Le cause della chiusura autistica

Le cause della chiusura autistica

 

Che cosa può essere andato storto? Che cosa nei primi mesi di vita ha potuto costringere questi bambini ad effettuare, non sappiamo quanto istintivamente o volontariamente, la drammatica e radicale scelta di chiudersi in se stessi?

La nostra esperienza ci ha insegnato che gli eventi che possono avere inciso negativamente, disturbando il dialogo, la comunicazione e in definitiva la relazione tra il bambino e il mondo esterno, rappresentato dai suoi genitori e familiari, costringendolo ad estraniarsi dalla realtà possono essere diversi. Non solo, ma possono sommarsi tra loro, poiché non sempre è sufficiente un’unica causa a costringere il bambino verso la chiusura che lo porterà a delle gravi conseguenze sul piano cognitivo e affettivo-relazionali.


1.   In alcuni casi l’intimo dialogo tra il bambino e il suo ambiente di vita può essere stato influenzato negativamente a causa di una o più situazioni stressanti e difficili da affrontare.

 

 I suoi genitori e familiari possono essere stati influenzati negativamente a causa di pressanti necessità economiche; per la presenza di eccessivi e prolungati impegni lavorativi; a causa di conflitti coniugali o familiari; per gravi difficoltà lavorative; a causa della necessità di affrontare gli stress presenti in ogni separazione o divorzio. Altre situazioni ambientali nettamente negative possono essere state originate da malattie proprie o di qualche familiare, da eventi luttuosi che si sono abbattuti sulla famiglia, e così via.

La William  riferisce dei gravi conflitti intrafamiliari nei quali, suo malgrado, era stata coinvolta: ‹‹A casa la guerra infuriava costantemente attorno a me››.[1] E ancora: ‹‹La tensione tendeva ad esplodere, mio padre umiliava e maltrattava mia madre, lei umiliava e maltrattava me. Entrambi avevano trovato vie di fuga e se ne servirono per anni, lasciandosi alle spalle una distruzione tanto più totale di quanto non avrei mai potuto far apparire nel mio piccolo mondo magico››.[2] E inoltre: ‹‹La famiglia era decisamente spaccata a metà, in una caduta a spirale che l’avrebbe precipitata a capofitto nel baratro infernale››.[3]

È evidente come l’ambiente familiare descritto dalla Williams, sia esattamente l’opposto di come dovrebbe essere, al fine di permettere una normale crescita di una piccola bambina. Quest’ultima avrebbe avuto bisogno di un ambiente tranquillo, senza la presenza di ansie e timori eccessivi e con il sostegno di genitori che, amandosi tra loro, avessero amato anche lei. Winnicott è lapidario quando afferma: ‹‹Al giorno d’oggi parliamo molto spesso di bambini disadattati: ma i bambini disadattati sono tali perché il mondo non è riuscito ad adattarsi correttamente a loro all’inizio e durante i primi tempi››.[4]

Possiamo paragonare questa condizione a ciò che tante volte può accadere a chi è impegnato nel lavoro. Se questo soggetto, per qualunque motivo, è preda della stanchezza, se mille pensieri molesti disturbano la sua mente, sarà per lui difficile concentrarsi su ciò che dovrebbe fare e che avrebbe potuto svolgere bene, se non fosse stato investito da tanta stanchezza, stress e preoccupazioni. In definitiva le persone vittime di conflitti o stress eccessivi, pur possedendo buone qualità e capacità, a causa di alcune situazioni contingenti, non riescono a svolgere correttamente i loro compiti. In questi casi il disagio, la disistima e i sensi di colpa che si avvertono nel capire che non si stanno eseguendo adeguatamente gli impegni assunti, peggiorano la condizione psicologica di tali persone, cosicché le difficoltà tendono ad accentuarsi.

 

2. Può aver inciso pesantemente nella relazione con i minori un disturbo psicologico di una certa importanza, presente nella psiche degli adulti che hanno cura di loro.

