Le violenze sui minori

Le violenze sui minori

 

Non è difficile avere l’immagine mentale dell’aggressività. Essa è fatta di occhi iniettati di sangue a cui segue il bisogno di colpire e fare del male a qualcuno, come può essere una persona o un animale, ma anche a qualcosa, come può essere un oggetto da rompere o distruggere. Essa è fatta di parole che bruciano e scottano più del fuoco, mentre riescono a sconvolgere e atterrire chi le ascolta, più delle azioni. Essa è fatta di gesti che arrecano sofferenza e dolore o che mimano la sofferenza e il dolore che si vorrebbe infliggere all’altro.

Sono occhi e gesti capaci di ferire, lacerare, rompere, distruggere. L’aggressività è fatta, quindi, di comportamenti, che tendono da una parte a far aumentare nell’altro la paura, l’ansia, la frustrazione ed il disgusto, dall’altra servono a scaricare un bisogno interiore di cui a volte ci si vergogna e ci si pente, mentre altre volte si gode degli atti compiuti. Essa è fatta di pensieri e desideri distruttivi che possono arrivare fino ad agognare la morte della persona odiata.

L’aggressività fa parte delle componenti umane e accompagna gli animali e gli uomini fin dalla loro nascita. Dobbiamo, allora, distinguere un’aggressività fisiologica, come quella presente nella collera usata soltanto per difendere il proprio corpo, la propria vita, i propri diritti, i propri bisogni e le persone amate, da un’aggressività patologica, che si mette in moto in occasioni ed in situazioni nelle quali non vi è alcuna minaccia diretta o indiretta verso la persona o verso gli oggetti da questa amati.

 

Non è difficile che un ambiente irritabile e collerico diventi anche un ambiente aggressivo e violento nel quale un minore possa subire maltrattamenti di ogni tipo.

Vi sono fondamentalmente due tipi di maltrattamento:

 

Intanto vi è un maltrattamento psicologico fatto di reiterate violenze verbali o di un’eccessiva pressione psicologica sul minore mediante un’elevata presenza di critiche e rimproveri per ogni suo gesto e per ogni suo comportamento (stile ipercritico). In questi casi il bambino psicologicamente maltrattato è spesso svalutato, schernito, deriso, umiliato e terrorizzato con minacce e punizioni eccessive, prolungate ed ingiuste. Questi genitori e adulti difficilmente notano i comportamenti positivi ed adeguati del bambino, mentre sono sempre pronti a sottolineare ed evidenziare ogni suo errore o difetto. Il minore avverte di essere affettivamente respinto dai genitori e familiari che usano dei comportamenti e dei modelli relazionali che portano la vittima a pensare che valga poco, o che non sia amata e desiderata.

 

Nel maltrattamento fisico, che spesso si associa a quello psicologico, la vittima presenta le conseguenze delle percosse sotto forma di lividi, ematomi, lesioni cutanee, fratture e bruciature, in varie parti del corpo. Queste lesionipossono essere dal punto di vista fisico lievi, quando non necessitano di ricovero; di grado medio, quando è necessario il ricovero ma non vi è pericolo di vita per il bambino; gravi quando il bambino è in serio pericolo di vita o lamenta delle conseguenze importanti sul piano dell’integrità fisica.

Sono più frequentemente maltrattati i minori disabili i quali sono 1,7 volte più a rischio dei bambini normali. E tra questi sono maggiormente abusati i maschi.

Le conseguenze psicologiche del maltrattamento sono numerose e spesso gravi, in quanto è una grave frustrazione e trauma non essere amato e accettato. Per tali motivi si può avere un blocco nell’evoluzione psicoaffettiva del minore, con alterata organizzazione del sé. Frequente è la presenza di un pianto costante, la sfiducia in se stesso ma anche la difficoltà a fidarsi degli altri e, conseguentemente, il rifiuto di contatti fisici o di approcci relazionali. Non mancano le paure e quindi l’eccessiva attenzione ai pericoli dell’ambiente circostante. I bambini oggetti di abuso è come se stessero sempre in guardia contro gli altri. Sono presenti, inoltre, crisi di panico, disturbi dell’apprendimento, dello sviluppo intellettivo, del linguaggio. In questi bambini si può evidenziare una maggiore vulnerabilità alle malattie e la presenza di legami di attaccamento insicuri. Per un certo periodo i minori maltrattati possono presentarsi timidi e remissivi, ma in seguito, soprattutto nella fase adolescenziale, vi è il rischio che diventino, a loro volta, aggressivi e arroganti verso i più piccoli e deboli: “Gli adolescenti che hanno subito abusi da piccoli hanno più del 50% di probabilità di commettere reati violenti rispetto ai loro coetanei, cosa che dipende anche dalla loro frequenza in ambienti degradati”.[1]  Inoltre i bambini maltrattati diventati adulti è facile che, a sua volta, maltrattino i loro figli, per cui il maltrattamento è un fenomeno ripetitivo, che viene trasmesso da una generazione all’altra. Secondo lo stesso autore si potrebbe pensare ad un effetto epigenetico.

