Racconti infantili

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Tristezza e pessimismo nei racconti infantili

 


Il fiorellino Gelsomino

C’era una volta un piccolo fiorellino che si chiamava Gelsomino. Un giorno lui non si fa avvicinare da nessun insetto: ape, farfalla, perché se succhiano il suo polline ha paura che appassisce. Ma un giorno il piccolo fiorellino si svegliò e si accorse che stava sempre rimpicciolendo e si dice a sé che gli avranno succhiato il polline e allora dice a sé stesso: è la vita dei fiori, può succedere questo, può non succedere. E così appassì. Così imparò che nei fiori non c’è una gara a chi sta di più e a chi sta di meno. Alcuni fiori appassiscono prima degli altri e imparò anche che i fiori non servono a resistere di più, ma servono a rendere profumata una casa, una stanza, un albergo.

Daniela pone la sua attenzione sulla caducità della bellezza e della stessa vita, quando racconta di un fiorellino che, svegliandosi, si era accorto di diventare sempre più piccolo, (il piccolo fiorellino si svegliò e si accorse che stava sempre rimpicciolendo). Probabilmente la bambina si riferisce alla regressione psicologica che lei aveva subito.

Il fiorellino pensava che la causa di ciò risiedesse in qualcuno: un’ape, una farfalla, che avesse succhiato i suoi elementi vitali (Un giorno lui non si fa avvicinare da nessun insetto: ape, farfalla, perché se succhiano il suo polline ha paura che appassisce). Solo successivamente teme che non ci sia una vera causa (è la vita dei fiori, può succedere questo, può non succedere). Come dire: “La nostra vita è in balia del destino, per cui, come il fiore dopo aver dato il suo profumo e la bellezza alle persone appassisce, allo stesso modo noi, dopo aver dato qualcosa agli altri, moriremo”.

Dalle sue parole è difficile non notare la difficoltà, e la conseguente tristezza della bambina nell’accettare la caducità dell’esistenza: “Si è giovani, si è belli, si fa qualcosa nella vita, ma poi si invecchia e si muore”.

Per quanto riguarda le cause della perdita di vitalità e poi della morte del fiorellino, il disegno, sembra contraddire il racconto poiché la bambina non collega la morte del fiore agli insetti o alla natura delle cose ma alle intemperie che sferzano la piantina.

Daniela, infatti, rappresenta (figura 60) molto bene la pioggia che cade da una grossa nuvola nera sul fiore con grossi goccioloni, e disegna anche il vento che sembra soffiare impetuoso, così da danneggiare e maltrattare il fiore. In sostanza, almeno nel disegno, la bambina teme che i problemi del fiore, e quindi i suoi problemi, derivino sostanzialmente da un avverso e difficile ambiente di vita.

 

Un pallone preso a calci

C’era una volta un pallone che era di tutte le squadre e non era affatto contento di essere preso a calci. Quindi un giorno scoppiò e nessuno poté giocare a pallone. Il pallone morì e fu gettato nella spazzatura con la cassa da morto. Un altro pallone fece la stessa fine.

La morte, con il suo corollario di disperazione e tristezza, è presente anche in questo racconto. Roberto descrive i suoi vissuti nell’ambito della sua famiglia, della scuola e, in generale, dell’ambiente che egli frequentava, usando la metafora di un pallone. Un pallone preso a calci da tutti (un pallone che era di tutte le squadre), come probabilmente egli si sentiva: disprezzato e aggredito da chiunque ne avesse voglia.

Pur di evitare questa continua, insopportabile sofferenza, il bambino vede un’unica via di uscita: scoppiare, morire e scomparire sottoterra (Il pallone morì e fu gettato nella spazzatura, con la cassa da morto). Solo in questo modo nessuno potrà più maltrattarlo!

 Il racconto di Roberto non si ferma a questa sua tragica fine e va oltre, con una frase intrisa ancor più di nero pessimismo. Il desiderare di morire, di scomparire, perché tutti ti prendono a calci, non è qualcosa che riguarda solo lui, questa terribile condizione può benissimo accadere anche ad altre persone (un altro pallone fece la sua stessa fine).

 

Guardare il mare per darsi coraggio

C’era una volta una ragazza che guardava il mare: era triste e pensava che stava bene in quel momento lì. Era triste, ma non lo sapeva neanche lei (il perché). Per lei ogni cosa che faceva non andava mai bene. Le cose gli andavano male, anche per colpa sua. Voleva stare al mare, solo per stare bene. Si era stancata. Lei ha capito che le cose non possono andare sempre bene e che nella vita bisognava lottare e andare avanti.

In questo racconto di Luisa vi sono due elementi interessanti. Il primo riguarda la tristezza che provava: lei non sa capirne le cause. L’ipotesi che la bambina fa è che lei, almeno in parte, ne sia responsabile (Le cose gli andavano male, anche per colpa sua). Tuttavia, la scienza psicologica ci dice che le responsabilità personali dei bambini, rispetto a quelle degli adulti che li dovrebbero proteggere e curare, sono sempre molto limitate. Nonostante ciò, quando i minori sono molto turbati, tanto da non riuscire a vivere bene con sé stessi e con gli altri, il senso di colpa pervade lo stesso il loro animo.

Luisa si sforza di combattere il suo malessere, guardando il mare. Solo ammirando questo magnifico spettacolo della natura riesce a trovare la forza e la serenità necessaria per continuare a lottare e ad affrontare le difficoltà della vita (Lei ha capito che le cose non possono andare sempre bene e che nella vita bisognava lottare e andare avanti).

 

 

La vita è un alternarsi di momenti belli e brutti

C’erano una volta un bosco, le montagne, il sole, il cielo azzurro. Si fece il tempo brutto, si mise a piovere, rovinò le piante, le montagne, le frane. Poi si calmò la pioggia e uscì di nuovo il sole!

Diverso ancora lo stato d’animo di Patrizia, una bambina adottata, che riesce a vedere con obiettività gli eventi della vita, nelle quali vi è un alternarsi di momenti belli (C’erano una volta un bosco, montagne, il sole, il cielo azzurro) e di momenti difficili e tristi (si mise a piovere, rovinò le piante, le montagne, le frane). A questi periodi difficili, per fortuna, possono seguire altri momenti belli (Poi si calmò la pioggia e uscì di nuovo il sole!).

 

 

 

 

Un cuore in cielo

C’era una volta un cuore che stava in cielo. Era grande e bello e rosso d’amore. Questo cuore era di una persona femmina, piccola, che aveva due anni, era una bambina e si chiamava Alessia, che si era fidanzata con Gesù e gli aveva dato il suo cuore. Alessia aveva una famiglia e i suoi genitori erano contenti che si era fidanzata con Gesù. Gesù era contento e la mamma Maria e i discepoli gli buttavano fiori sul cuore e a lui gli faceva piacere stare con loro, era contento…I suoi genitori erano contenti che si era fidanzata con Gesù.

Questa ragazzina di dieci anni che, a causa di gravi carenze affettive ed educative da parte di entrambi i genitori, viveva in un istituto di suore, insieme ad un fratello e a una sorella, vede soltanto in Gesù, nella Madonna e nei Santi la possibilità di avere cure, amore e attenzioni.

Certamente il vivere in un istituto di suore ha avuto la sua influenza nel racconto della ragazza che sceglie di fidanzarsi con Gesù. Tuttavia, ciò che ci ha colpito in questo racconto è l’essersi identificata con una bambina molto piccola: due anni (Questo cuore era di una persona femmina, piccola, che aveva due anni) mentre la ragazza ne aveva dieci. È come se la ragazza desiderasse regredire ad un’età nella quale la sua famiglia era ancora unita e, in qualche modo, era abbastanza unita e serena.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

Le paure nei racconti dei bambini

Le paure e le fobie sono molto frequenti nell’infanzia, poiché i bambini non conoscono le caratteristiche della realtà nella quale

sono inseriti ed avvertono, più degli adulti, molti pericoli nella realtà che li circonda. Avendo scarsa esperienza, non sanno ancora di chi e di che cosa possono fidarsi e chi e che cosa devono invece temere. D’altra parte i timori sono anche un mezzo di protezione rispetto agli estranei e alle situazioni che potrebbero comportare dei rischi. A ciò si aggiunga una maggiore emotività presente nell’infanzia e minori difese psicologiche capaci di contrastare le emozioni negative.