In questi casi, a causa di uno dei tanti disturbi psicologici che possono essere presenti nella psiche degli adulti, questi possono presentare difficoltà a comprendere pienamente i bisogni, i vissuti e i problemi dei minori, ma soprattutto possono avere difficoltà nel rispondere in maniera serena, adeguata ed equilibrata ai loro bisogni psicologici e alle loro legittime richieste. Tra l’altro, in molti casi i disturbi psicologici, anche se non sono gravi, possono comportare problemi proprio nel campo della comunicazione, la quale è essenziale nello stabilire un rapporto relazionale con i bambini piccoli che permetta al loro Io di formarsi, crescere e svilupparsi armonicamente. Possono soffrire di questi problemi non solo le madri ma anche i padri, entrambi i genitori oppure i nonni, quando sono loro ad avere le maggiori responsabilità nella cura dei bambini, le baby sitter, le puericultrici dei nidi frequentati dai minori e così via.

 

3. Può incidere negativamente sulle capacità relazionali degli adulti la scarsa o inadeguata esperienza necessaria per una corretta gestione di un bambino piccolo.

Dice Winnicott:

"Ma perfino le madri devono imparare dall’esperienza ad essere materne. A mio parere esse dovrebbero affrontare il problema da questo punto di vista: l’esperienza insegna. Affrontandolo in un altro modo e credendo di dover studiare sui libri come diventare madri perfette sin dall’inizio, sbagliano".[5]

Questa situazione, poco frequente nelle famiglie tradizionali è diventata, in questo periodo storico, consueta, a causa della mancata trasmissione dell’esperienza e dei saperi riguardanti la cura di un bambino, da una generazione all’altra. Tale situazione è causata dal notevole calo delle nascite, dalla diffusione di famiglie sempre più piccole e prive di fratelli minori con i quali fare tirocinio, ma anche e soprattutto dalle frequenti deleghe nella cura dei figli, alle quali sono oggi costretti i genitori. Tale impreparazione può accentuare l’ansia insita nei compiti di cura, rendendo difficile un sereno dialogo e rapporto con i propri figli. Pertanto questi genitori possono avere difficoltà a stabilire con i loro piccoli un vero e saldo legame affettivo ed emotivo, oltre che un dialogo profondo ed efficace.

4. Possono aver influito negativamente le indicazioni che spesso provengono da una società consumistica, iperliberale ed egocentrica come la nostra.

Sappiamo che molte società del mondo occidentale, sostanzialmente basate sulla produzione, sul profitto e sull’economia, giudicano come motivo del successo e della realizzazione degli adulti, non la maternità o la paternità, non il piacere e la gioia della cura e dell’educazione di un figlio, ma la ricerca della propria realizzazione, prevalentemente o esclusivamente nel campo professionale, lavorativo, economico e sociale, insieme alla ricerca, a volte sregolata, di gioie e piaceri molto semplici, poveri e banali. Pertanto, da questo tipo di società, le attenzioni e gli impegni degli adulti sono prevalentemente indirizzati e focalizzati su obiettivi e temi diversi e spesso contrastanti, rispetto a quelli necessari per svolgere correttamente il ruolo di genitore o comunque di educatore.

 

Il racconto di Dario, di nove anni, che presentava problemi psicologici che si manifestavano soprattutto negli apprendimenti scolastici, evidenzia chiaramente lo stato d’animo presente nei bambini i cui genitori sono assenti per motivi di lavoro.

Il pesce e il granchio

‹‹C’era una volta un pesce che nuotava notte e giorno, era triste e solo ed era in cerca di amici. Un giorno il pesce ha trovato un granchio che era in pericolo perché c’era una murena che se lo stava mangiando. Il pesce è corso incontro alla murena e l’ha cacciata via. Subito il granchio si è messo a correre per salvare il pesce. Da quel giorno il pesce non è rimasto più solo, perché è rimasto con il granchio››.

Domanda del terapeuta: ‹‹Perché il pesce era solo?››.

Risposta: ‹‹Il pesce era solo perché i genitori erano sempre a lavorare››.

5. Possono aver influito negativamente nella relazione tra il bambino e il suo ambiente di vita le sofferenze, le ansie e le paure causate da malattie organiche delle quali il piccolo ha sofferto o soffre ancora.