“Finora le conseguenze dell’abuso venivano assimilate a quelle legate ad altre forme di grave stress, le quali comportano un’attivazione dell’ipotalamo e dei surreni che producono in forte quantità il cortisolo, l’ormone che caratterizza, insieme ad altre molecole, la reazione a fattori stressanti. Ora però, i risultati di una recente ricerca indicano che gli effetti dell’abuso fisico e sessuale infantile, possono essere ben più gravi di altre forme di traumi o stress e lasciare una vera e propria “impronta genica” che può alterare il funzionamento del cervello, in particolare della corteccia frontale, attraverso dinamiche di tipo “epigenetico”. Il termine “epigenesi” sta ad indicare che i fattori ambientali possono far sì che i geni si comportino (o meglio si esprimano) in modo diverso, senza che i geni stessi si modifichino”.[2]

Le cause delle violenze fisiche da parte degli adulti verso i bambini possono essere diverse. Vi sono:

  1. 1.      Cause educative
  2. 2.      Cause sociali
  3. Cause personali
1.      Cause educative

Queste nascono da una risposta educativa eccessiva e sproporzionata da parte degli adulti a situazioni che possono essere presenti in tutte le famiglie e in tutti i luoghi dove sono presenti dei minori i quali, proprio per la loro età e per lo scarso controllo motorio ed emotivo, possono essere fastidiosi, pasticcioni, rumorosi ecc. Pertanto i maltrattamenti sui bambini possono esercitarsi sia in famiglia sia presso le istituzioni cosiddette “educative” e di “cura e sostegno alle famiglie”, soprattutto quando, come negli asili nido e nei centri per bambini disabili, gli ospiti di queste istituzioni non sono in grado di denunciare le violenze subite, a causa dell’età o degli handicap presenti.

In alcuni di questi ambienti i maltrattamenti fisici e psicologici possono essere utilizzati in maniera sistematica allo scopo di adeguare o correggere i comportamenti dei minori ritenuti pericolosi o non opportuni e adeguati al vivere sociale. Per fortuna, mentre in passato l’uso dei maltrattamenti fisici era frequente e sistematico, attualmente tali comportamenti sono nettamente diminuiti, in quando si è compreso che la violenza fisica stimola delle reazioni emotive che impediscono al bambino la interiorizzazione delle norme. In definitiva il bambino esegue quanto richiesto non perché ne sia convinto ma solo per evitare la punizione ed il dolore fisico. Pertanto, nel momento in cui pensa che può evitare la punizione, ritorna ad utilizzare il comportamento primitivo.

2.      Cause sociali

 Spesso i maltrattamenti fisici e psicologici si attuano per altri motivi che nulla hanno a che fare con le necessità educative. Possono provocare comportamenti aggressivi e violenti lo stress e l’eccessiva tensione nervosa, causati da rapporti coniugali o familiari conflittuali; da sovrabbondanti impegni lavorativi; da difficoltà economiche; da isolamento ed emarginazione dal contesto sociale; da condizioni abitative inadeguate; da presenza di famiglie monoparentali (ragazze madri, genitori single, divorziati, vedovi). Inoltre, oggi che i rapporti sentimentali sono spesso allargati ad amanti e “amici particolari”, la tensione interiore e l’eccessivo stress possono essere causati dalle difficoltà e dalle frustrazioni nel gestire questi legami alternativi, che presentano notevoli caratteristiche di variabilità e fluidità, ma che, sul piano emotivo, possono essere altrettanto coinvolgenti dei legami duraturi e stabili.

3.      Cause personali

In alcuni casi l’aggressività sui minori può essere provocata da adulti che presentano problematiche psicologiche, esistenziali e sociali. Questi adulti gestiscono con notevoli difficoltà le normali attività di cura necessarie per un bambino. Queste difficoltà si ampliano notevolmente quando il minore presenta delle problematiche, come patologie neonatali, malattie croniche, disabilità fisiche e psichiche, gravi problemi dell’apprendimento, pianto continuo, disturbi delle condotte alimentari, eccessiva irrequietezza, comportamenti distruttivi e violenti. Non vi è dubbio che la difficile gestione di queste ed altre problematiche comporti, nei genitori o nelle persone più immature e psicologicamente fragili che hanno in cura il bambino, uno stato di stress il quale, travalicando facilmente le loro capacità di autocontrollo, si trasforma in atteggiamenti o comportamenti aggressivi e rabbiosi. Questi atteggiamenti, è bene dirlo, spesso non sono né voluti né desiderati, tanto che lasciano nell’animo di questi adulti notevoli sensi di colpa che aggravano la loro precaria ed instabile condizione psichica.

Gli adulti che nel loro rapporto educativo più facilmente tendono ad effettuare violenza sui minori, in quanto non sono in grado di gestire le proprie emozioni ed i propri impulsi aggressivi e distruttivi, presentano spesso problematiche psicologiche e sociali di vario tipo: carenze affettive e relazionali, disturbi notevoli della personalità, tossicodipendenza, malattie nevrotiche o psicotiche, disadattamento sociale. Nella loro storia personale ritroviamo frequentemente conflitti e crisi coniugali, separazioni, condizioni socio-economiche scadenti, emigrazione, coinvolgimenti giudiziari, assenza di valori di riferimento.

La stessa difficoltà nel controllo delle pulsioni aggressive è stata evidenziata nei genitori o familiari troppo giovani o, al contrario, troppo avanti negli anni e nelle famiglie monoparentali.

I racconti di Marcello

 I racconti di Marcello, un bambino di sei anni, sono un vivido ritratto dell’ambiente familiare e scolastico nel quale viveva e con il quale era costretto a relazionarsi giornalmente.