Tra l’altro, i piccoli hanno difficoltà a distinguere le paure vere, oggettive, da quelle false e soggettive, che nascono dalla loro mente. Per tale motivo queste possono essere fisiologicamente presenti anche nei minori che rientrano nella fascia della normalità, anche se sono maggiormente presenti e soprattutto sono molto più intense, nei bambini che, per motivi vari, soffrono di qualche problematica psicologica.

Per distinguere le paure fisiologiche dell’infanzia da quelle patologiche, presenti nei disturbi psichici, dobbiamo tenere presenti l’età del bambino; il numero delle paure, la loro frequenza, l’intensità e, soprattutto, l’associazione con altri segnali di sofferenza.


Riccardo - Primo racconto

Un mostro che faceva paura

C’era una volta un mostro che faceva paura e poi ci mangia.

Riccardo, un bambino con disturbi autistici, a commento di un suo incomprensibile disegno, manifesta una delle sue paure. Questo bambino, come tutti i minori che soffrono di sintomi di autismo, quando questa sintomatologia era grave, si sentiva invaso da paure che non riusciva a comunicare verbalmente ai suoi genitori. Riuscì a fare ciò solo quando gli fu data la possibilità di disegnare e commentare i contenuti dei suoi disegni. Queste due attività diventarono nei suoi confronti degli ottimi strumenti terapeutici.

 

Riccardo - Secondo racconto

 

Due bambini mangiati da un mostro

C’era un mostro che ha mangiato due bambini e sono morti.

Questo secondo disegno di Riccardo è più comprensibile, ma la paura è la stessa!

Un bambino che odiava la pioggia

C’era una volta un bambino di nome Gigi, il quale non voleva mai che si mettesse a piovere. Un giorno la madre gli spiegò che prima o poi questo effetto naturale doveva accadere. Se lui non ci avesse fatto caso, la pioggia sarebbe durata pochissimo. Infatti, in quel preciso istante, si mise a piovere e Gigi si mise a parlare con la mamma e non ci fece caso (alla pioggia). Dopo poco tempo sparì la pioggia e venne l’arcobaleno.

Una delle tante paure presenti anche nei bambini normali riguarda la pioggia e, soprattutto, i temporali. Anche perché, questi fenomeni atmosferici sono accompagnati da violenti lampi e tuoni.

La pioggia viene associata dai bambini, e non solo da loro, alla tristezza: per non poter uscire, per non poter giocare fuori casa. La pioggia è associata anche alla paura, inculcata dai genitori fin da quando si è piccoli, che bagnarsi significa ammalarsi gravemente, tanto da poter morire. Per di più la pioggia, con il suo martellare continuo, può essere collegata dai bambini alla sensazione di essere colpiti e aggrediti da qualcosa d’imponderabile.

Nel racconto di Gigi la paura scompare quando la madre riesce a rasserenarlo, dicendogli che la pioggia è un avvenimento naturale. In tale occasione l’intervento materno fu adeguato e, quindi, risolutore. Il bambino recepì correttamente il messaggio della madre: la pioggia, come tutte le cose sgradevoli della vita, per fortuna non dura a lungo, ed è possibile che, anche dopo poco tempo, venga sostituita dall’arcobaleno: segno di speranza, gioia e protezione.

 

Giuseppe era buono

 Giuseppe era buono ma aveva problemi e perché? Perché si spaventava che sveniva e aveva questi problemi, cioè mal di pancia, e gli girava la testa.

Invece per Giuseppe, che si riconosce un buon bambino, la paura riguarda sé stesso e il suo corpo. Egli ha paura di svenire, di stare male, di morire. Queste paure gli impedivano di allontanarsi da casa per andare a scuola o anche di giocare nelle strade del paese, con i suoi compagni. Temeva che, stando lontano dai suoi familiari: nonni e madre, questi non potessero aiutarlo e salvarlo da morte certa. Tuttavia, nel racconto il bambino riesce ad associare, in maniera corretta, questa paura ai suoi problemi psicologici.

 

Le paure di Ivan

Le mie paure sono molte: la paura del buio, quando sto solo, la paura degli insetti, e la paura quando mi trovo in serie difficoltà. Prima avevo altre paure, però ora mi sono passate ed erano le ombre, quando i miei genitori litigavano. Le ombre che vedo assomigliano a dei ladri, che scambiano armi e che mi attaccano. Alcune volte vedo anche delle specie di ombre, che si nascondono dietro la tenda.

Ivan elenca una serie di paure che possiamo tranquillamente definire “patologiche”, sia per il numero di esse, sia per la loro qualità e intensità. Queste paure nascevano dalla presenza, nella sua famiglia, di frequenti e gravi conflitti tra i genitori. Le paure più gravi erano quelle che si manifestavano mediante dei disturbi dispercettivi (erano le ombre, quando i miei genitori litigavano. Le ombre che vedo assomigliano a dei ladri, che scambiano armi e che mi attaccano).

 Con questa immagine il bambino rappresenta molto bene l’atteggiamento che i genitori probabilmente avevano durante le liti: essere l’un contro l’altro armato, si spera solo di parole. Parole tuttavia sufficienti a rubare al figlio la serenità e la pace delle quali aveva diritto.

 

Emilia – Primo racconto

Emilia di otto anni, che presentava turbe emotive, labilità nell’attenzione, ansia di separazione, sonniloquio e soliloquio, aggressività verso gli oggetti, disturbi del comportamento, tendenza alla chiusura, ridotta autostima, sensi di colpa e indegnità e difficoltà negli apprendimenti curriculari, soffriva anche di numerose e intense paure che riesce a descrivere molto bene.

Le paure di Emilia

Ho paura che i miei genitori mi abbandonino o muoiano, così come mia nonna e mia sorella. Mi viene una forte agitazione e non riesco a calmarmi e in quel momento ho paura di tutto. Ho paura di non riuscire a superare tutto questo. Provo delle brutte sensazioni: mi sembra di trovarmi in un labirinto, dal quale non riesco più a uscire, poi questo labirinto si copre e lì muoio soffocata. Poi mi sembra che qualcosa di nero mi cada addosso.

Ho paura perché vedo delle brutte cose. Ho paura che mia sorella non mi voglia bene, come anche i miei genitori e i miei nonni. Mi sento sola e ho paura di tutto. Ho paura di quello che vedo, di tutto quello che mi sta intorno. Vedo cose brutte dentro di me, che non riesco a cancellare: di gente morta che vuole uccidermi, che mi prende. Poi entro in un buco nero nel quale vedo brutte cose. Vedo gente morta che non conosco, in brutte condizioni che non so disegnare. Ho paura, e se chiudo gli occhi è lo stesso. Tutto questo non riesco a levarlo dalla mente.

Emilia – Secondo racconto

Altre paure di Emilia

Quando ho dormito nella mia stanzetta avevo un po’ di paura; la mamma mi ha raccontato una storia per farmi dormire. La notte ero sveglia perché avevo tanta paura di addormentarmi. La notte, quando ci sono i fuochi d’artificio, ho paura! Poi, per farmi addormentare, non ho più paura del buio.

Emilia racconta anche della paura di addormentarsi. Questa paura è molto frequente nei bambini, tanto che molti di loro non riescono ad allontanarsi dal lettone dei genitori, per ottenere dalla presenza di mamma e papà e dal loro contatto fisico, un minimo di sicurezza. Inoltre, per alcuni bambini, addormentarsi può significare non controllare efficacemente la realtà che li circonda e quindi non poter intervenire se, ad esempio, uno dei genitori sta male. Inoltre, per alcuni bambini abbandonarsi al sonno significa rischiare di non potersi difendere nel caso si fosse assaliti dai ladri, dagli assassini o da altre persone malvagie.

La paura di addormentarsi può essere dovuta anche al timore di non potersi più svegliare o anche di non poter controllare efficacemente gli incubi presenti nei sogni.


La caverna spaventosa

C’era una volta una caverna spaventosa e faceva molta paura, perché uscivano pipistrelli dalla caverna. Dentro c’erano troppi scheletri umani, ragni, ragnatele, topi. Gli uomini erano stati uccisi dalle ragnatele. Non c’erano case attorno alla caverna, che andò sottoterra e ci rimase solo un buco e quando pioveva entrava l’acqua e un fulmine.

Questa immagine di una caverna spaventosa, perché piena di pipistrelli, scheletri, ragnatele, topi, acqua e fulmini, probabilmente è stata tratta da immagini che Ettore aveva visto alla tv o in un qualche video gioco. Tuttavia, il bambino la riporta e la ricorda a causa delle paure che egli stesso provava.

