Racconti moraleggianti

Racconti moraleggianti

 

I racconti moraleggianti sono quelli nei quali il bambino stigmatizza dei comportamenti che egli considera riprovevoli. In questi casi i minori, avendo introiettato le norme e le regole familiari e sociali degli adulti, le applicano a svariate situazioni ipotetiche o ad avvenimenti reali dei quali sono venuti a conoscenza. 

Spesso questi racconti moraleggianti nascondono delle realtà che hanno riguardato direttamente i minori: gelosie nei confronti di qualche fratello o sorella o comportamenti aggressivi subiti dai compagni. In alcuni casi si tratta soltanto di una modalità, ritenuta giusta e lecita, di sfogare verso qualcuno dei risentimenti repressi. 

 

 

 

Solo una formica piange per la sua morte

C’era una volta un signore che fumava assai; lo hanno ricoverato, gli è venuto un infarto ed è morto. Non aveva una famiglia; nessuno ha pianto per lui, solo una formica.

Questo breve racconto di Roberto è struggente, nonostante la sua semplicità: un uomo che fumava molto muore, solo. Nessuno piange per lui tranne una piccola, insignificante formichina. In questa conclusione vi è certamente un giudizio morale. È come se il bambino dicesse a sé stesso e a noi che leggiamo il suo racconto: “La morte di quest’uomo e la sua solitudine sono colpa del suo vizio del fumo”. 

 

 

Un gatto generoso

C’era una volta un gatto che si chiamava Nino e si trovava per la strada. Era di colore arancione.

Nino ha trovato un pesce, ma arriva un altro gatto che voleva prendergli il pesce. Nino mangia così metà pesce e l’altro l’ha lasciato all’altro gatto.

Nino va sul retro del ristorante e ha aspettato che buttassero la spazzatura ed ha diviso il cibo con gli altri gatti. Dopo è andato nel suo rifugio adorabile.

In questo racconto Michele ammira la disponibilità del gatto nel partecipare ai bisogni degli altri e nel divedere con gli altri i propri beni.

 

Un dinosauro vanitoso

C’era una volta un dinosauro vanitoso che si vantava sempre che era fortissimo, altissimo e velocissimo. Un giorno un ragno gli lanciò una sfida dicendogli chi salta più in alto e il dinosauro accettò. Il ragno saltò altissimo mentre il dinosauro saltò poco, cadde a terra e si ruppe in due, così non poté più vantarsi.

 

 

Gli squali e il sottomarino

C’erano una volta degli squali che vogliono mangiare il sottomarino. Il signore con la barca ammazza gli squali e libera quelli del sottomarino e dopo voleva i soldi. Ma i signori del sottomarino non volevano dare i soldi. E un giorno, mentre erano nel sottomarino, altri squali li stavano attaccando, ma il signore della barca non volle salvarli e loro morirono.

Giovanni racconta un avvenimento nel quale è presente quella che lui giudica una giusta ritorsione. I marinai di un sottomarino (figura 26), liberati dagli squali da un signore con la barca, non hanno voluto ricambiare i servizi che sono stati loro offerti. Pertanto, in seguito il signore della barca non li aiuta e loro muoiono (mentre erano nel sottomarino, altri squali li stavano attaccando, ma il signore della barca non volle salvarli e loro morirono).   

È facile che il bambino si riferisca a delle esperienze vissute con i propri familiari o compagni. È come se dicesse: “Se gli altri non ricambiano l’aiuto e la gentilezza che ho manifestato verso di loro, possono pure morire! Io resterò indifferente alle loro eventuali disgrazie e non muoverò un dito per aiutarli”. 

 

Uno strano scambio

C’era una volta una principessa, che aveva visto le mani di sua sorella e aveva visto che aveva delle unghie bellissime. Allora la principessa decise di farseli crescere, ma non ci riuscì e provò in tutte le maniere, fino a quando la principessa decise di andare da una strega.

La principessa si trovava dalla strega. La principessa chiese alla strega: “Strega, mi potresti far crescere le unghie?” Allora la strega disse: “In cambio di che cosa?” (la strega voleva) la sua voce. Allora la principessa la diede (la sua voce) e allora ritornò a casa con le sue unghie. Però lei non voleva dire alla sua famiglia che aveva dato la sua voce a una strega. Un giorno le sorelle le videro le unghie e si fecero un dubbio, però poi lo scoprirono e lo dissero ai loro genitori, e poi la misero in punizione. Poi andarono dalla strega e si fecero ridare la voce. La principessa disse che era meglio avere la voce, che avere le unghie.