 

Primo racconto

C’era una volta un deficiente che si chiamava Gianmarco. Un giorno la madre gli ha detto: “non buttare quella pianta se no ti ammazzo”, lui che era un deficiente è andato in balcone e butta la pianta sotto, e pensa: “Ora mia mamma mi ammazza”. C’era un aeroplano e disse: “Ancora peggio perché la pianta può rompere l’aeroplano”. L’aeroplano si è schiantato nel palazzo sono morte duemila persone. La madre disse: “È andata la casa a fuoco?”, e il bambino disse di sì. La madre l’ha buttato dalla finestra.

Secondo racconto

C’era una volta il mio compagno Stello. Una volta aveva fatto una scemenza stupida -stupida. Noi abbiamo un balcone a scuola. Lui ha fatto uscire la maestra, ha preso le piante e le ha buttate fuori. E la maestra lo ha rimproverato e mandato dal direttore. Una volta ha fatto lo stupido e la maestra ha chiamato la madre che lo stava ‘miscando” (picchiando). Lui è entrato come un cagnolino. Il direttore ha chiamato la mamma, che gli ha alzato le mani e lui è morto. Lo hanno sepolto a scuola e ai funerali hanno chiamato anche le autorità degli Stati Uniti.

Terzo racconto

C’era una volta Cristiano Bestia. Un giorno è voluto andare dalla maestra e gli ha chiesto: “Posso andare in bagno?” E la maestra gli dice: “No! Te lo scordi!” E poi Cristiano si fa la pipì addosso. Hanno dovuto chiamare i pompieri e gli hanno dato una mutanda dei pompieri. Stava scrivendo un compito di matematica e doveva fare 1+1, lui pensa quanto fa e scrive 1000. Così la maestra di matematica lo ha sbattuto fuori e gli ha rotto la testa. La maestra ha chiamato sua mamma e gli ha detto: ”Lo scriva in un’altra scuola!” Sua mamma è grossa e a Cristiano gli ha dato una botta facendolo sbattere (fuori) dalla finestra. Sotto c’era un’autombulanza, l’hanno messo lì e ricoverato al pronto soccorso. Era tutto rotto tranne il cuore. L’hanno dimesso sulla sedia a rotelle. È tornato a scuola e gli ha chiesto di nuovo alla maestra se poteva uscire e la maestra gli ha dato un altro schiaffo e l’hanno ricoverato di nuovo. Ritornato di nuovo a scuola con la sedia a rotelle, ha chiesto di nuovo di uscire, l’hanno sbattuto al muro e alla fine muore.

Quarto racconto

C’era una volta Stello e sua madre, che erano andati al mare e poi Stello ha chiesto alla madre se poteva fare il bagno ed è annegato, perché non sapeva nuotare. Sua mamma lo ha chiamato: “Vieni qui cretino!” E gli ha dato una timpulata (uno schiaffo), e così lui è morto nel mare. C’era il suo fantasma, sua mamma si è spaventata e gli ha dato un calcio. Lui è morto di nuovo e la cosa si è ripetuta tante volte.

Quinto racconto

C’era un ragazzo di nome Giacomo di un anno. La mamma esce a fare la spesa il bambino accende il fornello e incendia tutta la casa. Poi si arrampica al balcone e si butta giù, facendosi malissimo al cervello. Il pompiere arriva e dice: “Ma che cavolo fai?” Muore. Lo portano in chiesa e al cimitero. Poi il suo fantasma ripercorre la stessa storia per duecento volte e poi muore per sempre.

Sesto racconto: Desiderio di adozione

“C’era una volta un bambino che si chiamava Marco e si era perso. Un giorno ha trovato una casa e ha pensato di entrarci. C’erano tante cose vecchie e poi è uscito a giocare. Poi si è annoiato e se ne andato nel bosco. Nel bosco c’erano un maschio e una femmina grandi. Hanno trovato questo bambino ed hanno pensato di adottarlo. Sono tornati a casa e il bambino non era più solo”.

I racconti di Marcello non hanno bisogno di molti commenti, in quanto la quotidiana realtà di un certo tipo di scuola e di famiglia ne esce vivida e realistica: le botte, gli schiaffi, le aggressioni fisiche e verbali descrivono un ambiente e dei comportamenti educativi sicuramente poco consoni allo sviluppo di un bambino di sei anni. Come si può notare dai racconti, gli adulti: la madre, l’insegnante, il direttore, non sono mai sotto accusa. Sotto accusa sono gli stessi bambini, cioè le vittime. Come dice Giancarlo Tirendi: “L’odio provato per il genitore maltrattante verrà spostato su altri oggetti, consentendo così di conservare una buona relazione con il padre (o la madre) a livello cosciente”.[3]

L’ultimo racconto è però molto diverso dagli altri. In questo il protagonista: Marco, sente prepotentemente il bisogno di allontanarsi dalla sua famiglia nella quale vi era un clima violento. Tanto che inizialmente si accontenta di restare da solo. Solo successivamente emerge il desiderio di cercare una coppia di genitori diversi dai suoi che possano adottarlo.  

Lupi travestiti d’agnelli

“C’era una volta un lupo che passeggiava e in giro c’era un agnellino. Questo lupo si nascondeva e diceva all’agnellino: “Sei carino e bellino e da mangiare!” L’agnellino impaurito, va dai genitori che poi vanno a chiedere spiegazioni al lupo: lui risponde che non è vero che voleva mangiarlo.