Purtroppo, tanti genitori, impegnati e occupati in mille attività, sottovalutano l’influenza che le immagini terrifiche possono avere sui loro figli. Immagini che restano nella loro mente e nel loro cuore e che spesso continuano a turbarli, anche quando è trascorso molto tempo.

Da notare che l’oggetto della paura viene disegnato con delle punte ed è stato colorato di nero, per dare il senso dell’aggressività e del terrore.

 

Thomas, un bambino di otto anni, prima di essere portato alla nostra osservazione, aveva subìto un cambiamento radicale. Mentre da piccolino appariva un bambino tranquillo, educato attento e sereno, successivamente aveva manifestato numerosi sintomi di disagio psichico: nervosismo, irrequietezza motoria, irritabilità, presenza di tic nervosi, insicurezza, pessimismo, facilità al pianto, paura di molti animali ma anche timore che la madre potesse morire.

I pericoli del mare

C’era una volta un bambino di nome Antonello ed aveva otto anni. Un’estate andò a mare con altri quattro suoi amichetti. Di questi c’era uno con cui andava molto d’accordo. Andarono a mare insieme e fecero un bagno. Il suo amichetto stava affogando per portare un pesciolino al suo amico. Per fortuna non annegò, però annegò veramente un altro suo amico: Provvidenzio. Chiese aiuto, ma pensarono che era uno scherzo, però l’amico cercò di salvarlo e non morì. Gli altri tre amici stavano per essere divorati da una grande voragine. Nessuno li soccorse, ma riuscirono a salvarsi e da quel momento non andarono più a mare.

 Dalla sua storia è evidente come Thomas, a causa dei suoi problemi psicologici, deformi una normale situazione balneare (Andarono a mare insieme e fecero un bagno) in una situazione drammatica, piena di pericoli e rischi per la vita dei suoi compagni (Il suo amichetto stava affogando per portare un pesciolino al suo amico); (però annegò veramente un altro suo amico: Provvidenzio); (Gli altri tre amici stavano per essere divorati da una grande voragine).

Quando in maniera superficiale prendiamo in giro un bambino che manifesta delle paure, che noi giudichiamo assolutamente immotivate, dovremmo sempre tener presente il terrore che può invadere una mente sconvolta!


Paura del maremoto

Un giorno, in estate, ci fu un maremoto, dove tutta la gente era tranquilla, ma successe che le onde incominciarono a bagnare tutta la gente e la spiaggia. La gente gridavano come pazzi. Di pomeriggio ha smesso e tutta la gente era felice di ritornare in quel mare, perché gli piaceva molto.

Simone, che presentava problematiche psicologiche le quali si manifestavano con ansia di separazione della figura materna e somatizzazioni ansiose, descrive una bella giornata estiva (dove tutta la gente era tranquilla), che però viene ad essere turbata da qualcosa che egli amplifica enormemente chiamandolo “maremoto”, che bagna la spiaggia e le persone sdraiate su di essa (ma successe che le onde incominciarono a bagnare tutta la gente e la spiaggia, la gente gridavano come pazzi). Tuttavia, la conclusione è positiva (Di pomeriggio ha smesso e tutta la gente era felice di ritornare in quel mare, perché gli piaceva molto).

Questo amplificare gli eventi in senso negativo, è spesso presente nei bambini che presentano problematiche psicologiche anche non gravi, come nel caso di Simone.


 

Paura dei fulmini e dei tuoni

C’era una volta un bambino di nome Alessandro, di otto anni. Per la sua età ancora era presto per non spaventarsi dai fulmini. Quando c’erano i fulmini voleva addormentarsi nel letto con i suoi genitori, per paura. Un giorno fecero una gita con la scuola in un parco, dove cominciò a piovere e poi vi furono fulmini, grandine e tuoni. Questo bambino si spaventò e andò a dirlo alla maestra, ma lei fece finta di niente considerandola una paura stupida, senza calcolarla più di tanto.

Alessandro raccontò tutto ai suoi genitori, che denunciarono la maestra per non aver dato ascolto al figlio per le sue necessità. La madre andò a parlare con questa maestra chiarendo tutta la faccenda. La madre rinunciò alla denuncia e tutto finì per il meglio.

Ivan, che chiaramente si identifica con il personaggio principale, Alessandro, inizia il racconto difendendosi del giudizio che gli altri potevano avere nei suoi riguardi, a causa della paura che egli aveva dei fulmini (C’era una volta un bambino di nome Alessandro, di otto anni. Per la sua età ancora era presto per non spaventarsi dai fulmini). Purtroppo, in queste situazioni nelle quali un bambino particolarmente emotivo viene assalito dalle paure, gli adulti non sempre riescono a rassicurare il bambino nel modo dovuto. Per tale motivo Alessandro appare soddisfatto del fatto che i suoi genitori avessero denunciato la maestra (Alessandro raccontò tutto ai suoi genitori che denunciarono la maestra per non aver dato ascolto al figlio per le sue necessità). Tuttavia, questa denuncia, che per lui era stata quasi una giusta vendetta e punizione, gli permette in seguito di perdonare la sua insegnante (La madre rinunciò alla denuncia e tutto finì per il meglio).

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

 

Il coraggio nei racconti dei bambini

Il coraggio nei racconti dei bambini

 

 

Un bambino coraggioso

C’era una volta una bomba che mi è esplosa nelle mani. Non mi sono spaventato, anche se usciva sangue. Io volevo restare in piazza, ma un signore mi ha accompagnato a casa. Mia madre mi ha portato all’ospedale. Mi hanno detto che avevo un corpo estraneo nell’occhio. Io ero tranquillo: io sono sempre tranquillo, anche quando mi sono spaccato la schiena dalle ferite. Non mi fa paura niente.

Roberto di nove anni, nel raccontare la sua avventura vuole mostrarsi tranquillo, come un ometto che non ha paura di niente (C’era una volta una bomba che mi è esplosa nelle mani. Non mi sono spaventato anche se usciva sangue). E ancora (Io ero tranquillo: io sono sempre tranquillo, anche quando mi sono spaccato la schiena dalle ferite. Non mi fa paura niente).

 Tuttavia, questo insistere sul tema del coraggio e della mancanza di paura, fa pensare il contrario. Nella realtà Roberto, era un bambino che aveva molto sofferto, sia per la perenne conflittualità presente nei genitori, sia per la loro separazione, avvenuta quando lui aveva appena due anni, e anche per la scarsa presenza della madre nella sua vita, tanto che, a motivo del lavoro della donna, il bambino rimaneva a casa della nonna quasi tutta la settimana. Queste vicissitudini e queste sofferenze avevano provocato in lui numerosi e intensi sintomi di disagio psicologico: incubi notturni, paure, rifiuto scolastico, difficoltà a staccarsi dalla madre durante la notte. Inoltre, nei confronti di questa e del padre provava sentimenti contrastanti d’amore e odio, tanto da avere manifestazioni aggressive verso di loro.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

La bontà e la generosità nei racconti dei bambini

 

Un bambino buono

C’era una volta un bambino che aveva dieci anni e si chiamava Pasquale. Camminando per la strada ha incontrato un vecchietto che era un povero che cercava l’elemosina. “Salve! Le do un po’ di elemosina”. Ha dato l’elemosina. Il vecchietto ha detto: “Grazie per questa tua gentilezza”. Poi il bambino se ne andò a casa e incominciò a dire ai suoi genitori che lui era stato gentile con il poveretto e gli aveva dato l’elemosina. I genitori hanno detto: “Bravo nostro figlio, che è stato così bravo. Poi ha incontrato un altro vecchietto e poi gli ha detto di andarsene a casa. E poi il bambino ha detto: “Andate a casa e riposatevi”. È venuta una ragazza che ha detto al bambino: “Giochiamo un poco con il pallone?”. E poi il vecchietto ha visto una ragazza e un bambino giocare a calcio e ha detto. “È vero che è molto gentile questo bambino!”. Fine.

Peter, un bambino adottato, ha bisogno di dimostrare, prima che agli altri, a sé stesso, di essere un bambino bravo e gentile. Essendo in un’età preadolescenziale, spera anche che le sue buone azioni servano a fargli incontrare una ragazza che gli voglia bene e alla quale voler bene. Il malessere psicologico del bambino si intravede dalla struttura del racconto: poco lineare e con molte ripetizioni.