I problemi organici hanno dei risvolti psicologici, sia sul bambino sia sui suoi familiari, che non si possono e non si devono trascurare. Soffrire di una malattia significa “stare male”. Quasi sempre questo “stare male” non riguarda solo il corpo ma anche la psiche del soggetto. Si sta male per la malattia della quale si soffre, si sta male per la condizione d’impotenza e a causa delle limitazioni conseguenti alla malattia, si sta male per tutti gli esami, le terapie mediche e chirurgiche o, peggio, i ricoveri in ospedale che bisogna sopportare. Purtroppo, spesso non si tiene nella giusta considerazione la fragilità psichica dei bambini, specie se molto piccoli ma anche quella dei loro familiari. Ci dimentichiamo che ogni patologia e ogni atto medico, che hanno una qualche componente traumatica, possono comportare delle sofferenze e quindi dei danni psicologici. Non è difficile quindi che, come conseguenza di questi problemi organici, possa insorgere, in alcuni bambini, specialmente in quelli psicologicamente più fragili, il bisogno di fuggire da una realtà eccessivamente frustrante e dolorosa.

6. Un’altra concausa può essere legata all’uso sempre più diffuso di deleghe nel campo educativo e di cura.

È noto come la gestione del bambino piccolo, mediante gli asili nido, le baby sitter o la collocazione dai nonni per un tempo eccessivo, possa provocare una condizione di fragilità nel piccolo essere umano che si sta formando, il quale invece, soprattutto nei primi anni di vita, avrebbe bisogno di vivere, crescere e svilupparsi accanto ai suoi genitori, in uno stabile, confortevole, caldo e sereno nido familiare. Questa fragilità, sommata ad altre situazioni stressanti o traumatiche, può anch’essa contribuire ad indurre delle gravi sofferenze le quali, a sua volta, possono spingere il piccolo a chiudersi in se stesso.

7. Vi è un’altra condizione che non riteniamo meno importante delle altre, che è legata a uno stile relazionale non adeguato.

Il modo di porsi nei confronti dei bambini piccoli, oltre che essere influenzato dalle caratteristiche di personalità, dal sesso e dalla realtà del momento, è condizionato anche dalle esperienze vissute durante tutta la propria vita. Pertanto quando lo studio, i tirocini e gli impegni di tipo lavorativo e professionale modellano le capacità di dialogo e di relazione degli adulti in funzione di un’attività lavorativa e professionale, inevitabilmente sarà dato molto valore alle caratteristiche più utili in questi campi: come la vivacità, la grinta, la determinazione, la forza, l’intraprendenza. Caratteristiche queste molto diverse, anzi opposte, a quelle richieste nella cura e nella relazione con un bambino piccolo. Cura e relazione che richiedono invece comportamenti pacati, dolci, teneri e delicati, insieme a tanta pazienza e a notevoli doti e capacità comunicative ed empatiche.

8. Cause organiche e genetiche

Per quanto riguarda le possibili cause organiche o genetiche, oggi spesso indicate come le uniche possibili cause dell’autismo, noi pensiamo che certamente non tutti i bambini nascano con la stessa sensibilità, per cui ciascuno di essi può resistere e reagire all’ambiente in modo differente. Pertanto le capacità di resistere agli stress, alle frustrazioni o ai traumi, possono certamente dipendere anche da componenti genetiche o organiche.

Tuttavia le esperienze che abbiamo avuto nel tempo ci confermano che i fattori ambientali, di tipo psicologico e relazionale, sono nettamente predominanti nella nascita dei vari disturbi psicologici presenti nell’infanzia. Cosicché, quando gli elementi ambientali negativi superano una certa soglia, anche il bambino che possiede un ottimo corredo genetico ed è privo di problematiche organiche, sarà inevitabilmente coinvolto in meccanismi psicologici che possono alterare in maniera più o meno grave i suoi comportamenti, le sue emozioni e i suoi vissuti interiori.

Sono tanti gli autori che pongono l’accento sulle componenti ambientali nella nascita dei disturbi psicologici.

