I disturbi del comportamento: sintomi, cause e interventi

I disturbi del comportamento: sintomi, cause e interventi

 Nei termini di disturbi del comportamento o della condotta sono descritti una serie di comportamenti inadeguati, in cui i diritti fondamentale degli altri oppure le norme e le regole della vita sociale vengono violate. I bambini che presentano disturbi della condotta si riconoscono facilmente in quanto sono la disperazione dei loro genitori, degli insegnanti e di tutti gli educatori in genere. Sono chiamati “bambini difficili” o “bambini terribili”, per evitare di utilizzare la denominazione di “bambini cattivi”, che comporterebbe un giudizio e una condanna morale.

 

Come denominare, d’altra parte, dei bambini litigiosi, che perdono facilmente il controllo, che hanno atteggiamenti aggressivi, vendicativi, rancorosi, che dicono bugie, che usano un linguaggio scurrile? Come giudicare dei bambini irritanti, che sembra provino gusto a violare le regole, sia in ambito familiare che scolastico ed extrascolastico? Bambini che sognano e, a volte, attuano delle fughe, che marinano la scuola? Come valutare dei bambini apparentemente insensibili per i danni arrecati agli altri, mentre sono pronti a sfidare e accusare coetanei ed adulti? Bambini che sembra non provino alcun sentimento di colpa o vergogna delle loro condotte deplorevoli? Bambini che, per evitare severe punizioni, sembra facciano finta di pentirsi e di avvertire sensi di colpa, per poi continuare a commettere gli stessi atti e assumere gli stessi comportamenti?

D’altra parte le punizioni, anche le più severe, come la espulsione dalla scuola o gli schiaffi della madre, o peggio le cinghiate del padre, in seguito alle loro bravate, sembrano non avere alcun effetto positivo. Il loro comportamento non si modifica, se non di poco e per breve tempo, dopodiché continuano ad aggredire, continuano a marinare la scuola, continuano a rubare e a dire parolacce.

In sintesi, i bambini che presentano disturbi della condotta possono presentare:

  •   scarsa attenzione per i sentimenti altrui;
  •   atteggiamenti disubbidienti, irritanti, di sfida e accusa;
  •   poco rispetto ed empatia verso i bisogni e le necessità degli altri e verso i loro oggetti;
  •   sentimenti di acredine verso chi ha fatto loro del male;
  •   atteggiamenti aggressivi e, a volte, crudeli verso le persone e gli animali;
  •   gioia e godimento nel distruggere, far dispetto o del male agli altri: male fisico con violenze e, a volte, lesioni gratuite o provocate da atti assolutamente irrilevanti, ma anche male morale, in quanto nell’età dell’adolescenza questi ragazzi possono trascinare gli altri, “i buoni”, in atti e condotte deplorevoli: come il bere eccessivamente, il fumare, il fare baldoria;
  •   scarsa sensibilità nei confronti degli atteggiamenti educativi autoritari e punitivi;
  •   presenza frequente di linguaggio scurrile.

I ragazzi più grandi che presentano disturbi della condotta, sono quelli che più marinano la scuola, ed è anche per questo che hanno minori competenze cognitive; sono quelli che più facilmente fuggono di casa e, a volte, trascorrono la notte fuori casa; possono compiere vari gesti delinquenziali: furti, scippi, estorsioni, prepotenze e atti di bullismo nei confronti dei coetanei, violenze sessuali, imbrattamento di muri, danneggiamento dei monumenti, frodi, furti ecc.

A causa dei loro comportamenti questi minori sollecitano atteggiamenti di rifiuto, non accettazione ed isolamento sia dagli adulti, come i genitori e gli insegnanti, sia, a volte, anche dai compagni, quando i loro comportamenti disturbanti e aggressivi si rivolgono verso di essi.

La gravità di questi sintomi può essere molto varia, per cui il disturbo della condotta può essere classificato come: lieve, medio o grave, in base al numero, alla tipologia e all’intensità con i quali si presentano i comportamenti disturbanti del bambino. Il numero di minori ai quali viene diagnosticato un disturbo della condotta appare nettamente aumentato negli ultimi decenni.

Le cause

Cause neurobiologiche

Viene ipotizzata una predisposizione genetica in quanto, almeno uno dei genitori presenta spesso un disturbo analogo e tra gli ascendenti e collaterali sono presenti disturbi psicopatologici: quali dipendenza da alcool, disturbi dell’umore e schizofrenia.[1]

Cause ambientali

Queste cause assumono un significato preminente[2]. Se si scava nella vita intima di questi minori, ci si accorge che, anche senza volerlo, è stato fatto loro o ancora viene fatto del male.