 

Filippa, una bambina di sette anni, dopo la separazione dei genitori, che era stata aggravata da accuse infamanti verso il padre, si era chiusa nel suo dolore, manifestando paure e comportamenti strani e inusuali per una bambina della sua età.

 


Un albero grande ha bisogno di cure e di compagnia

C’era una volta un albero grande, che si trovava in un giardino da solo. L’albero pensava che non aveva amici, perché non c’era nessuno. Allora noi andavamo a fare il picnic e abbiamo trovato l’albero, gli abbiamo dato l’acqua e mangiato con lui. Poi abbiamo fatto crescere un’altra pianta vicino; era piccola e poi cresceva. Quando siamo tornati era cresciuta ed abbiamo visto un fiore in ogni albero. Un giorno un cacciatore ha pestato il fiore, ha raccolto entrambi i fiori e li ha venduti. I fiori li ha comprati un poliziotto per darli alla moglie, che era contenta.

Proviamo a dare un’interpretazione a questo suo racconto, anche se l’impresa non è facile.

Nelle separazioni, molto spesso, chi rimane da solo è il padre (C’era una volta un albero grande, che si trovava in un giardino da solo). La figlia comprende che il padre è triste in quanto sentendosi abbandonato, avverte il bisogno di qualcuno che gli faccia compagnia e abbia cura di lui (Allora noi andavamo a fare il picnic e abbiamo trovato l’albero, gli abbiamo dato l’acqua e mangiato con lui). La bambina immagina anche che il padre abbia bisogno di un altro figlio o figlia, che gli stia accanto, per avere in modo stabile un po’ d’affetto e compagnia (Poi abbiamo fatto crescere un’altra pianta vicino, era piccola e poi cresceva).

Ora, sia il padre che il figlio o la figlia, hanno la possibilità di crescere e maturare (Quando siamo tornati era cresciuta ed abbiamo visto un fiore in ogni albero). Crescendo e maturando, i due alberi possono offrire qualcosa di buono e bello agli altri (Un giorno un cacciatore ha pestato il fiore, ha raccolto entrambi i fiori e li ha venduti. I fiori li ha comprati un poliziotto per darli alla moglie, che era contenta).

Probabilmente la bambina vorrebbe comunicarci questo concetto: “Se mio padre, accusato di tante nefandezze dall’ex moglie, maturando starà meglio e quindi sarà capace di essere tenero e affettuoso, se accanto a lui vi sarà un bambino o una bambina che può portare gioia a lui e a noi, mia madre sarà felice di accogliere quest’uomo che invece oggi tiene lontano da tutti noi”.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

L'amicizia nei racconti dei bambini

 

Gli amici sono persone che hanno un legame tra loro, a causa dell’età, del lavoro o degli interessi e problemi comuni. Gli amici sono quindi persone che amano frequentarsi per dialogare, giocare e discutere di temi di interesse comune: come lo sport, il cinema, il teatro, la musica. Nelle relazioni amicali vi è certamente una carica emotiva ed affettiva. Per tali motivi in queste relazioni sono importanti il rispetto, la sincerità, la lealtà e la disponibilità reciproca. Anche nei bambini l’amicizia significa dialogo, accoglienza, aiuto reciproco, ascolto e, soprattutto, gioco, indispensabile per sviluppare e maturare tutte le loro capacità.

Nell’amicizia è spesso presente un legame affettivo, che può essere molto tenue e limitato nel tempo ma che, in alcuni casi, può essere molto intenso, solido e duraturo. L’amicizia può instaurarsi anche nei confronti degli animali, giacché anche questi sono capaci di emozioni e sentimenti e amano rapportarsi, mediante il gioco e le specifiche capacità comunicative, con gli esseri umani.

In questi racconti leggeremo molti tipi di legami di amicizia.

 

L’autore di questo racconto è Lorenzo, un bambino di otto anni che presentava disturbi psicoaffettivi di grado medio. Questi disturbi si manifestavano con sintomi importanti come la chiusura, l’inibizione, le numerose e intense paure, l’irrequietezza, la facile irritabilità. Lorenzo, nei confronti della sorella gemella, aveva instaurato un rapporto difficile e conflittuale. Anche con il padre, un uomo impulsivo, che andava facilmente in collera, non vi sussisteva un buon legame.

 

Un albero solo che vuole compagnia

C’era una volta un albero in un prato. Era da solo, perché gli altri alberi erano morti, perché non avevano messo dell’acqua. L’albero voleva compagnia e si sentiva solo. Un giorno qualcuno ha messo un seme e sono nati altri alberi e l’albero più grande li curava. Così sono diventati alberi grandi e hanno potuto giocare. Mentre giocavano e passato un uccello e li ha salutati e loro hanno risposto.

Il bambino si identifica con un albero, che si trova da solo in un prato. L’albero è solo, triste e sofferente perché gli altri alberi sono morti per mancanza di cure e solo lui ha resistito (Era da solo, perché gli altri alberi erano morti perché non avevano messo dell’acqua). L’albero spera di poter aiutare nella loro crescita degli altri alberelli, nati attorno a lui, affinché possano diventare grandi e così poter giocare assieme.

Da questo racconto si può ragionevolmente supporre che il bambino, che soffriva per la mancanza di cure adeguate e per la solitudine, desidera e aspetta uno o più fratellini da curare quando sono piccoli, per poi, quando saranno più grandi, poter giocare con loro.

Rimane da esaminare l’ultima frase: “Mentre giocavano e passato un uccello e li ha salutati e loro hanno risposto”.

Gli uccelli, per la leggerezza e tenerezza che suscitano, rimandano alla felicità, alla gioia e alla libertà. È come se il bambino dicesse: “Una volta che avrò trovato l’amicizia e l’affetto di qualche fratellino con il quale giocare, sarò finalmente libero e felice come lo sono gli uccelli nel cielo”.

Il disegno dell’albero, potrebbe rappresentare lo stesso bambino, piegato dalla sofferenza, ma fiducioso che qualcosa attorno a lui possa migliorare. Da notare che l’albero è a sinistra del foglio e che il tronco è piegato sempre a sinistra. Da ciò si può dedurre che questo bambino presentava ancora una dipendenza emotiva dal passato e un attaccamento all’ambiente originale. La presenza di chiazze sul tronco conferma la presenza in Lorenzo di problematiche interiori non risolte. Il sole, in parte oscurato dalle nuvole, ci conferma che nella psiche di questo bambino erano presenti pensieri malinconici ed elementi depressivi e che il rapporto con la figura paterna non era piacevole e gratificante.[1]

 

Emilio, un bambino di nove anni, presentava disturbi psicologici che si manifestavano con un ventaglio di sintomi: paura della scuola e dei luoghi pubblici, somatizzazioni ansiose, disturbi del sonno con precoci risvegli, paura di rimanere da solo nella stanza. Anche la notte aveva bisogno che qualcuno dormisse insieme a lui. Inoltre, erano facili e frequenti i litigi con la sorella.

 

Il giardiniere

C’era una volta un prato coltivato da un giardiniere. Alcune persone andavano ad osservare. Le persone hanno detto che non gli piace come ha coltivato. Il giardiniere era dispiaciuto e quindi che aveva un amico lo poteva aiutare (il giardiniere ha pensato di farsi aiutare da un amico). Dopo un giorno, le persone passarono di nuovo a vedere e hanno detto: “Che splendido giardino!” Grazie al suo amico lo ringraziò e lui era molto felice di avere costruito un bel giardino.

I bambini sanno che, per costruire attorno a loro un ambiente piacevole e rasserenante, come può essere un bel giardino, è necessario avere degli amici. L’amicizia è capace di infondere nell’animo di ogni bambino, specie se sofferente, la gioia e la serenità necessarie al proprio benessere e al proprio sviluppo affettivo - relazionale.

Emilio inserisce nel disegno tutti gli elementi che potrebbero rendere bello il giardino che, in questo caso, simboleggia la sua vita. Pertanto, vi disegna gli alberi, i fiori, gli insetti, gli uccelli e il sole. Tuttavia, è da notare il colore del sole, che non è chiaro e brillante come ci si aspetterebbe e la presenza di nuvole nel cielo. Questi due elementi intristiscono e disturbano l’atmosfera, per il resto gradevole.  

Leggendo il racconto è facile notare la difficoltà, presente in questo bambino di nove anni, nell’organizzare e strutturare le frasi (Le persone hanno detto che non gli piace come ha coltivato. Il giardiniere era dispiaciuto e quindi che aveva un amico lo poteva aiutare) (Grazie al suo amico lo ringraziò). La causa di queste anomalie è da collegare alla notevole inquietudine interiore, presente nella sua mente.

