Autismo trattato con il gioco libero autogestito

Utilizzazione della tecnica terapeutica del gioco libero autogestito in un caso di bambino affetto da autismo

Dott.ssa Cettina Allone - Psicologa

 

Matteo è un bambino di quattro anni e mezzo, che presenta un disturbo autistico.

Il motivo che spinge i genitori a chiedere una consulenza presso il Centro Studi Logos di Messina riguarda i problemi di interazione sociale e di linguaggio. Già a due anni i genitori notano che il bambino non si volta e non risponde alle loro richieste, il vocabolario è piuttosto scarso, non riesce ad articolare frasi più lunghe di due parole, ed esprime le proprie necessità in terza persona. Inoltre, non racconta gli episodi della vita scolastica,     mostra notevoli paure: spesso di fronte a programmi televisivi, o a determinati suoni, scappa via e si tappa le orecchie con le dita. Non riesce ad accettare i rimproveri e le negazioni, alle quali reagisce con crisi nervose.

Ho seguito Matteo per circa sei mesi, durante i quali ho avuto modo di conoscerlo a fondo ed assistere alla sua crescita. Il principio di fondo da cui nasce l’intervento terapeutico mediante la tecnica del gioco libero autogestito, tecnica proposta dal dott. Emidio Tribulato direttore del Centro Studi Logos di Messina, ha come finalità quella di  diminuire la grave tensione interiore del bambino così da liberarlo, tra l’altro, dalle paure che lo portano ad una, anche se parziale, chiusura.

Affinché ciò possa avvenire è importante che il bambino possa sentirsi accettato incondizionatamente e, per quanto possibile, è necessario seguirlo nelle sue attività cercando di acconsentire alle sue richieste anche se possono sembrare ripetitive, inutili e fuor di luogo. Ciò permette al bambino di sentirsi pienamente capito, di essere più sereno e maturo e quindi, in un momento successivo, avere la possibilità di sopportare meglio anche le piccole frustrazioni e i possibili “no”.

Lo scopo principale è stato pertanto quello di liberare Matteo dalle costrizioni che spesso, anche se inconsapevolmente, le situazioni di vita quotidiana impongono. Purtroppo infatti, si tende con frequenza a pensare e a far fare albambino ciò che si pensa sia giusto, omologandosi più a ciò che la società o gli adulti richiedono, piuttosto che alle reali necessità del bambino in quel particolare momento, specie quando il piccolo è affetto da questa particolare e grave problematica. Per questo motivo, l’intervento è stato volto più ad una “non azione” che ad un’azione, ovvero si è cercato di far sì che fosse il bambino a decidere il giusto per lui, piuttosto che imporgli un programma prestabilito, il quale non avrebbe fatto altro che aumentare il senso di oppressione che questi bambini avvertono da parte del mondo esterno. Il senso di liberazione che scaturisce da questo approccio fa sì che il piccolo possa lentamente aprirsi al mondo, con minori paure e una maggiore fiducia nei confronti dell’altro.

Incontro per la prima volta Matteo a luglio, al termine dell’anno di scuola materna che viene descritto dai genitori come un periodo non facile: spesso il bambino si isolava dal resto dei compagni a causa della troppa confusione e, durante la notte  frequentemente aveva degli incubi, generalmente associati ai piccoli traumi avvertiti durante ilgiorno.

Il bambino accetta abbastanza facilmente la mia presenza, nonostante sia comunque difficile tutte le mattine per lui separarsi dai genitori. Questa difficoltà è rimasta presente lungo tutto il periodo. Dopo un paio di minuti la tristezza per il distacco passa, così Matteo inizia ad interagire con me, coinvolgendomi nei suoi giochi.

Ama molto fare dei puzzle, giocare con le costruzioni e con le letterine; altre volte preferisce osservare me giocare.