Il lupo esce dalla tana, va dall’agnellino e gli dice: “Hai detto ai tuoi genitori che ti voglio mangiare?” “Sì dice l’agnellino”. Poi arriva il cucciolo del lupo e dice al padre che non può mangiare l’agnellino perché sennò i genitori dell’agnellino lo cercheranno. Così il lupo grande non lo mangia. Così gli dice il lupo piccolo: “L’agnellino è mio amico, se voglio te lo faccio mangiare”. Una sera spunta il lupo, l’agnellino era con i genitori. Il lupo saluta i genitori e loro ricambiano. I genitori volevano sapere come mai lui non avesse mangiato l’agnellino, perché i genitori erano anch’essi dei lupi travestiti da agnelli. Alla fine si sono tolti i travestimenti e hanno mangiato tutti l’agnellino.

Da notare intanto in questo racconto di un altro bambino, Tonino, come le parole più frequenti siano: “lupi, mangiare ed agnellino”. Queste tre parole colorano di notevole, incredibile violenza e angoscia tutto il racconto. La seconda cosa da evidenziare è che i personaggi hanno continuamente degli atteggiamenti ambivalenti: a volte sembra vogliano proteggere la piccola, fragile vittima, mentre in altri momenti la tradiscono o sono ansiosi di aggredirla e sbranarla o farla sbranare. Pertanto, insieme alla paura della violenza estrema nel bambino: l’essere mangiato, pur essendo buono, piccolo e docile come un agnellino, vi è l’assenza di ogni speranza e di ogni fiducia negli altri, anche nei cosiddetti “amici” che sono pronti in ogni momento a tradirti. Il lupacchiotto che sembra proteggere in un primo momento l’agnellino (Poi arriva il cucciolo del lupo e dice al padre che non può mangiare l’agnellino perché sennò i genitori dell’agnellino lo cercheranno) un momento dopoè pronto a darlo in pasto alle sue fauci (L’agnellino è mio amico, se voglio te lo faccio mangiare). Questa sfiducia si allarga, in un terribile crescendo, anche ai propri genitori! (perché i genitori erano anch’essi dei lupi travestiti da agnelli. Alla fine si sono tolti i travestimenti e hanno mangiato tutti l’agnellino).

Tutto ciò rispecchia le realtà interiori di questi bambini i quali, in seguito ai comportamenti dei genitori e degli adulti aggressivi, perdono ogni punto di riferimento affettivo e ogni sicurezza nell’ambiente che li circonda. Quali certezze avere, su chi e su che cosa poter contare e avere fiducia, quando le persone che lo picchiano frequentemente nei momenti di irritazione ed insofferenza sono le stesse che in altri momenti lo hanno abbracciato, baciato e consolato?

Un cuore stanco di essere picchiato.

Le violenze subite da Daniela prima dell’adozione si riflettono in questa storia:

“C’era una volta un cuore che era stanco di essere picchiato dai suoi genitori. Lo picchiavano perché combinava guai. Il cuore è andato via e si è sposato, ha avuto dei figli: una si chiamava Emanuela e l’altro si chiamava Marco. Dopo ha avuto una famiglia tanto bella perché andavano d’accordo e non picchiavano mai i figli, ( a me non piace quando picchiano i figli!) E vissero tutti felici e contenti.”

 

Innanzi tutto è da notare come la bambina metta in evidenza non il dolore del corpo che subisce le botte dei suoi genitori ma il cuore (c’era una volta un cuore che era stanco di essere picchiato dai suoi genitori), come a voler sottolineare che la cosa che soffre di più, in seguito alle violenze subite è soprattutto l’animo del bambino. Anche questa bambina, almeno in parte giustifica queste violenze (lo picchiavano perché combinava guai). La bambina cerca di sfuggire a questo ambiente violento, sognando di sposarsi ed avere dei figli e quindi avere una famiglia propria nella quale non si picchiano i bambini ed i genitori vanno d’accordo. Famiglia che rispecchia, in realtà, quella adottiva dove la bambina ormai viveva (Dopo ha avuto una famiglia tanto bella perché andavano d’accordo e non picchiavano mai i figli).

 

Possibili conseguenze  sui minori

 

  1. Qualsiasi forma di violenza può comportare nella personalità in formazione, delle conseguenze psicologiche e relazionali a breve, medio e lungo termine, sul processo di crescita e, conseguentemente, dei disturbi psicopatologici o devianze nell'età adulta. I bambini sottoposti a frequenti episodi di aggressività e/o violenza, evidenziano spesso paure, tristezza, irrequietezza, scarso rendimento scolastico, disturbi dell'attenzione, perdita di fiducia in se stessi ma anche negli altri, senso d’impotenza, disperazione, tendenza all’isolamento, difficoltà nelle relazioni intime. I sintomi più gravi possono presentarsi sotto forma di amnesie, alterazioni dello stato di coscienza, disforie, autolesionismo, rabbia esplosiva o inibizione.
  2. Per quanto riguarda la gravità del danno causato da un ambiente violento, questa è tanto maggiore quanto più piccolo è il bambino e quanto più duratura è l’esposizione all’ambiente traumatico. L’esperienza ci dimostra però che se si riescono a modificare, mediante interventi opportuni, le condizioni nelle quali vive il bambino, i disturbi presentati dal minore recedono rapidamente anche se non completamente.
  3. Per quanto riguarda le dinamiche che si realizzano in seguito ai comportamenti aggressivi da parte dei genitori o da parte degli altri educatori ed adulti con i quali è in contatto il bambino, si possono configurare varie situazioni:

 