A volte si scopre che hanno subìto del male fisico, ma il più spesso è stato fatto loro del male psicologico: “rifiuto e abbandono da parte dei genitori, […] norme contraddittorie di educazione con disciplina rigida, maltrattamento fisico e sessuale, mancanza di sorveglianza, inserimento precoce in istituzioni, frequenti cambiamenti delle persone che si prendono cura del soggetto,[…] rifiuto da parte dei coetanei, esposizione alla violenza da parte del vicinato.[3]  Anche per Bowlby,[4] questi disturbi nascono quando il bambino è sottoposto a un’eccessiva pressione. Cosicché deve usare massicciamente le sue manovre difensive per fronteggiare l’ansia.

Tali pressioni possono scaturire dalle malattie organiche, da un impedimento fisico, dalla povertà delle doti intellettuali e da molte altre circostanze ambientali: rifiuto e ostilità aperta da parte dei genitori, illegittimità, perdita delle cure materne. Per Wolff, [5] a volte un genitore di questi bambini, spesso la madre, ha un atteggiamento ambivalente: da una parte rimprovera il figlio per il suo comportamento, dall’altra, senza esserne consapevole, lo incoraggia. Vi è pertanto in queste madri incoerenza o inconscia permissività. Alcune perdonano per anni un comportamento delinquenziale prima di agire sul figlio in maniera inaspettata, e spesso lo fanno solo quando il suo comportamento ha attirato sulla famiglia l’attenzione pubblica.

Altre cause possono ricercarsi nella tensione sotterranea o nell’aperto conflitto genitoriale. Questi minori sono spesso il campo di battaglia o le armi usate nei conflitti tra i coniugi, quando questi non riescono a tenere lontani i propri figli dal loro comportamento conflittuale.

Altri genitori, infine, nel campo della disciplina non riescono a sviluppare adeguatamente il super-ego dei loro figli [6].

In definitiva, la sofferenza subita da questi bambini provoca la loro scarsa tolleranza alle frustrazioni, la iperreattività e la rabbia interiore, che li stimola a tale tipo di comportamenti. A questo punto si innesca quasi sempre un circolo vizioso: più loro presentano dei comportamenti irritanti, aggressivi e distruttivi, più gli altri li puniscono, manifestando atteggiamenti di rifiuto, condanna morale, isolamento, non accettazione ed esclusione. Questi atteggiamenti, a loro volta, accentuano la loro frustrazione, la loro rabbia, con conseguente aumento dei disturbi della condotta.



[1] Militerni R., (2004), Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, p. 325.

[2] Militerni R., (2004), Neuropsichiatria infantile, Napoli, Editore Idelson Gnocchi, p. 325.

[3] DSM – IV – TR, (2005), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Masson.

[4] Bowlby  J., (1982), Costruzione e rottura dei legami affettivi, Milano, Raffaello Cortina Editore, p. 48.

[5] Wolff S., (1969), Paure e conflitti nell’infanzia, Roma, Armando - Armando Editore, p. 164.

[6] Wolff S., (1969), Paure e conflitti nell’infanzia, Roma, Armando - Armando Editore, p. 164.

Interventi nei disturbi del comportamento

 Nei disturbi del comportamento spesso gli operatori e i genitori si chiedono se e come intervenire. Se è bene punire o consolare. Se avere un atteggiamento indifferente o permissivo.

Come abbiamo detto parlando dei vari sintomi, ognuno di questi può avere più motivazioni. È importante scoprire qual è quella corretta. Se il disturbo del comportamento scaturisce da problematiche psicoaffettive del minore è assolutamente inutile basare il nostro intervento sulle punizioni, sui rimproveri o sui castighi. Queste misure non farebbero che peggiorare i suoi vissuti interiori, già notevolmente disturbati.

Un bambino con molti problemi psicologici difficilmente potrà comportarsi in modo esemplare! Per ottenere dei miglioramenti sul piano del comportamento è necessario fare in modo che il bambino acquisti maggiore serenità e fiducia negli altri e in se stesso. Bisogna, quindi, impegnarsi a migliorare la sua autostima, ma anche la fiducia nei suoi genitori, o comunque in qualche adulto dal quale possa introiettare un’immagine positiva.