Per Osterrieth:

"È forse utile ricordare che, in realtà, organismo e ambiente sono in continua interazione, e che, secondo le caratteristiche dell’ambiente, certe tendenze ereditarie saranno non soltanto permesse ma favorite, concretizzandosi in attitudini o in tratti di carattere; altre saranno inibite, e appariranno solo in forma alterata, altre infine non saranno mai stimolate e le reazioni concomitanti non si verificheranno mai".[6]

 E ancora lo stesso autore:

"In breve, qualunque sia l’importanza e il peso dei fattori ereditari, l’uomo non è condizionato soltanto da questi: lo è altrettanto dalle condizioni in cui vive e in cui il suo sviluppo è avvenuto".[7]

Sempre da Osterrieth:

"Si sottovaluta che il più delle volte si trasmettono non malattie ma predisposizioni verso certe malattie piuttosto che altre. Si trasmette una maggiore o minore sensibilità ai traumi psichici piuttosto che disturbi o malattie psichiche. Anche perché perfino nei gemelli veri non vi è un uniforme comportamento per cui parecchie attitudini e tratti del carattere si trovano nell'individuo in quanto sono stati incoraggiati dall'ambiente, mentre altri sono stati costantemente inibiti".[8]

Per Ackerman: "L’eredità fissa dei limiti al potenziale sviluppo della personalità, ma a darle una forma concreta è l’esperienza sociale".[9]

Per De Ajuriaguerra:

 "Senza alcun dubbio esistono dei pattern caratteristici di ogni specie, trasmessi per via ereditaria, che si manifestano sotto forme equivalenti in un insieme di individui della stessa specie. Ma i pattern possono essere attivati dall’ambiente, dagli stimoli tattili, visivi, uditivi, etc., o modificati per l’assenza o per l’azione qualitativamente o quantitativamente inadeguata degli apporti dell’ambiente".[10]

Bowlby afferma:

"Il punto di vista che sostengo, come si potrà notare, si basa sulla convinzione che gran parte dei disturbi psichici e dell'infelicità siano dovuti ad influenze ambientali su cui siamo in grado di intervenire e che possiamo modificare. E inoltre: Se un bambino è sereno e sicuro oppure infelice e non in armonia con la società, dipende in gran parte dall’adeguatezza o meno delle prime cure che ha ricevuto".[11]

E ancora lo stesso autore:[12]

 "Sappiamo che oggi il compito centrale della psichiatria dello sviluppo è proprio quello di studiare l’interazione senza fine tra mondo interno e mondo esterno e il modo in cui uno influenza costantemente l’altro, non solo durante l’infanzia, ma anche durante l’adolescenza e la vita adulta. Appare ormai evidente che gli avvenimenti accaduti all’interno della famiglia durante l’infanzia e l’adolescenza giocano un ruolo importante nel determinare se una persona crescerà mentalmente sana o no".

A questo riguardo non possiamo non ricordare anche le osservazioni e gli studi di Imbasciati, Dabrassi e Cena:

"Sappiamo che la maturazione cerebrale è in relazione all’esperienza e che questa inizia ad essere esperita già dal feto. È l’esperienza che regola lo sviluppo micromorfologico e funzionale del cervello".[13]

Gli stessi autori aggiungono:

  "Si è ritenuto a lungo, e in parte tuttora alcuni ritengono, che la maturazione del tessuto nervoso, quale si riscontra morfologicamente e fisiologicamente, dipenda esclusivamente dalla realizzazione del programma genetico che riguarda il completamento morfofunzionale di tutti gli organi corporei e che investirebbe pertanto anche il cervello, che verrebbe così “completato” gradualmente, prima e dopo la nascita, nei primi mesi. La mente scaturirebbe così dalla maturazione biologicamente predeterminata del cervello. Al contrario si è dimostrato che la maturazione è un processo che avviene solo se c’è l’esperienza: non solo, ma che la qualità dell’esperienza determina il tipo di maturazione. (…) Gli studi sugli animali hanno da tempo dimostrato che l’architettura istologica corticale è in relazione al tipo di apprendimento cui l’animale è stato sottoposto. Più moderne tecniche, tra cui i metodi di neuro-immagini (PET), mettono in evidenza, anche nell’uomo, come sia l’esperienza che viene acquisita, ossia il tipo di apprendimento conseguito, che condiziona la cosiddetta maturazione neurale".[14]  

Per Benedetti:

"Esistono invece bambini e le loro famiglie che trovano degli ostacoli e delle difficoltà nel seguire la loro strada evolutiva per cui vengono ad accumulare “ritardi” nel percorso previsto, o a volte “deviazioni” dalla strada considerata “normale”, o comune. Ho l’impressione che occuparsi di “autismo” e delle teorie che sono state costruite per “spiegarlo” abbia impedito a lungo di vedere questi bambini nel loro sviluppo e i fattori che potevano e possono ostacolarlo".[15]