  • Intanto vi può essere un’accettazione del giudizio negativo dato dagli adulti: “Se i miei genitori, la mia insegnante o i miei nonni, mi puniscono così frequentemente e così severamente, devo essere veramente molto cattivo”. Si può avere pertanto, da parte del bambino, una notevole perdita dell’autostima ed un’accettazione dell’immagine negativa che proviene dal suo alterato ambiente di vita.
  • In alcuni casi, viceversa, il bambino può pensare di essere lui “buono”, mentre invece ha dei genitori o dei familiari e altri educatori “cattivi”. In queste situazioni si può instaurare un problema di perdita. Un genitore, un padre o una madre sono per definizione buoni. Un genitore cattivo è un falso genitore, un finto genitore che non esiste o che, se esiste, è meglio che gli succeda qualcosa di grave, è meglio che muoia, così da non poter più nuocere. Ma poiché è difficile che questo tipo di desideri così punitivi e distruttivi, sia accettato dal super Io del bambino, è facile che per evitare gravi sensi di colpa, il suo Io cerchi in tutti i modi di rimuovere questi pensieri e desideri nell’inconscio. Pertanto, l’ansia consequenziale a questi pensieri negativi continuerà a persistere e si potrà manifestare mediante comportamenti e sintomi esattamente opposti al desiderio iniziale. Ad esempio, il bambino potrà evidenziare un’intensa paura che il papà, che è stato aggressivo con lui, muoia o si faccia del male. Questo timore lo potrà portare ad avere un’attenzione eccessiva e patologica nei confronti di questo genitore.
  • In altri casi questi desideri negativi e distruttivi possono condurre ad una grave disistima ma anche a comportamenti autopunitivi: “Se io ho pensieri di questo genere sono un pessimo bambino e quindi è giusto che soffra e che gli altri mi puniscano”.
  • Un’altra modalità utilizzata dai bambini quando avvertono che un genitore è “cattivo”, è quella di far coppia con l’altro genitore. “Se papà è cattivo, la mamma che è buona, ha bisogno di un uomo affettuoso e comprensivo accanto a sé: io voglio essere quest’uomo buono che vuole bene alla mamma senza mai farla soffrire o abbandonarla”. In questi casi il legame con la madre viene rafforzato e rischia di perpetuarsi anche nell’età adulta, quando dovrebbe essere sostituito da legami amorosi e affettivi vissuti all’esterno del nucleo familiare.
  • Vi è poi un’ulteriore modalità di vivere l’aggressività genitoriale che è quella di far propri i comportamenti educativi dei genitori e degli adulti pensando, erroneamente, che essere genitori ed adulti significa far soffrire i figli e i bambini a loro affidati. In questo caso viene ad essere compromesso nel bambino il suo futuro ruolo di genitore e di educatore. Pertanto, il danno ricevuto si trasferirà nel tempo ad altri esseri umani.
  • Inoltre, come nel racconto del lupo e dell’agnellino, il bambino osservando nei genitori e negli adulti dei comportamenti notevolmente contrastanti rischia di perdere ogni punto di riferimento affettivo e ogni sicurezza nei riguardi dell’ambiente che lo circonda.

 

 Le violenze esercitate da altri minori: il bullismo

Le violenze sui minori possono essere causate dagli adulti ma anche da altri minori.

Le violenze fisiche esercitate da altri minori possono essere causate da scontri fisici personali; da scontri tra gruppi e bande o da manifestazioni di bullismo.

Quest’ultimo tipo di violenza è stato sempre presente in ogni comunità: scuola, collegio o convitto, dove sono costretti a convivere molti bambini. In questi ambienti è facile che un altro ragazzo, o più spesso un gruppo di ragazzi, prenda di mira un coetaneo o un bambino più piccolo, immaturo e debole o con problemi fisici e/o psichici, mediante una serie di prepotenze e attacchi aggressivi, sia fisici sia verbali. Caratterizza, quindi, questo tipo di violenza, l’intenzionalità nel fare del male e il persistere nel tempo di queste azioni offensive da parte di uno o più minori della stessa età o più grandi, su uno o più minori.

La violenza viene esercitata mediante scherzi, beffe, esclusioni dal gruppo amicale, appropriazione e distruzione degli oggetti del bambino o dei bambini vittima dei compagni, ma anche da spintoni, minacce, insulti, ricatti e, a volte, violenze sessuali. La povera vittima è costretta a subire in silenzio tutto ciò, per timore di rappresaglie ancora più pesanti e dolorose. Non v’è dubbio che questo comportamento sia odioso ma, purtroppo, è molto frequente nelle scuole e in tutte le comunità dove bambini, ragazzi e giovani si ritrovano costantemente insieme.

Questi comportamenti a volte sono considerati degli scherzi innocenti, ma non sono affatto tali, in quanto possono causare, nel bambino o nel ragazzo che li subisce sofferenze notevoli fatte da frustrazione, senso di solitudine e di esclusione, disturbi psicosomatici, alterazioni del sonno, ansia generalizzata, attacchi di panico, difficoltà di concentrazione sulle materie scolastiche con conseguente calo nel rendimento scolastico, e, a volte, timori talmente intensi nel dover affrontare giorno dopo giorno i molestatori da spingere la vittima a rifiutare di andare a scuola. Queste odiose persecuzioni possono condurre ad uno scarso livello di autostima, concomitante ad una visione negativa di se stessi e delle proprie capacità, a depressione, insicurezza, a comportamenti autolesivi, al ritiro in se stessi, ma anche, per fortuna in rari casi, al suicidio.