Il primo approccio è nato attraverso i libri. Matteo sfogliava le pagine chiedendomi cosa rappresentassero le immagini, ripetendo frequentemente “che cos’è?”, nonostante conoscesse perfettamente la risposta, come per verificare la mia “preparazione”. Inoltre a volte definiva erroneamente e consapevolmente una figura, divertito dalle mie correzioni.

Nonostante mi accetti senza problemi, spesso sente il bisogno di isolarsi, compiendo delle stereotipie, come portare gli oggetti ripetutamente ai lati degli occhi, oppure allineandoli meticolosamente, agitandosi nel caso non riuscisse perfettamente nel suo intento.

Chiaramente il primo periodo è stato caratterizzato prevalentemente da giochi ripetitivi e stereotipati. La giornata da lui completamente e liberamente gestita prevedeva, infatti, una specifica sequenza di azioni, ovvero: sfogliare i libri, completare dei puzzle e giocare con le costruzioni. Questo permetteva a Matteo di mantenere una sorta di tranquillità così da placare le ansie relative a eventuali circostanze sconosciute dovute anche al fatto di trovarsi per gran parte della sua giornata con una persona ancora estranea.

Quest’aspetto ha generato non poche difficoltà nella gestione delle situazioni più complesse nelle quali il bambino effettuava delle richieste alle quali non era possibile acconsentire. Molto spesso queste erano più orientate a conoscermi meglio e mettermi alla prova, più che a una reale necessità.

Pian piano, sia io che lui, abbiamo imparato a conoscerci, ciò ha fatto sì che fosse più semplice comprenderlo nei momenti di disagio e sapere come comportarsi in casi del genere.

La maggiore conoscenza, ci ha permesso di ampliare le attività svolte durante il giorno. Così, se prima una semplice uscita si trasformava in una situazione difficilmente gestibile, lentamente è diventato sempre più semplice e divertente stare insieme. Inizialmente infatti, Matteo, non avendo ancora instaurato una profonda ed efficace relazione affettiva con me non ascoltava le mie avvertenze e tendeva a giocare senza includermi nelle sue attività. Col tempo invece, ha iniziato ad includermi nei suoi giochi, e a vedermi come una persona per lui importante, a cui rivolgersi in caso di necessità e difficoltà. Sono aumentati così anche i contesti di interazione: prima limitati all’ambito casalingo, poi estesi al cortile di casa, per arrivare infine ad andare in giro per le strade o nelle villette a giocare con altri bimbi e a cercarli con ardore se questi non ci fossero stati.

Dal punto di vista linguistico, Matteo inizialmente mostrava  un lieve ritardo, non riuscendo ad articolare frasi più lunghe di due-tre parole e formulando spesso le sue richieste in terza persona, dicendo, ad esempio, “la vuoi la brioscina?”. Col tempo ha imparato a modificare le sue richieste utilizzando la prima persona, nonostante probabilmente non significhi che abbia internalizzato questo modo di esprimersi, bensì sia diventato un comportamento automatizzato, in reazione alle correzioni. Un’altra problematica riscontrata a livello comunicativo riguarda le sue difficoltà a riferire gli eventi di vita quotidiana: quest’aspetto era inizialmente assente, progressivamente ha imparato a riferire in modo frammentato e telegrafico alcune azioni svolte durante il giorno, connotate anche da aspetti concernenti le emozioni provate. Nel tempo il suo linguaggio tende comunque a evolvere, infatti Matteo utilizza spesso frasi ascoltate da altri o sentite alla tv, adattandole perfettamente ai contesti corretti e sembrando alle volte addirittura comico. Riesce inoltre a esprimere senza difficoltà le sue richieste, anche con soggetti estranei. È infatti un bimbo molto caparbio, che cerca di ottenere i suoi obiettivi ad ogni costo, coinvolgendo quindi più persone finché non riesce nel suo intento.