 

Dèsirée, una bambina di otto anni, presentava ritardo nell’apprendimento della lettura e della scrittura, difficoltà di integrazione con i coetanei, tendenza alla chiusura e alla solitudine, paura di allontanarsi dalla sua abitazione e dai suoi familiari.

 

 

Tre amiche

C’erano una volta tre bambine di nome Camilla e Francesca, e stavano giocando a raccogliere fiori; poi viene una sua amica di nome Laura. Francesca dice: “Vuoi raccogliere i fiori con noi?”. E Laura dice: “Sì”. E si mettono a raccogliere fiori. Poi Camilla dice: “Mi hanno dato tre inviti a una festa e voi, se volete, potete venire”. E loro: “Veniamo, veniamo!”.

Dopo vanno alla festa e poi avevano sbagliato strada che portava al circo, allora la sua amica Laura disse: “Non vi preoccupate, vi accompagno io alla festa, quando finisce andiamo al cinema”. Le amiche vanno al cinema e si siedono e hanno guardato un film. Poi non sono andati a casa. La sua amica dice: “Andiamo allo zoo?”. E loro: “Si”. Sono andate allo zoo a vedere il leone, la scimmia e il panda. Poi si è fatta sera e Francesca dice: “Andiamo a casa”. Sono andate a casa, la madre chiede dove sono state e loro rispondono: “Al cinema, allo zoo”. E poi sono andate a dormire.

È come se la bambina, in questo racconto, avesse raccolto tutti i propri sogni e desideri: trascorrere una giornata felice con la compagnia e l’affetto delle amiche; con queste giocare a raccogliere fiori; andare ad una festa, al cinema e infine, entrare allo zoo per osservare gli animali. Sogni e desideri certamente legati alla sua età ma che, a causa delle sue condizioni psichiche, non era mai riuscita a soddisfare.

La bambina disegna le tre amiche con un’evidente sproporzione tra gli arti inferiori e il resto del corpo (figura 48). Ancora una volta il suo desiderio si scontra con la realtà. Lei vorrebbe essere grande e fare delle cose da grandi (rappresentate nel disegno dalle gambe lunghe sue e delle sue amiche) purtroppo non solo non ha un’età da “grande”, ma non lo è neanche affettivamente ed emotivamente.

La dimostrazione più evidente di ciò è l’aver disegnato il corpicino proprio e quello delle sue amiche molto piccolo, quasi insignificante, sopra delle lunghe gambe. L’immagine della sua tristezza e inquietudine la possiamo veder rappresentata nel cielo, sotto forma di una serie di nuvole.

 

 

 

 

 

Serena- Primo racconto

 

Due amiche

C’erano una volta due amiche, una si chiamava Marialuna e l’altra Giulia. Avevano otto e nove anni. Un giorno, quando dovevano andare a scuola, dovevano entrare alle undici e quindi stettero un po’ insieme. Il giorno dopo la scuola stettero nuovamente insieme e si divertirono.

Serena, un’altra bambina di otto anni, in questo racconto evidenzia soprattutto il piacere di stare insieme ad un’amica, approfittando di qualche ora nella quale non vi è lezione.

È evidente in questo disegno (figura 49), rispetto a quello della bambina della quale abbiamo parlato sopra, una maggiore armonia nei corpi disegnati, il che ci conferma la maggiore maturità affettiva e la migliore condizione psicologica di Serena, rispetto a quella di Desirée, che aveva la stessa età, ma che presentava numerosi e intensi disturbi psicologici.

 

Serena- Secondo racconto

 

Il piacere dello shopping

C’erano, una volta, tre amiche che si volevano bene. Un giorno andarono a prendersi un gelato, dopo andarono a fare shopping e comprarono vestiti. Marialuna comprò cinque vestiti, tre gonne e due magliette; io cinque pantaloncini, cinque magliette e due paia di scarpe: Gabriella comprò cinque vestitini, un pantaloncino e tre magliette. Poi hanno cenato insieme e. il giorno dopo. si sono messi i vestiti nuovi. E soprattutto io ero contenta, con i pantaloncini. Un giorno uscirono di nuovo a fare shopping e incontrarono un altro bambino di nome Simone, molto bello. Due già erano innamorate di lui, ma lui era già fidanzato. Erano contente di averlo incontrato e hanno fatto shopping con lui.

Anche in questo racconto di Serena sono presenti vari indiscussi elementi presenti nelle relazioni tra amiche che si vogliono bene: il piacere di prendersi un gelato; la gioia di fare shopping in abbondanza, senza crearsi problemi di denaro;il cenare insieme; il godere nel pavoneggiarsi con i vestiti appena comprati (il giorno dopo si sono messi i vestiti nuovi. E soprattutto io ero contenta con i pantaloncini); quindi l’immediato innamoramento nei confronti di un ragazzo “molto bello” ma purtroppo già fidanzato! Infine, la felicità di fare shopping anche con questo bel ragazzo.

Da notare in entrambi i disegni (figure 49 e 50), l’attenzione tutta femminile posta nei vestiti e nei particolari dell’abbigliamento.

 

Roberta, una bambina di sette anni, veniva descritta come una bambina apatica, chiusa, irritabile, irrequieta, la quale presentava numerosi sintomi di sofferenza psicologica: somatizzazioni ansiose; fobie e atteggiamenti e comportamenti infantili. Inoltre, Roberta aveva difficoltà nell’impegnarsi in qualsiasi cosa le si chiedesse ed eccessive reazioni di difesa e paura verso gli stimoli esterni.

 

Amicizia tra un delfino e una balena

C’era una volta una piccola balena che si chiamava Giosuè, che andava in giro e si allontanava dalla mamma. Era felice e un giorno ha incontrato un delfino piccolo di nome Kevin e si misero a giocare a nascondersi e lottare. Dopo la mamma non li ha più visti e si sono messi a cercarli. Dopo li hanno trovati e gli hanno detto di non allontanarsi più e non dovevano più uscire da soli. E il delfino e la balena hanno fatto amicizia e stavano nella casa insieme.

La bambina proietta il proprio desiderio di amicizia sugli animali allo scopo di trovare qualcuno con il quale giocare (Era felice e un giorno ha incontrato un delfino piccolo di nome Kevin e si misero a giocare a nascondersi e lottare). La mamma va a cercarla e la rimprovera per essersi allontanata. La fine del racconto fa capire come il bisogno di autonomia si contrapponga ai richiami dei genitori e alle eccessive richieste di una maggior prudenza. Cosa che può impedire la possibilità di instaurare delle nuove, preziose amicizie.

 

 

 

Giuseppe – Primo racconto

 

Si può essere amici anche di un drago

C’era una volta un drago che si chiamava Fuoco e un bambino che si chiamava Giuseppe. Questo drago viveva in una grotta, mentre il bambino in un castello. Un giorno il bambino si reca nella grotta e vede il drago che era buono. Fanno amicizia e siccome altri cavalieri non volevano che lui lo toccasse, il drago e il cavaliere scapparono e vissero felici e contenti. Un giorno gli altri cavalieri li attaccarono, ma il drago sputava fuoco e uccise i cavalieri e distrusse il castello. Tutti e due vissero felici e contenti nella grotta.

Anche i maschi raccontano delle amicizie ma, come possiamo leggere, i loro racconti sono alquanto diversi da quelli delle femminucce: essi raccontano frequentemente di castelli, cavalieri, armi, spade e lotte senza quartiere.

Giuseppe, un ragazzino di dieci anni, racconta di un’amicizia con un drago (figura 52). Quest’amicizia non è accettata dagli altri cavalieri. Tuttavia, questo legame è tanto solido che il drago e il bambino fuggono insieme per vivere felici. E anche quando i cavalieri li attaccano il drago “Fuoco” li distrugge, sputando fiamme dalle sue fauci.

I disturbi psicologici di Giuseppe, sono evidenti in alcuni elementi del racconto. Intanto è strano che egli, vivendo in una invidiabile dimora principesca, come un castello, trovi un ambiente di vita più sereno e felice in una semplice e umile grotta, nascosta e lontana dagli altri esseri umani (Tutti e due vissero felici e contenti nella grotta).