Purtroppo come ben dice Osterrieth:

"La nozione fatalistica di ereditarietà incoraggia facilmente ad astenersi da ogni sforzo di educazione e da ogni tentativo per modificare l'ambiente nel quale il bambino cresce; essa costituisce, come ha detto qualcuno, un imponente guanciale di pigrizia pedagogica".[16]

 

Per quanto riguarda in modo specifico i disturbi autistici, i motivi che ci inducono a ritenere molto importanti le problematiche relazionali e ambientali nella nascita e nell’evoluzione nel tempo di questa patologia psichica, sono numerosi.

1. Sintomi molto simili a quelli presenti nei bambini con autismo sono evidenziati in molti animali, ogni qualvolta il loro ambiente di vita non è idoneo ai loro bisogni psicologici. Dice la Grandin che lavorava come veterinaria:

"Negli zoo gli animali tenuti in gabbie di cemento nudo si annoiano e spesso sviluppano comportamenti anormali come dondolarsi e camminare a piccoli passi o a zigzag. Le bestie giovani collocate da sole in ambienti di questo tipo subiscono un danno permanente e manifestano comportamenti bizzarri simili a quelli autistici, diventando eccessivamente eccitabili e mostrando comportamenti di tipo autolesionistico, iperattività e relazioni sociali disturbate". [17]

E ancora la stessa autrice:

"I cuccioli di cane allevati in cucce di cemento spoglie si agitano molto quando sentono un rumore. Le loro onde cerebrali continuano a mostrare segni di eccitabilità anche dopo sei mesi che sono stati tolti dalla cuccia di cemento e alloggiati in una fattoria". [18]

2. I sintomi presenti in questa patologia sono troppo diversi e contrastanti per essere addebitati, in modo prevalente, a cause organiche o genetiche, mentre sono coerenti con la presenza di uno sconvolgimento psichico che altera in maniera costante la vita emotiva di questi minori. I comportamenti da loro manifestati sono, in definitiva, direttamente e facilmente collegabili alla loro grave sofferenza ma anche alle varie strategie e difese che essi mettono in campo per cercare di limitare, arginare e se possibile eliminare questa sofferenza. Per tali motivi, poiché gli ambienti familiari, sociali, le realtà interiori, così come gli individui sono diversi l’uno dall’altro, i disturbi psicologici di questi bambini si esprimono diversamente mediante un notevole ventaglio di sintomi, che sono a volte contrastanti.

3.  La variabilità in senso positivo o negativo dei sintomi, in rapporto alle persone con le quali questi bambini si relazionano, alle circostanze da essi affrontate e ai luoghi frequentati, è troppo frequente e notevole per pensare che ciò avvenga per caso.

4. In molti bambini i sintomi specifici dell’autismo sono così lievi che spesso sfumano e si confondono non solo con quelli presenti in molte altre patologie psichiche, ma anche con le manifestazioni e i comportamenti che ritroviamo nei soggetti che rientrano nell’ambito della normalità.Ed è per tale motivo che, a volte per anni, le diagnosi rimangono dubbie o controverse, così come sono dubbie e controverse le percentuali dei casi di soggetti che presentano disturbi autistici.

5. Alcune caratteristiche di questa patologia come: la resistenza ai cambiamenti, i comportamenti stereotipati, il bisogno di stabilità e tante altre, possono facilmente essere evidenziate in molte persone che rientrano nella norma, quando queste si trovano ad affrontare situazioni di grande tensione e stress.

6. L’aumento della frequenza di questa, come di tutte le altre patologie psichiche, che si è verificato in questi ultimi decenni nella popolazione generale, contrasta con delle cause genetiche od organiche, mentre può essere spiegato molto bene dai notevoli cambiamenti lavorativi, sociali e familiari, sopravvenuti nello stesso periodo nella nostra società. Si pensi soltanto alla diminuzione delle ore trascorse dai genitori con i figli, al notevole incremento delle separazioni, dei divorzi, dei conflitti coniugali. Si rifletta sull’invasione dei mass – media nella vita familiare e sulle situazioni stressanti subite dai genitori quando entrambi sono impegnati nel lavoro