Nell’immaginario femminile vi è spesso una principessa. In questo caso Katia racconta di una principessa che lei definisce “molto vanitosa”, la quale scambia con una strega la sua voce, in cambio di unghie molto belle.

È difficile immaginare questo ipotetico, strano scambio, se non si tiene conto della grave inquietudine che frequentemente accompagna i bambini che presentano disturbi psicologici. Nell’atmosfera di immaturità, insicurezza, inquietudine, ansia, timore e disistima, nella quale spesso vivono questi minori, anche questo scambio così strano e particolare può apparire equo. Essi spesso hanno bisogno di possedere qualcosa di gradevole da ammirare e far ammirare sul proprio corpo, per ricevere l’indispensabile gratificazione che può permettere loro di sopportare la sofferenza dovuta alle problematiche psicologiche delle quali soffrono.

D’altra parte, poiché in queste situazioni psicologiche la comunicazione con gli altri è, di solito, notevolmente difficile e quindi apporta scarse gratificazioni, lo scambio con qualcosa, come in questo caso delle belle unghie, che servono a migliorare la propria immagine estetica, può apparire importante.

È anche interessante esaminare nel racconto quale tipo di interesse induce la principessa a fare quello strano scambio: il confronto con la propria sorella. Non è insolito che le scelte dei bambini ma anche di noi adulti, scelte spesso giudicate poco assennate, se non proprio improvvide, siano provocate da sentimenti di invidia nei confronti di altre persone, quando queste hanno qualcosa che, in quel momento, noi non possediamo: ad esempio, una splendida auto, un vestito firmato, una magnifica villa. In queste situazioni alcuni sarebbero disposti a tutto, pur di possedere quello che invidiano agli altri.

In definitiva quella principessa, della quale parla Katia, non era tanto vanitosa, quanto psicologicamente infantile e, pertanto, invidiosa in maniera abnorme della sorella. 

Massimo – Primo racconto 

Un ragazzo disubbidiente

C’era una volta un ragazzo che era in campeggio, nel quale facevano delle escursioni nei fiumi. Un giorno, durante una di queste escursioni, il ragazzo si allontanò dal gruppo, non seguendo le indicazioni dell’istruttore, cambiò strada e si imbatté in delle rapide. Nonostante ci fosse un cartello che informava di non sorpassare il confine, a lui non importò e, nel momento in cui arrivò vicino alla valle, si ritrovò sott’acqua; ma, nonostante tutto, riuscì ad uscire intatto. Tornò al campeggio tutto bagnato e si prese solo i rimproveri. Pensò di aver sbagliato e che doveva dare retta alle cose di cui avevano detto (gli istruttori).

Il racconto e il disegno che lo accompagna, ci mostrano chiaramente la scarsa stima che Massimo aveva di sé, poiché tendeva a non ubbidire e a non accettare i consigli dei genitori. Per tali motivi si giudicava come un bambino che sbagliava sempre; che non cambiava mai i comportamenti che non piacevano ai suoi genitori e agli adulti in genere e che li facevano disperare.  

I disegni di questo bambino erano sempre molto curati, ma non erano mai colorati. L’assenza di colori ci fa pensare che la sua vita interiore fosse frequentemente pervasa da una notevole tristezza, a causa delle difficoltà relazionali che incontrava nei rapporti con i suoi familiari e per scarsa presenza di autostima.

Questo secondo racconto dello stesso bambino ci conferma i suoi vissuti interiori. 

Bisogna ascoltare i consigli dei capi

C’era una volta un campo scout, in cui si decise di andare a pesca per quel giorno. Appena si arrivò al lago, i capi cominciarono a dare qualche esca che si doveva usare, ma non vietando che se ne usassero altre. Allora le squadriglie fecero come avevano detto i capi, ma uno “squadrigliero” decise di non seguire il consiglio dei capi e, anziché pescare con la lenza in mano e l’esca finta, pescò con il verme e con la canna. Il tempo passò in fretta e si fece l’ora di pranzo. Quando il capo fischiò, ognuno portò quello che aveva pescato. Tutte le squadriglie portarono molti pesci, invece la squadriglia che non decise i consigli, non portò nessun pesce e per quella giornata restarono a bocca asciutta.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

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