Se invece riteniamo che a questo bambino sia mancata una guida efficace, la presenza di un adulto autorevole, ma anche affettuoso, potrebbe ottenere dei buoni risultati in breve tempo. Quando manca ai minori un adulto che dia loro delle precise regole, essi si sentono come abbandonati a se stessi. Pertanto le manifestazioni di ostilità, prepotenza e aggressività vanno affrontate e contenute dall’adulto, pur senza atteggiamenti repressivi. Il controllo esterno tranquillizza il bambino e gli dà la possibilità di imparare a controllare la propria ostilità e di adattare i propri desideri alla realtà che lo circonda. In tal modo egli si sentirà maggiormente protetto dai suoi stessi impulsi, dall’ansietà e sensi di colpa che tali impulsi comportano.

Questi interventi necessitano però del massimo rispetto. I bambini non vanno né umiliati, né ridicolizzati. Inoltre, se vengono stabilite delle regole chiare e precise la necessità di punizioni è ridotta al minimo. Quando un divieto non viene rispettato è bene manifestare dispiacere in modo sincero e disapprovare non il bambino ma l’azione che egli ha compiuto. Se poi viene spiegato al bambino cosa comporta o può comportare il suo comportamento errato e quale invece sarebbe stato il comportamento corretto, è più facile che egli impari a comportarsi meglio.

Vi è un’altra condizione della quale si parla poco, ed è quella nella quale lo stesso bambino presenta numerosi disturbi del comportamento con una persona, ad esempio, il padre, ma non con un’altra, ad esempio, con la madre o con la nonna. Allo stesso modo un disturbo del comportamento si può manifestare in un ambiente,  ad esempio a scuola ma non a casa o viceversa. In questi casi è evidente che l’impegno terapeutico dovrà necessariamente essere rivolto prevalentemente a queste persone o a questo ambiente, piuttosto che al bambino.

Le punizioni

 

Sappiamo che è illusorio pensare di potere fare a meno delle punizioni; ma quando i genitori sono autorevoli e la loro linea educativa è chiara, precisa e ferma, quest’evenienza si dovrebbe presentare raramente. Nel caso in cui questo non avviene, per cui si nota che i comportamenti errati sono troppo frequenti, bisogna necessariamente chiedersi se lo stile educativo utilizzato sia corretto.

Le punizioni, per non essere inopportune, devono essere giuste, equilibrate e limitate nel tempo e devono inserirsi in un disegno educativo sereno e lineare.

Le punizioni possono essere inopportune per vari motivi:

  • quando il bambino a causa della sua età o maturità intellettiva o affettiva non ha ancora la consapevolezza della mancanza fatta;
  • quando non è in grado di controllare efficacemente le proprie azioni. Ad esempio, a causa della presenza di problematiche psicologiche;
  • quando il bambino non aveva alcuna intenzione di trasgredire, per cui la mancanza evidenziata è stata causata da un evento occasionale;
  • quando i genitori non avevano stabilito una norma chiara e precisa. Spesso le punizioni nascono in quanto il bambino non sa esattamente quali sono i propri diritti e i propri doveri.
  • quando la punizione nasce da uno sfogo di malumore o da un momento di collera, da paure o ansie immotivate o da stanchezza dei genitori o degli educatori;
  • quando i limiti e i divieti imposti al bambino sono eccessivi;

È bene evitare le punizioni fisiche in quanto, mediante questo tipo di punizioni, si ottiene sì una immediata docilità e remissività da parte del bambino, accompagnata dall’istantanea interruzione del comportamento inopportuno messo in atto, ma non viene raggiunto l’obiettivo più importante, rappresentato dal mantenimento del comportamento adeguato nel tempo, anche in assenza dei genitori.

Dice la Bonino[1]:

“… è bene ricordare che le punizioni fisiche sono del tutto inutili per recuperare autorevolezza e insegnare ai bambini a comportarsi in modo positivo. Non servono per ottenere il rispetto delle regole di convivenza e sono anzi controproducenti. La punizione fisica, anzitutto, insegna ai bambini che i problemi si risolvono con l’aggressione, cioè con la legge del più forte. In questo modo non imparano a risolvere le situazioni difficili, e soprattutto non imparano ad affrontare i conflitti in modo costruttivo, con soluzioni meno primitive e capaci di appianare davvero i problemi di convivenza: i bambini non possono imparare a non picchiare se vengono picchiati”. Inoltre spesso la punizione fisica è frutto di esasperazione, irritazione, o stanchezza, è quindi frutto di una reazione impulsiva, per cui non ne risulta alcun apprendimento.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -Volume unico

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[1] Bonino  S., (2012), “L’assurdità delle punizioni fisiche:  Ti picchio per insegnarti a non picchiare”, Psicologia contemporanea, gennaio-febbraio, p. 34.

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