Manifesta il suo desiderio di interazione chiamandomi spesso per giocare, e chiedendo frequentemente la compagnia di altri bambini. Quando si trova in contatto con i coetanei, mostra inizialmente segni di imbarazzo, e successivamente cerca di interagire, coinvolgendo gli altri nei suoi giochi. Le difficoltà nascono quando il contesto è troppo caotico, così Matteo non riesce a reggere la troppa confusione e i troppi rumori e si isola.

Dal punto di vista affettivo, è un bambino molto affettuoso, cerca frequentemente il contatto fisico e questo, nei momenti di tensione, lo aiuta a rilassarsi. Anche il contatto oculare è, ora, molto presente, per condividere emozioni e particolari situazioni. Spesso infatti, dopo aver compiuto determinate azioni, ricerca lo sguardo altrui, accompagnato da frasi come “ho fatto un pasticcio” oppure “ce l’abbiamo fatta!”.

Pur non essendo Matteo un bambino aggressivo, di fronte a delle negazioni inizialmente reagiva opponendosi fortemente. Col tempo è riuscito ad accettare più facilmente di svolgere un’altra attività in cambio di quella fortemente desiderata. Ciò è dovuto alla progressiva crescita del nostro rapporto relazionale ed affettivo che ha creato una maggiore conoscenza e intimità facendo sì che entrambi potessimo comprenderci meglio. Così se prima la frustrazione e la reazione consequenziale per degli inevitabili anche se molto rari “no” erano molto forti, progressivamente  entrambe sono diventate molto più moderate, e spesso, con un semplice sguardo, riuscivamo a comprenderci.

Un evento molto importante, che ha segnato il raggiungimento di un ottimo rapporto riguarda un’affermazione fatta da Matteo di fronte a me e la madre: guardandoci e indicandoci entrambe, ha chiesto “cosa sono?”, come a indicare una similitudine tra la figura materna e la mia.

Un rilevante cambiamento avvenuto durante il percorso riguarda la maggiore tranquillità del bambino, il quale attualmente trascorre delle notti serene, libero dagli incubi, molto frequenti in passato. Sono diminuite anche particolari paure, come quella del buio e dell’ascensore. Da questo punto di vista riesce spesso a farsi forza da solo e affrontare i suoi timori ripetendosi “non ti spaventare”.

Molto difficile è stato il momento del distacco avvenuto dopo sei mesi. Il bambino, infatti, ha dovuto accettare la mia progressiva e graduale assenza, adeguandosi successivamente ad una nuova figura. Nonostante la fase di transizione sia stata caratterizzata da piccole regressioni, come la ripresentazione degli incubi notturni e una maggiore chiusura, adesso sembra aver riacquistato la tranquillità acquisita in precedenza.

La mia presenza rimane comunque viva, anche se sporadica. Cerco di non trasmettere un sentimento di abbandono assoluto. Continuo infatti a trascorrere dei momenti con lui, provando a mantenere forte come prima la relazione creatasi. Il mio distacco, inizialmente, ha fatto sì che Matteo incontrandomi si mostrasse offeso e manifestasse un certo distacco, poi con il tempo ha compreso come il mio non fosse un vero abbandono, così adesso si dimostra  subito affettuoso e affiatato come prima.

Quest’esperienza ha rappresentato un importante momento di crescita, non soltanto per Matteo, ma anche per il mio percorso formativo. È servita, infatti, a comprendere meglio e vivere a fondo il mondo affettivo e relazione di questi bambini, che molto spesso sono assaliti da un eccessiva quantità di stimoli, i quali non fanno altro che aumentare la loro chiusura e le loro paure nei confronti del mondo esterno. Ho avuto modo, pertanto, di assistere personalmente agli effetti positivi che un atteggiamento estremamente liberale sortisce in questi bambini, i quali, avendo la possibilità di seguire i propri desideri senza costrizioni, acquisiscono maggiore fiducia nei confronti dell’altro, in se stessi e nel mondo.

 

 

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