7. Tuttavia il motivo più importante che ci fa pensare a una netta prevalenza delle problematiche ambientali, nella nascita e nell’evoluzione di questa patologia, deriva dal constatare un notevole miglioramento di tutti i sintomi di autismo ogni qualvolta sia presente un miglioramento nell’ambiente di vita dei bambini con disturbi autistici. Al contrario, quando dopo essere migliorati si ritrovano nuovamente vittime di un ambiente relazionale frustrante, traumatico o comunque non idoneo ai loro bisogni affettivo-relazionali, il peggioramento che ne segue è consequenziale e facilmente prevedibile. La Williams, riferisce un commovente episodio di completa chiusura in se stessa, in seguito a un grave episodio di violenza attuato da parte della madre:

"A tavola guardavo un piatto pieno di colori, un coltello e una forchetta stretti nelle mani. Guardai attraverso il piatto pieno di colori e tutto si dissolse. Un paio di mani disturbarono la mia visione: un coltello d’argento, una forchetta d’argento stavano tagliando i miei colori. C’era un pezzo di qualcosa all’estremità della forchetta d’argento. Stava lì seduto, immobile. Il mio sguardo seguì quel pezzetto di colore attraverso la forchetta, fino a una mano. Spaventata, lasciai che i miei occhi seguissero la mano fino ad un braccio, congiunto ad un viso. Infine, il mio sguardo cadde sugli occhi, che me lo restituirono con infinita disperazione. Era mio padre".[19]

La difficoltà ad accettare le cause ambientali 

 

Sappiamo tuttavia che l’approccio che sottolinea le cause ambientali, nella nascita e nell’evoluzione delle sindromi della sfera autistica, in questo momento storico è poco accettato. I motivi sono diversi.

Per i genitori e i familiari

  1. Da parte dei genitori e familiari accogliere le cause ambientali significa che il rapporto con il proprio bambino, almeno per un certo periodo di tempo, non è stato dei più felici, giacché al piccolo è stato fatto mancare, anche senza volerlo, qualcosa di cui aveva assolutamente bisogno, affinché la sua personalità potesse svilupparsi serenamente e bene.
  2. Significa inoltre che probabilmente non sono stati interpretati correttamente i suoi primi segnali di sofferenza e pertanto i familiari o i sanitari non vi hanno posto rimedio rapidamente e, soprattutto, non nel modo più opportuno e corretto.
  3. Per i genitori e gli altri familiari accettare quest’approccio significa coinvolgersi direttamente, tanto da riorganizzare la propria vita personale, coniugale, lavorativa e familiare, al fine di renderla il più possibile adeguata alle necessità del minore con problemi. Ciò è sicuramente un compito difficile, faticoso e doloroso. Poiché è necessario impegnarsi, giorno dopo giorno, nel modificare profondamente l’ambiente di vita nel quale è immerso il piccolo con problemi di autismo. In alcuni casi significa affrontare con decisione e risolvere gli eventuali conflitti coniugali presenti oppure relazionarsi con il bambino per un tempo molto maggiore e soprattutto molto meglio di quanto non fosse stato fatto prima, ascoltando fino in fondo i suoi bisogni, così da rispondere alle necessità che manifesta con la necessaria affettuosità, dolcezza e disponibilità interiore.
  4. Accogliere quest’orientamento nei confronti dei problemi dei bambini con sintomi di autismo può comportare, inoltre, impegnarsi ad affrontare e modificare in meglio, se non tutti, buona parte delle disfunzioni o dei disturbi psicologici, se questi sono presenti nella propria psiche, se si pensa che abbiano influenzato o possano ancora influenzare negativamente la delicata relazione con il figlio.

Per l’ambiente politico e sociale.