La fragilità psichica di Giuseppe è evidente anche dal fatto che per difendersi ha la necessita di chiedere l’aiuto di un drago, un essere enorme, forte e aggressivo e non in un altro essere umano (Un giorno gli altri cavalieri li attaccarono, ma il drago sputava fuoco e uccise i cavalieri e distrusse il castello).

Il motivo di questa scelta risiede nella difficoltà che i bambini con disturbi psicologici hanno quando cercano di far amicizia con i compagni, a causa delle loro paure e dell’eccessiva timidezza e chiusura che spesso è presente nella loro mente.

Questi bambini a volte non provano neanche ad intrattenere dei rapporti sociali e, quando li cercano, spesso non riescono a ben gestirli e mantenerli, a causa delle difficoltà che hanno nel confrontarsi, comunicare e giocare in maniera adeguata.

Apparentemente incomprensibile è la necessità di Giuseppe di distruggere il castello. Questa necessità si può spiegare soltanto con la sfiducia che egli aveva nei confronti del suo ambiente familiare e sociale, nel quale non si trovava a suo agio a causa di una madre eccessivamente ansiosa e di una nonna problematica.

Giuseppe – Secondo racconto

 

Giochi irruenti

C’era una volta un gruppo di tre amici che giocavano alla playstation e dicevano parolacce. Giocavano a vari giochi e si buttavano addosso. Uno si chiamava Thomas e lui si metteva nel covo anti-Salvatore, mentre gli altri, Salvatore e Samuele si buttavano di sopra. Io, quando entravano nel covo, prendevo a calci Salvatore per farlo uscire. Un giorno abbiamo rotto tutta la stanza, è entrata la zia di Giuseppe, ci ha sgridati e siamo andati tutti a casa.

I giochi amicali dei maschi tendono ad essere aggressivi e irruenti, soprattutto se questi presentano, come Giuseppe, disturbi psicologici di una certa importanza.

 

 

Dei cinghiali per amici

Una coppia di genitori, che hanno due figli ancora piccoli e insieme vanno a fare un picnic in campagna ma, mentre mangiano, sentono dei cinghiali. Per non farli scappare gli danno da mangiare e così i cinghiali si avvicinano di più a loro e si fanno accarezzare, conquistando la loro fiducia. All’inizio gli lasciavano il cibo, ma pian-piano glielo davano da vicino. Dopo averli accarezzati, era quasi buio, e se ne vanno, felici di averli accarezzati. I cinghiali si fanno una tana lì vicino.

Questa strana amicizia con i cinghiali può forse essere spiegata dal fatto che Giulio era spesso vittima dei comportamenti e degli atteggiamenti sprezzanti dei compagni di scuola, a causa del suo aspetto poco gradevole. È come se Giulio dicesse: “Se sono escluso e allontanato dai bambini normali, perché non sono grazioso e bello come loro, gli unici possibili amici che potrei avere sono degli animali che hanno un aspetto sgradevole come il mio!”

 

Alessio, un bambino di sei anni, venuto alla nostra osservazione per problemi di fobia scolare, in questo racconto ci trasporta in un mondo magico, abitato da maghi, elfi e streghe.

Il tema della solitudine, e della difficoltà di avere degli amici è frequente nei racconti dei bambini. Spesso noi operatori tendiamo a collegare le difficoltà d’integrazione e socializzazione, quasi in modo esclusivo, ai bambini che presentano sintomi di autismo. In realtà tutti i bambini che lamentano problematiche psicologiche hanno, in vario grado, come abbiamo visto in tanti racconti, difficoltà nell’integrazione e nella socializzazione, soprattutto con i coetanei.

Un elfo va alla ricerca di amici

C’era una volta un elfo che non aveva amici. Un giorno, per cercare di avere amici, andò da un mago e gli chiese se aveva una pozione per fargli avere molti amici, ma il mago gli rispose che non ne aveva e per avere questa pozione magica doveva battere, in un castello, una strega. L’elfo andò in questo castello. Prima di arrivare dalla strega ha dovuto salire cento scale. Quando arrivò all’ultimo piano, dove c’era la strega, gli disse che la voleva sfidare e la strega gli disse di sì. Dopo un po’ di tempo l’elfo è stato battuto, e gli ha detto che ritornava molto più forte. L’elfo decise di andare a casa per allenarsi. Si allenò per cinquant’anni, poi decise di ritornare al castello, però, per arrivarci, ha dovuto affrontare un serpente velenoso e lo sconfisse. E l’elfo gli disse se voleva aiutarlo a battere la strega e il serpente gli disse di sì, cosi andarono avanti. Poi ha incontrato un grosso lago, nel quale non c’erano barche. Poi l’elfo vide un cavallo che poteva volare e gli chiese se poteva trasportarli fino alla fine del lago, per andare al castello. Quando sono arrivati il cavallo gli ha chiesto se poteva venire con l’elfo e l’elfo gli disse di sì e andarono avanti. Poi incontrarono un muro fortissimo e insieme, tutti e tre, si chiesero come passare il muro. Lo sentì un uomo roccioso e gli disse: “Vi posso aiutare io”. E distrusse il muro. Alla fine, l’elfo gli chiese se voleva andare con loro e battere la strega e arrivarono al castello e tutti insieme riuscirono a battere la strega.

Il bambino, che aveva notevoli difficoltà ad integrarsi con il gruppo dei pari, si identifica con un Elfo, una creatura piccola e nascosta che ha, tuttavia, un disperato desiderio e bisogno di avere degli amici. Per ottenere ciò, l’unico strumento che immagina è quello di una pozione magica, che dovrebbe permettergli di sconfiggere una strega. Probabilmente Alessio, in questa sua scelta, è influenzato dal fatto che nei confronti della madre aveva un rapporto ambivalente: da una parte egli cercava le coccole di lei per rilassarsi e per diminuire la sua tensione e ansia interiore, dall’altra il bambino manifestava, nei confronti della madre un atteggiamento aggressivo e irritante, poiché non si sentiva da questa accolto e compreso.

Per arrivare alla strega e batterla dovrà soffrire e penare a lungo. Dopo aver salito cento scalini viene inizialmente battuto dalla strega. Dovrà allenarsi per cinquant’anni, per avere la possibilità di riuscire a sconfiggerla. Inoltre, dovrà superare un muro altissimo e avrà bisogno di farsi aiutare da un serpente e da un cavallo alato.

Il bambino è, quindi, consapevole delle proprie difficoltà e chiede aiuto a due realtà opposte: a qualcosa di brutto, viscido e velenoso, un serpente, ma anche a un essere esuberante, forte, slanciato e bello come può essere un cavallo alato. Insomma, per battere qualcosa di infido e negativo, e così poter avere tanti amici, egli ha bisogno di qualcosa di molto turpe e aggressivo ma anche di qualcosa di molto bello e forte.



[1] Crotti E., Magni A. (2003), Colori, Novara, Edizioni Red!, p. 51

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

L’amore nei racconti dei minori

Questa tematica è frequente nei racconti dei bambini e, soprattutto, degli adolescenti.

 

Amore per un albero morente

C’era una volta un albero bello, che stava per morire, perché non aveva acqua. Un giorno un contadino lo vide un po’ appassito e gli mise dell’acqua. E così rivisse e fece tanti frutti: le mele.

Il bambino identifica sé stesso, e tutti quelli che come lui soffrono per la mancanza di qualcosa di essenziale, in un albero che sta per morire per mancanza d’acqua (C’era una volta un albero bello, che stava per morire, perché non aveva acqua). Anche gli esseri umani possono morire in senso psicologico, quando soffrono per carenze affettive e sono privati di relazioni e cure essenziali per il loro sano sviluppo emotivo: come la dolcezza e la tenerezza; le dimostrazioni d’affetto e di amore; il dialogo e l’accoglienza.

Quando il contadino dà all’albero morente ciò di cui ha bisogno: l’acqua, la pianta ritorna a vivere, tanto da produrre frutti (E così rivisse e fece tanti frutti: le mele). Allo stesso modo quando a un bambino che soffre di carenze affettive sono di nuovo rivolte le attenzioni, le cure e l’amore delle quali ha bisogno, egli riacquista gradualmente la serenità perduta e può svilupparsi normalmente, tanto da poter offrire ai suoi familiari e alla società i frutti della sua umanità (E così rivisse e fece tanti frutti: le mele).

Nel disegno dell’albero effettuato prima del racconto, le problematiche psicologiche del bambino sono evidenti dalla mancanza di radici, dalla chioma molto schiacciata e dalla presenza di alterazioni nel tronco.