Chi subisce prevaricazioni può, a sua volta, reagire in modo aggressivo nei confronti di altri coetanei sia per scaricare l’aggressività repressa a causa delle angherie subite, sia per recuperare prestigio all’interno del gruppo. Questi atteggiamenti persecutori possono essere già attuati nelle prime classi della scuola elementare ad un’età di sette-otto anni, ma possono essere presenti durante tutto il ciclo scolastico.

Il bullismo è appannaggio di entrambi i sessi, anche se i maschi tendono a perseguitare le loro vittime utilizzando soprattutto attacchi fisici: pugni, spintoni, schiaffi, pizzicotti, mentre le femmine, più frequentemente, tendono ad usare prevalentemente armi verbali e comportamenti di esclusione.

Purtroppo questo fenomeno non è legato a particolari ceti sociali, ed è particolarmente frequente in Italia. Come nota Fonzi[4]:

“Ciò che in primo luogo emerge è che il bullismo risulta in Italia molto più elevato che altrove, sia per quanto riguarda la percentuale dei prepotenti che quella delle vittime […,] In definitiva, l’alta incidenza del bullismo in Italia, se messa a confronto con quella degli altri paesi, sembra essere un fatto reale, che almeno in parte può essere ricondotto a differenze culturali. Noi riteniamo che nella nostra cultura le manifestazioni di conflitto siano più tollerate e che meno frequentemente portino alla rottura dei rapporti”.

Vi sono diversi tipi di bulli, così come vi sono diversi tipi di vittime.

Oliverio Ferraris e Olweus[5] distinguono:

  • il bullo aggressivo. È il più diffuso. Si presenta come un bambino fisicamente forte, impulsivo, sicuro di sé, con un forte desiderio di dominare gli altri. Appare come insensibile ai sentimenti altrui e considera la violenza come una cosa positiva. Questo tipo di bullo gode di grande popolarità tra i compagni e spesso si accompagna a dei gregari che gli danno man forte, in quanto, almeno inizialmente, suscita timore e ammirazione presso gli altri coetanei;
  • il bullo passivo o gregario . Questi non prende l’iniziativa di far del male alla vittima, ma appoggia e si aggrega ai bulli. Partecipa parzialmente e, qualche volta, si limita ad assistere. Non è particolarmente aggressivo, è sensibile ai sentimenti altrui e si sente in colpa dopo aver agito, cosicché è disponibile a confessare il deprecabile comportamento del gruppo dei bulli aggressivi;
  • il bullo ansioso. Èil meno sicuro e il più problematico. Può attaccare bambini e ragazzi più forti di lui, facendosi aiutare dai gregari, pur di poter esprimere, in qualunque modo, la sua aggressività.

Gli stessi autori distinguono due tipi di vittime:

  • le vittime passive. Queste sono rappresentate da bambini riservati, facili al pianto, senza amici, insicuri, ansiosi, fisicamente poco forti. Se si tratta di femminucce queste sono meno abili nel difendersi con le parole agli insulti, ai pettegolezzi e al vocio denigratorio delle compagne. Per cui tra il bullo e la vittima vi è sempre asimmetria per prestigio e per potere.
  • le vittime provocatrici. Queste vittime sono composte da bambini ansiosi, che si comportano in modo irritante e provocatorio. Questi minori appaiono più deboli dei bulli, sono impulsivi e sono anche capaci di attaccare, ma reagiscono in modi poco efficaci, diventando vittime dei compagni più prepotenti e più determinati di loro.

I minori che tendono a prevaricare sono descritti dai vari autori che hanno studiato questo fenomeno come bambini estremamente ansiosi e insicuri, che presentano indifferenza, scarsa empatia e mancanza di coinvolgimento emotivo nei confronti delle vittime. Bambini carenti di autorealizzazione e autostima, frustrati da esperienze scolastiche negative, con disordini cognitivi e socialmente incompetenti. Sono descritti, inoltre, come bambini alla ricerca di un rinforzo compensativo a causa di inadeguato soddisfacimento di uno o più bisogni interiori. Questi minori hanno genitori che, pur usando e abusando nell’imporre la disciplina di punizioni fisiche, non riescono in alcun modo a contenere i comportamenti aggressivi dei figli. Censi[6]  nota che nel bullismo “il venir meno di finalità socialmente apprezzate e di un sistema forte di obiettivi può condurre a forme di apatia emotiva. Un analfabetismo dei sentimenti che può condurre ad azioni deprivate di principi: l’indifferenza programmata, la violenza immotivata, la sopraffazione insensata”.

Le vittime sono descritte da Giorgi e altri[7] come “prudenti”, piuttosto “sensibili” e genericamente “tranquille”. Quando gli alunni-vittime sono di sesso maschile tendono ad essere fisicamente meno prestanti e più deboli, a livello di forza fisica, dei loro aggressori.

Interventi

 Sappiamo che gli interventi da parte dei docenti e delle autorità scolastiche sono difficili, in quanto i ragazzi vittima di bullismo, non avendo molta fiducia nell’aiuto degli adulti non sempre sono disposti a denunciare gli abusi subiti. Ma anche quando questo avviene i docenti si trovano in difficoltà in quanto poco o nulla ottengono punendo con maggiore severità gli aggressori, mentre non riescono a coinvolgere i loro genitori, per definire un’azione educativa concordata, in quanto questi tendono spesso a difendere e proteggere i comportamenti dei loro figli in ogni caso e con tutti i mezzi, per evitare di sentirsi in colpa loro stessi.