  1. Anche per quanto riguarda l’ambiente politico e sociale, accettare che buona parte delle cause dell’autismo nasca dal fatto di non riuscire a dare a ogni piccolo essere umano che viene al mondo le condizioni minime, idonee al suo sviluppo psicologico, significa ammettere che la società, nel suo complesso, ha fallito il suo scopo principale. Poiché non è riuscita a formare delle famiglie funzionali, nelle quali la collaborazione e l’intesa reciproca, il dialogo e l’ascolto, sono riusciti a creare, attorno a ogni bambino che è venuto al mondo, un nido caldo, sicuro, accogliente e sereno. Caratteristiche queste indispensabili per la crescita di ogni piccolo essere umano.
  2. È difficile inoltre ammettere sul piano politico, che la società nel suo complesso non è riuscita ad eliminare, nella vita di molte famiglie, molte situazioni stressanti e traumatiche. Ad esempio, non è riuscita a evitare che uomini e donne siano costretti a correre da un posto all’altro, da un’occupazione all’altra, da un impegno all’altro, pur di avere il necessario per vivere dignitosamente. Né questa società è riuscita a fronteggiare e porre un freno a tutte le false necessità, indotte, se non proprio dettate, dal mondo finanziario, utilizzando l’attuale consumismo imperante.
  3. Inoltre, accettare questa tesi rende evidenti tutte le carenze di una società che non è riuscita a creare delle condizioni tali da permettere ai genitori di avere sufficiente tempo e disponibilità per ascoltare, dialogare e giocare con i propri figli, così da garantire a ogni bambino che viene al mondo, almeno fino ai tre anni, la vicinanza fisica ed emotiva di almeno uno dei genitori.
  4. Accogliere questa tesi significa che le società attuali del mondo occidentale non sono state in grado di formare delle famiglie funzionali, in grado di privilegiare le funzioni educative e formative, piuttosto che gli impegni lavorativi e professionali.
  5. Altrettanto importante è poi il tema della preparazione al compito specifico di padre e madre. Accettare questa tesi significa che la società nel suo complesso non è riuscita a formare e preparare uomini e donne che abbiano le qualità necessarie per affrontare, nel modo più opportuno, il difficile e delicato compito materno e paterno. Pertanto l’ambiente sociale non ha aiutato i genitori, e soprattutto le madri, che sono le figure più impegnate nella crescita affettivo-relazionale dei figli, a far maturare e sviluppare nell’animo e nei comportamenti di questi le attitudini indispensabili a dare risposte puntuali, efficaci e corrette ai loro piccoli, specie nei primi anni di vita. Periodo questo notevolmente delicato al fine di una normale crescita psicologica.
  6. Infine l’approccio ambientale ai problemi dell’autismo, in questo periodo storico, è contrastato, se non chiaramente rifiutato, poiché una società che mette in primo piano il profitto, il consumo e una spietata concorrenza, ha bisogno d’individui efficienti e tesi allo spasimo nel produrre e consumare, piuttosto che persone che abbiano tempo e disponibilità ad aver cura dei loro piccoli. 

 

 


[1] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 36.

[2] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 15

[3] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 15.

[4] Winnicott D.W. (1973), Il bambino e la famiglia, Firenze, Giunti – Barbera, p. 130.

[5] Winnicott D. W. (1973), Il bambino e la famiglia, Firenze, Giunti – Barbera, p. 59.

[6] Osterrieth P. A., (1965), Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, p. 16.

[7] Osterrieth P. A., (1965), Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, p. 19.

7. Osterrieth P. A., (1965), Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, p. 18.

[9] Ackerman N.W. (1970), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Boringhieri, p. 69.

[10] De Ajuriaguerra J. (1993), Manuale di psichiatria del bambino, Milano, Masson, p. 116.

[11] Bowlby J. (1982), Costruzione e rottura dei legami affettivi, Milano, Raffaello Cortina Editore, p. 22.

[12] Bowlby J. (1988), “Dalla teoria dell’attaccamento alla psicopatologia dello sviluppo”, in Rivista di Psichiatria , vol. 23, n°2, giugno, p. 58.

[13] Imbasciati A., Dabrassi F., Cena L., (2007), Psicologia clinica perinatale, Padova, Piccin Nuova Libreria, p. 4.

[14] Imbasciati A., Dabrassi F., Cena L., (2007), Psicologia clinica perinatale, Padova, Piccin Nuova Libreria, p. 7.

[15] Benedetti G. (2020), La Bolla dell’Autismo, Self- Publishing, p. 43.

[16] Osterrieth, P.A., (1965), Introduzione alla psicologia del bambino, Firenze, Giunti e Barbera, p. 10.

[17] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erickson, p. 95.

[18] Grandin T. (2011), Pensare in immagini, Trento, Erickson, p. 95.

[19] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 56.

 

 

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