  

 

Lorenzo, un bambino di otto anni, che lamentava disturbi psicologici che si manifestavano con paure, irrequietezza, chiusura, inibizione, irritabilità e atteggiamenti aggressivi verso la sorella, riconosce, com’è giusto che sia, l’amore dei genitori più dai loro comportamenti che dalle parole.

 

Amore dai genitori

Un giorno eravamo a mare ed io stavo facendo vedere un tuffo alla mamma e ancora eravamo con i braccioli; quando ho fatto il tuffo si è rotto un bracciolo e dopo un po’ se ne sono accorti. E papà si è buttato con tutti i vestiti e con gli occhiali a salvarmi e nelle tasche aveva tutto, anche il telecomando del cancello.

Nell’episodio che racconta, egli riconosce l’attaccamento paterno nei suoi confronti nel momento in cui l’uomo, pur di salvare il figlio che temeva potesse annegare, si lancia in mare con tutti i vestiti, con gli occhiali e anche con l’importante telecomando del cancello di casa (e papà si è buttato con tutti i vestiti e con gli occhiali a salvarmi e nelle tasche aveva tutto, anche il telecomando del cancello).

Cettina - Primo racconto

 

Un abbraccio mancato

Si chiama Ines, ha cinque anni. Voleva abbracciare la sua mamma e la mamma gli dice: “Ma non mi abbracciare, perché mi sto facendo la doccia!”. La mamma non l’ha voluta abbracciare.

Cettina, come tutti i bambini, dà molto valore ai gesti, più che alle parole. La bambina manifesta chiaramente il suo cruccio verso la madre, quando questa le fa mancare quel gesto d’amore che lei si aspetta. In questi casi per i bambini non è molto importante che ci sia una valida motivazione: “Devo andare, al lavoro”. “Devo telefonare”. “Faccio tardi in ufficio”. “Ho fretta. Non posso trattenermi con te”. “Devo sbrigarmi”. Oppure come in questo caso: “Ma non mi abbracciare, perché mi sto facendo la doccia!” .

 

 

Cettina - Secondo racconto

 

 

Mamma, ti amo

C’era una volta una bambina che si chiamava Lorena, aveva sei anni, giocava con i suoi amici ed era tanto grande. Prendeva i colori e disegnava. Dopo aver finito di disegnare prendeva un giochino e ha scritto: “Ti amo” a sua mamma e la mamma ha detto: “grazie”.

L’amore per i genitori si può esprimere in maniera molto semplice, scrivendo semplicemente “Ti amo”. Ma ciò è possibile e avviene se vi sono dei presupposti relazionali e di comprensione dei bisogni dei figli. In questo caso Cettina ne descrive alcuni: lei aveva la possibilità di giocare con i suoi amici; poteva disegnare e colorare; le era stata data la possibilità di sviluppare normalmente la sua personalità e sentirsi grande. Da notare nel disegno, la notevole sproporzione tra gli arti e il tronco dell’omino, forse per il suo desiderio di sentirsi grande, mentre in realtà aveva soltanto cinque anni.

 

Cettina - Terzo racconto

 

I fiori nei capelli

È un albero. Sta fuori. L’ha messo un signore. L’albero parla con un suo amico Peppe e gli dice: “Dove stai andando? E Peppe risponde: “Sto andando a mangiare fuori”. E l’albero: “Ma non si può andare perché piove! Non si può andare perché è freddo”. E l’albero è andato a dormire. Ha fatto bei sogni. Ha pensato di sposarsi con la sua fidanzata. La fidanzata aveva i fiori nei capelli.

Molto tenero e poetico quest’altro racconto di Cettina. Lei immagina due alberi che parlano, come potrebbero fare due amici. Sono discorsi da persone grandi e non certo da bambini (“Dove stai andando? E Peppe risponde: “Sto andando a mangiare fuori”) e l’altro ribatte (“Ma non si può andare perché piove! Non si può andare perché è freddo”). Così come da persone grandi sono i sogni che fa l’albero (Ha pensato di sposarsi con la sua fidanzata. La fidanzata aveva i fiori nei capelli).

È evidente come questa bambina di appena cinque anni proietti i suoi pensieri ad un’età molto superiore alla sua. Altrettanto palese è la sua maturità intellettiva e affettiva che le permette di costruire dei racconti brevi, ma emotivamente molto ricchi e stilisticamente maturi. Non così le sue capacità nel disegno, le quali manifestano chiaramente la sua età cronologica. 

 

Amore per i nonni

Un ragazzo di nome Giuseppe, che viveva lontano dai tre quarti della famiglia. Lui viveva solo con papà e mamma. Per Natale tutti facevano dei regali. Scrisse una lettera ai nonni, facendo gli auguri di Natale con il proposito che si sarebbero visti presto. Con i nonni c’era un legame forte. Ricevette molti regali di Natale, ma lui voleva solo quello dei nonni. Aldo, il postino, gli portò un regalo con il motorino. Un giorno lo vide spuntare con un camion per una consegna speciale: era un immenso regalo dei nonni: una bicicletta. Nonostante i suoi genitori non volessero mandarlo a Miami, dove vivevano i nonni, lui scrisse un biglietto ai suoi genitori, dicendo che sarebbe andato dai nonni. Questi l’accolsero e poi tornò nella sua città, felice di avere rivisto i suoi nonni.

L’amore verso i nonni, se questi sanno ben relazionarsi con i nipoti, è molto importante per i bambini i quali li sentono come una componente essenziale della famiglia, dalla quale non possono fare a meno (Un ragazzo di nome Giuseppe che viveva lontano dai tre quarti della famiglia. Lui viveva solo con papà e mamma).

In questo, come in tanti altri casi, quando il rapporto con i genitori non è dei migliori, il legame che si stabilisce è notevolmente forte, tanto da far dire a questo bambino che “Ricevette molti regali di Natale ma lui voleva solo quello dei nonni”. L’amore per questi nonni era talmente grande da spingerlo a fuggire di casa per andare a trovarli a Miami, in America.

 

Un girasole d’amare

C’era una volta un girasole, che era il più bello del mondo e lo volevano tutti; si trovava in un castello, perché una volta questo girasole era una persona. Poi una strega lo trasformò in girasole. Si diceva che chi riusciva a staccare questo girasole dall’erba, il quale non si staccava facilmente, era il suo vero amore. Un giorno un ragazzo, ricercato dalla polizia, voleva provarci. Riuscì a staccarlo e rimase stupito perché, dal centro di questo girasole, uscì una bellissima ragazza, che era una principessa. Il ragazzo rimase ancora più stupito e la ragazza gli disse: “Grazie, mi hai fatto uscire, allora sei tu il mio vero amore”. Lui non sapeva che cosa risponderle e scappò.

Poi, la bella principessa diventò di nuovo un girasole, perché ci voleva il bacio del suo vero amore. Poi questo ragazzo si pentì, pensando che sarebbe diventato un principe e ricco, ma quando tornò dal girasole non riuscì più a staccarlo. Poi, un giorno, passò di lì un altro ragazzo e quando dal girasole uscì la bella principessa, anche se rimase stupito, la baciò. Era il suo vero amore e si sposarono.

Pina dimostra di avere delle idee chiare nel campo amoroso. Non basta incontrare un ragazzo qualunque, specialmente se non ha una buona reputazione, per lasciarsi andare a una storia d’amore. Ci vuole qualcosa di più e di meglio: ci vuole un vero amore. 


Un amore in riva al mare

C’era una volta un uomo e una donna, entrambi giovani; erano innamorati. Sono andati al mare e guardavano il tramonto. Lui aveva venti anni, di nome Gigi. Aveva un gatto e viveva da solo. Lei si chiamava Sara, aveva 19 anni, viveva con i suoi genitori che erano buoni, ma non la capivano tanto. Lei era un po’ infelice.

In questo racconto Fabrizio, di undici anni, mette in evidenza la possibilità che hanno due giovani di volersi bene e stare insieme per sostenersi e aiutarsi a vicenda, dandosi reciproca comprensione e amore, anche se entrambi lamentano dei problemi: il ragazzo ha soltanto la compagnia di un gatto e la ragazza vive con dei genitori buoni, dai quali, però, non viene capita.

La solitudine e la tristezza del ragazzo si evidenzia anche dal suo disegno, nel quale il colore è assente e il sole è come nascosto dalle montagne molto appuntite, che fanno pensare all’aggressività. Inoltre, in alcune di esse, si scaricano fulmini e temporali, come se la natura non solo non lo volesse accogliere ma dimostrasse nei suoi confronti sentimenti di aggressività e violenza.  