Gli interventi da predisporre per affrontare questa problematica devono necessariamente tener conto di alcuni elementi:

  1. Le manifestazioni aggressive hanno quasi sempre un substrato fatto di errori nello stile educativo ma anche e soprattutto nascono da ambienti familiari scarsamente idonei allo sviluppo di un minore. Il piacere di far del male ad una persona più debole, l’apparente insensibilità verso la sua sofferenza presuppongono, quindi, molto spesso, la presenza di disturbi psicoaffettivi capaci di minare la normale sensibilità del bambino. È allora necessario innanzitutto affrontare, con l’aiuto di esperti neuropsichiatri e psicologi, la patologia che sottostà a questo tipo di comportamenti.
  2. Quando questi bambini aggressivi avvertono che gli altri non li considerano bambini “cattivi” ma bambini che per vari motivi manifestano in questo modo la loro sofferenza, il loro atteggiamento cambia sostanzialmente in quanto sentono che qualcuno è interessato finalmente al loro malessere e non soltanto a quello che essi procurano agli altri, con i loro comportamenti.
  3. Il rapporto con la famiglia del bullo non dovrebbe consistere nel raccontare ai loro genitori le malefatte del figlio, in quanto ciò contribuirebbe a metterli ancora più in crisi, peggiorando il loro già difficile rapporto con il figlio. Sarebbe importante, invece, aiutarli a meglio capire e aiutare il loro figlio mediante dei colloqui di supporto e di sostegno.
La violenza sessuale

Nell’ambito delle violenze sui minori bisogna includere le violenze sessuali

La sessualità, come tutte le altre funzioni umane, può essere vissuta con piacere e gioia, per cui può contribuire allo sviluppo del minore, oppure può essere avvertita con frustrazione, dolore, vergogna e delusione, tanto da rendere squallida e triste l’esistenza della persona.

L’essere umano è sessuato sin dalla sua origine. Egli già porta nei suoi geni, nei suoi ormoni, nella struttura anatomica del suo corpo, nel suo cervello, le caratteristiche specifiche di un sesso. Inoltre, il bambino, fin dalla nascita, vive in un mondo nel quale la sessualità sua e degli altri è sempre attiva e presente. Pertanto fin dalla nascita egli si relaziona costantemente con la sua sessualità o con quella degli altri. Fin dalla nascita la usa per provare piacere, per dare piacere, per incontrarsi, dialogare e relazionarsi con le persone che incontra come maschietto o come femminuccia. La sessualità, pertanto, condiziona notevolmente il rapporto che il bambino ha con se stesso e l’insieme di relazioni che egli ha con il prossimo. Il compito dei genitori e degli adulti, quindi non è quello di evitare o di concedere che il bambino si accosti alla sessualità, ma quello di permettere che il bambino sviluppi e utilizzi nella maniera più opportuna, le potenzialità insite in questa preziosa funzione.

Affinché si raggiungano questi obiettivi è necessario rispettare la sua normale evoluzione fisiologica, senza eccessivi controlli e limiti, ma anche senza eccessivi stimoli o atteggiamenti semplicistici e falsamente liberali, che ne svierebbero gli scopi e le funzioni. Il sano sviluppo della sessualità viene rispettato quando si permette al bambino di conoscerla, viverla ed esprimerla nei modi e nei tempi opportuni e caratteristici per l’età.

Si parla di abuso sessuale quando la vittima, alla quale manca la consapevolezza delle proprie azioni e la possibilità di scegliere, viene coinvolta in attività sessuali o assiste ad atti sessuali effettuati da altri. Gli abusi sessuali sul bambino possono essere attuati da genitori o altri adulti ma anche da fratelli e sorelle. Non sempre questi abusi sono manifesti, a volte sono mascherati da pratiche genitali come pulizie eccessive, visite ecc. Dovremmo, pertanto, essere consapevoli che la mancanza di rispetto per le possibilità e le capacità del bambino di gestire al meglio gli stimoli sessuali che lo circondano, può provocare dei gravi danni alla sua vita affettivo-relazionale e sociale. Inoltre, proprio perché l’uso o l’abuso della sessualità può condizionare la vita emotiva e sociale dell’essere umano, compito di tutti gli adulti responsabili, e non solo dei genitori, dovrebbe essere quello di aiutare il bambino a viverla nel modo più autentico e ricco possibile, evitando di involgarire e banalizzare una funzione così importante e basilare.

L’abuso sessuale comporta problemi legati alla sessualità, sintomi post-traumatici, riduzione della socialità, tendenza all’isolamento, scarse relazioni tra pari, mancanza di fiducia negli adulti, percezione di sé come diverso e così via.

Per quanto riguarda le persone che abusano non si tratta di “mostri” come spesso sono descritti ma di normali esseri umani che per situazioni di miseria morale e spirituale, svantaggio sociale, frustrazioni o inibizioni, carenza o mancanza di codici etici o per situazioni economiche particolarmente svantaggiate che costringono alla promiscuità in spazi ristretti, non riescono a controllare i propri impulsi sessuali. In altri casi si tratta di persone che ritengono, erroneamente, che non sia dannoso compiere atti e gesti di tipo sessuale nei confronti dei minori.

