiglie così dette “allargate o multiple”, giacché le diverse appartenenze dei fratellastri accentuano le gelosie, le invidie, le rivalità.

Diminuisce quindi il senso di appartenenza familiare e il grado di sicurezza ed integrità nei confronti del mondo esterno.

Si sono paragonate questo tipo di famiglie alle parentele spirituali dei padrini e delle madrine o alle famiglie patriarcali. Nulla di meno vero di questo. Le famiglie patriarcali avevano dei saldi e inequivocabili legami di stile educativo e di sangue, che le tenevano unite attorno all’anziano patriarca, cosa che manca completamente in questo tipo di unioni, nelle quali l’elemento disgregante è prevalente ed i genitori non solo non hanno il carisma del patriarca, ma somigliano piuttosto a dei giovani naufraghi in cerca di una tavola su cui aggrapparsi. Né si possono paragonare alle parentele spirituali date dalle madrine e dai padrini, poiché queste nascono da scelte, operate dai genitori, di persone che s’impegnano a restare vicini ai minori nei loro bisogni spirituali. Quindi sono persone di aiuto e supporto ad una famiglia chiaramente definita e stabile nella sua composizione.

Molto spesso i conflitti si evidenziano già prima che si sia formato un nuovo vincolo. Alcuni figli lottano per restare con i nonni o altri parenti. Altri preferiscono defilarsi dalla nuova situazione vivendo da soli, piuttosto che con il nuovo patrigno o matrigna o con gli altri fratellastri. Il nuovo venuto, ed i suoi parenti, sono visti come figure minacciose pronte a sottrarre loro il vero genitore o come ladri desiderosi di rubare loro il suo affetto.

In molti casi il nuovo fidanzato o la nuova fidanzata, i loro figli ed i loro parenti sono vissuti come persone che sconvolgeranno un equilibrio interiore che con tanta fatica erano riusciti ad conquistare.

Altri figli infine, pur rimanendo in apparenza nel nuovo nucleo familiare cercano e trovano all’esterno, nel branco, negli amici, nei coetanei o in qualche altro adulto, quella serenità, continuità e stabilità che ogni minore desidera ardentemente.

La presenza nella stessa casa di persone che non presentano lo stesso patrimonio genetico, nuovi genitori, fratellastri, sorellastre, fa aumentare il rischio di promiscuità, violenze sessuali ed incesto, all’interno della famiglia.

I figli dei separati e dei divorziati, in ogni caso, sono costretti a farsi carico di responsabilità eccessive e sproporzionate, spesso non gestibili in maniera efficace e serena. Ciò in quanto, il genitore che è rimasto solo a dover affrontare i mille nuovi problemi di sopravvivenza e per giunta in un clima di conflittualità, facilmente avverte il bisogno d’appoggiarsi all’affetto e al consiglio del figlio per far fronte ad un futuro incerto ed oscuro; tenderà, allora a trattare il figlio come se fosse un sostituto dell’ex coniuge. Ciò spinge il minore ad assumere il ruolo di capofamiglia e di confidente dei problemi economici o sentimentali del genitore.[4] 

D’altra parte il figlio, venendo a contatto con l’infelicità genitoriale, è obbligato a diventare precocemente adulto per sostenere e rassicurare il proprio genitore –bambino.

Questi avvenimenti segnano per sempre in modo negativo lo stato psichico dei minori.

Conseguenze psicologiche.

Più aumenta il numero delle persone con immaturità, o con disturbi psichici, più si deteriora il tessuto sociale attuale, mentre viene compromesso il futuro stesso della società.

Le conseguenze psicologiche di quanto abbiamo detto possono essere, nei minori di famiglie separate o divorziate, molto gravi e numerose. L. Cian evidenzia: “ …la presenza di carenze affettive, la mancanza di equilibrio e di formazione di una identità personale stabile (la cosa sembra più grave se vi è differenza di sesso fra il genitore affidatario ed il bambino), sensibili deficit cognitivi nell’apprendimento, minore efficacia nell’interiorizzazione dei modelli normativi, solitudine, depressione, difficoltà a mettersi in relazione, più elevato rischio di comportamenti devianti, maturazione precoce in qualche modo forzata (specie se il genitore affidatario è molto assente dal nucleo familiare).”[5]

Lo stesso autore evidenzia che a scuola gli insegnanti constatano in questi bambini di genitori separati “ tristezza, depressione, condotte asociali o antisociali, pigrizia e mancanza d’impegno, fenomeni d’autocolpevolizzazione rispetto alla separazione dei genitori.”[6]

Altri autori evidenziano: ansia per il futuro, solitudine, confusione, depressione, aggressività, disturbi dell’apprendimento e del comportamento, senso di perdita e del lutto. Più grave quando vi è un figlio unico che quando vi sono più fratelli e sorelle.[7] 

 

 

“ Per un bambino è inconcepibile vivere separato dalla propria famiglia, poiché in quell’ambiente trova le radici del suo esistere, il significato della sua appartenenza, il senso del divenire persona adulta.”[8]

 Ciò evidentemente aggrava, in maniera esponenziale, le problematiche della comunità in quanto più aumenta il numero delle persone con immaturità, o con disturbi psichici, più si deteriora il tessuto sociale attuale, mentre viene compromesso il futuro stesso della società.

Nel caso dell’adolescente è facile che tenda a cercare al di fuori della famiglia e dell’ambiente di vita, quella serenità, quelle attenzioni, quella gioia di cui è stato privato, purtroppo, a volte, affidandosi ad altri giovani o adulti che non solo non sono in grado di dare un aiuto efficace, ma tendono a proporre comportamenti e stili di vita gravemente a rischio.

Si è cercato di quantificare il rischio corso dai figli di genitori separati, il cui padre è assente sul piano educativo e si è visto che è triplo il rischio di difficoltà scolastiche e nella socializzazione; doppio il rischio per quanto riguarda il subire violenze, abusi, l’uso di droghe, di fumo e d’alcool.

Tratto da "L'educazione negata" di Emidio Tribulato. Per richiedere questo libro clicca qui. 


[1] S. Arena, La famiglia in tribunale, Giuffrè editore, 1998, p.3.

[2] M. Blangiardo, Essere genitore quando…?, Famiglia oggi,  AnnoXXVI, 3, marzo 2003, p.25.

[3] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 97.

[4] P. Lombardo, Crescere  per educare, Edizioni dell’aurora, 1994, p. 94-95.

[5] L. Cian, Educhiamo i giovani d’oggi come Don Bosco, Editrice ELLE DI CI – Torino, 1989, p. 127

[6] L. Cian, idem.

[7] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 99

[8] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 89.

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