D’altra parte, così come sono da condannare i rapporti sessuali precoci con i coetanei e gli adulti, non importa se pedofili o no, si dovrebbero allo stesso modo condannare i contatti con immagini, parole, argomenti e scene nei quali il bambino viene posto di fronte a delle realtà, verso le quali non ha ancora la necessaria maturità per una corretta comprensione e gestione emotiva e sociale. Tra l’altro, questo continuo afflusso di scene, immagini e contenuti osceni o a chiaro sfondo sessuale, provenienti dai mass media, impedisce l’instaurarsi del periodo di latenza descritto da Freud, nel quale il bambino dovrebbe essere maggiormente assorbito dai compiti evolutivi associati all’apprendimento e alla scoperta del mondo

Per quanto riguarda gli aspetti legali degli abusi sessuali non è mai troppa la prudenza che si dovrebbe avere nell’accusare qualcuno di questi crimini, in quanto il danno che si può procurare ai singoli presunti colpevoli e alle loro famiglie è notevole, mentre d’altra parte non sempre la testimonianza dei minori è probante in quanto la memoria infantile può essere inquinata facilmente da conflitti inconsci, da esperienze pregresse, da fantasie, e dagli interventi degli adulti che lo interrogano, in quanto i piccoli accettano facilmente che il punto di vista dell’adulto sia più veritiero del loro e d’altra parte preferiscono non contraddire gli adulti, specie se queste sono delle figure di attaccamento.[8] Come dicono De Ajuriaguerra e Marcelli[9]: “…non vi è nulla di più difficile in questo campo del distinguere tra aggressione e fantasma di aggressione”.

Il primo caso che abbiamo dovuto affrontare di presunto abuso sessuale ne è un esempio:

Quando la nostra équipe fu chiamata d’urgenza dalla direttrice di una scuola elementare pensavamo si trattasse di uno dei soliti problemi di difficile gestione riguardanti qualche bambino particolarmente aggressivo e turbolento. Nel momento in cui l’inquieta direttrice ci espose il problema: una bambina di seconda elementare accusava il suo maestro di carezze intime, restammo per qualche momento sgomenti. Queste carezze venivano praticate, a detta della bambina, quando il maestro, per proiettare delle diapositive, oscurava l’aula abbassando le tapparelle.

Il primo dubbio su quanto raccontato dalla bambina l’avemmo conoscendo il nome del maestro. Questi aveva frequentato per qualche tempo la nostra équipe come volontario e quindi conoscevamo bene la sua serietà ed affidabilità. Il secondo e più importante dubbio nacque invece proprio dalle caratteristiche psicologiche della bambina, che avevamo seguito precedentemente per problemi relazionali e comportamentali. Inoltre conoscevamo anche la madre di questa, che era in cura presso il nostro servizio di salute mentale. Madre che aveva una vita turbolenta tanto che spesso si accompagnava a pagamento con amici generosi. Riuscimmo però a scagionare il maestro in modo definitivo solo quando potemmo appurare che mai il maestro aveva fatto vedere delle diapositive alla sua classe, mentre, d’altra parte le serrande da anni non potevano essere abbassate in quanto, essendo guaste, erano bloccate in alto.

Il maestro era stato, in questo caso, particolarmente fortunato perché vi erano tutta una serie di elementi che lo scagionavano subito e completamente. Ma quanti problemi legali avrebbe avuto e per quanto tempo se questo non fosse successo? In questo caso anche i motivi che avevano portato la bambina ad accusare il maestro erano facili da capire. Come può una figlia considerare in maniera serena e positiva gli uomini quando ogni giorno vedeva con i propri occhi come questi utilizzassero la madre solo per il proprio piacere?

L’incesto

Le relazioni incestuose possono coinvolgere il padre con la figlia, la madre con il figlio, il fratello con la sorella, ma esistono anche, sebbene più rare, relazioni incestuose di tipo omosessuale.

Le relazione incestuose, se da una parte possono provocare un danno genetico nella specie in quanto con l’aumentare della consanguineità tra i genitori aumentano le probabilità della comparsa di malattie ereditarie rare e recessive, dall’altra instaurano nel minore problematiche psicologiche che frequentemente si manifestano con l’instaurarsi di una personalità nevrotica, mentre nel contempo limitano la sua autonomia affettiva, sessuale e sociale.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" 

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A

[1] Oliverio A., (2008), “Abusi e DNA”,  Mente e cervello, , psicologia contemporanea, settembre-ottobre, p. 69.

[2] Oliverio A., (2008), “Abusi e DNA”,  Mente e cervello, , psicologia contemporanea, settembre-ottobre, p. 70.

[3] Tirendi Giancarlo, “Il maltrattamento infantile: semplice violenza o patologia?”, Solidarietà, anno IX N° 24, p. 96.

[4] Fonzi,  A., (1997-1998), “Il bullismo in Italia”, Psicologia e scuola,  n°89, Anno diciottesimo, dicembre –gennaio, pp. 4-5.

[5] Oliverio Ferraris A., (2005), Non solo Amore, Firenze, Giunti Demetra, p. 57.

[6] Censi, A., (2010), “Bambini. Dalla violenza alla cura”, Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza,  vol. 77, p. 225.

[7] Giorgi, R., et al., “Bullismo: analisi e prevenzione del fenomeno”, Attualità in psicologia, Volume 15, n. 2, p. 174.

[8] Oliverio A., (2007), “Testimoni fragili”, Mente e cervello, n° 31, luglio, p. 16.

[9] De Ajuriaguerra J.,  Marcelli D., (1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia  Editori, p. 203.

 

 

 

 
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