 

Pina era una bambina di nove anni che presentava disturbi psicoaffettivi, che si manifestano con somatizzazioni ansiose, paure, comportamenti invadenti nel gioco e nei rapporti con i coetanei, ridotta autostima, eccessiva selettività alimentare, notevoli difficoltà nella scrittura e nella lettura.

 

Pina - Primo racconto.

Lupi mannari e vampiri

C’era una volta una ragazza di nome Bella, e la madre la manda a vivere dal padre. A scuola incontra Edward, bellissimo, che è dietro il suo banco. Lei si gira, lui la guarda. Le amiche di lei le dicono che non si potrà mai fidanzare con Cullen, perché è un vampiro. Bella si siede con Edward e lui le dice di allontanarsi. Poi si fidanzano e lui le dice che è un vampiro. L’amico di Bella, Jacob, è un lupo mannaro, e i lupi mannari e i vampiri non vanno d’accordo e lottano. Poi c’è un vampiro di nome Vittoria, cattiva, che vuole uccidere Bella per farla diventare un vampiro. Edward deve partire e Bella rimane con Jacob e vuole andare con lui sul motorino e si fa male alla testa. Lui, come sempre, si toglie la maglietta, perché è un lupo mannaro, e gliela mette sulla fronte. Lei si butta da uno scoglio alto. Poi incontra Vittoria: la cattiva. E poi Jacob salva Bella. La sorella di Edward prevede il futuro e dice che Bella sarebbe morta. Poi Alice incontra Bella e le dice che Edward vuole uccidersi per amore.

Il racconto che effettua la bambina, molto spezzato e in alcuni tratti poco chiaro, riporta probabilmente una storia vista in qualche film o cartone animato. Com’è evidente, gli elementi che predominano nel racconto sono la violenza, la morte e la cattiveria. È come se la bambina avesse introiettato e poi espresso, o meglio vomitato nel suo racconto, una serie di elementi tratti dai film dell’orrore ai quali, durante la notte, sistematicamente assisteva insieme alla sorella.

 

Secondo racconto

 

Lagrime d’amore

C’è una donna che piange lacrime d’amore, perché amava una persona che per lei era fantastica. Non aveva mai incontrato una persona così. Un giorno, quando è uscita, ha visto questa persona, è ritornata a casa e si è messa a piangere. La madre la guardava in modo strano, perché non capiva perché piangeva. E la figlia le disse che amava questa persona, ma non un amore come tutti gli altri. La madre la prese per pazza, perché non capiva cosa aveva veramente. Un giorno uscì e rivide questa persona, poi le disse: “ciao” e lui gli domandò dov’era una certa via. Lei, come scusa, gli disse che anche lei doveva andare in una certa via. Così si sono messi a parlare e hanno raccontato di loro. Poi lei era arrivata a casa e si è chiusa dentro una stanza, ha preso un pupazzo e ballava per tutta la casa con questo pupazzo. La madre la guardava strana e le disse se aveva fame e la figlia le disse: “Mamma, mi sono completamente innamorata”.

Il giorno dopo è andata a scuola e vide che il nuovo ragazzo, che c’era in classe, era quello che lei amava. Quando tornò a casa vide che lui abitava vicino a lei e poi fecero sempre più conoscenza e un giorno lui le chiese se voleva diventare la sua ragazza. Poi lei è scappata. È andata a casa e si è messa a urlare di gioia. Poi è ridiscesa da lui e gli ha detto un gran “sì”.

Questo racconto e il disegno che lo accompagna, sul tema dell’amore, è di Pina, la stessa ragazzina che aveva fatto il precedente racconto carico di aggressività e violenza. La terapia rivolta nei confronti dell’ambiente familiare aveva modificato in meglio la psiche della ragazza, dandole maggiore serenità. In particolare, i genitori di Pina erano riusciti a modificare i loro comportamenti, così da offrire alla figlia un ambiente più sereno e fisiologico, nel quale la figlia poteva meglio sviluppare la propria personalità.

Com’è facile notare, questo racconto, oltre ad avere contenuti diversi, molto più sereni e adeguati, è nettamente più organizzato nella sua struttura linguistica.

 

 

Amore per la pace

C’era una volta un missile che partiva per la guerra ed è tornato colorato con tanti colori diversi. Allora il suo amico Ciops gli ha detto: “Sei bellissimo!”. E lui gli ha detto: “Quando sono andato a fare la guerra sono passato da un arcobaleno e siccome stavo perdendo i colori, a causa della guerra, mi ha donato tutti i suoi colori”.

Roberto vuole esprimere in questo racconto, e nel disegno che lo accompagna, l’amore per la pace, che è insito in quasi tutti i bambini che rientrano nell’ambito della normalità.  Questi vorrebbero che attorno a loro, nelle loro famiglie, la serenità e la pace fossero sistematicamente e frequentemente presenti.

 

Amore, abbandono, tradimento e riconciliazione

C’era una bambina che andava in cerca del suo cagnolino sperduto. La bambina, di nome Melissa, voleva trovare il suo cagnolino Buy. Quando trovò il suo cagnolino, la mamma chiamò Melissa per cenare. Era notte, Melissa lasciò là il cagnolino e lui (il cagnolino), pensando che non lo voleva più, se ne andò lontano, in America, dove trovò un’altra bambina che disse: “Che bel cagnolino”! (La bambina) lo voleva portare a casa. Melissa andò di nuovo a cercarlo ma, non avendolo trovato, chiese alla madre di comprarne un altro. Il cagnolino, in America, pensò a lei, ma la bambina con il nuovo cagnolino si divertì, ma poi lo lasciò nel bosco, dove un lupo lo mangiò. Ma poi tornò a riprenderlo ma la madre la chiamò: “Lo cercherai domani il cagnolino”. L’indomani la bimba andò a scuola. Al suono della campanella tornò a casa con la mamma, e cercò di nuovo. Melissa, sentì un suono pensando che fosse il lupo, ma sapeva che fosse solo una storia. Il cane in America tornò e chiese di essere ripreso e lei accettò vivendo felici e contenti, senza comprare mai più cani.

In questo racconto Martina, una bambina di sei anni, traccia molto bene, utilizzando la sua sensibilità squisitamente femminile, la grande tematica della complessità e instabilità delle relazioni affettive e amorose. In queste relazioni, come ben sappiamo, sono presenti a volte sentimenti poco coerenti e, a volte, contrastanti: un grande amore spesso viene sostituito da un altro; un legame iniziato rischia di essere sciolto e abbandonato; la fedeltà promessa può essere violata dai tradimenti; un amore che sembra finito può ritornare a farsi vivo nel cuore dell’innamorato, per cui dalla rottura di una relazione e dall’abbandono si può ritornare a una riconciliazione.

Una bambina va in cerca del suo cane Buy, che si era perduto. Lo trova ma poi, appena la madre la chiama, lo lascia, anche se è notte, e quindi in qualche modo lo abbandona (C’era una bambina che andava in cerca del suo cagnolino sperduto. La bambina, di nome Melissa, voleva trovare il suo cagnolino Buy. Quando trovò il suo cagnolino, la mamma chiamò Melissa per cenare. Era notte, Melissa lasciò là il cagnolino).

Le conseguenze di questo suo atto sono prevedibili in quanto, se qualcuno viene lasciato dalla persona che dovrebbe averne cura, può giustamente presumere di essere stato abbandonato e rifiutato, pertanto è indotto ad andare via, il più lontano possibile. Non solo. Chi è abbandonato facilmente potrà accettare, anche se a malincuore, le attenzioni e le cure che un’altra persona è disposta a dargli (pensando che non lo voleva più, se ne andò lontano, in America dove trovò un’altra bambina che disse: “Che bel cagnolino”! (La bambina) lo voleva portare a casa).

Anche la persona che ha interrotto le cure, inizialmente cerca di consolarsi, cercando di legarsi e provare piacere e gioia instaurando un altro rapporto affettivo (Melissa andò di nuovo a cercarlo ma, non avendolo trovato, chiese alla madre di comprarne un altro). E così, nonostante il cagnolino in America pensasse alla bambina, lei si divertiva con il nuovo cagnolino (Il cagnolino, in America, pensò a lei, ma la bambina con il nuovo cagnolino si divertì).

 Tuttavia, anche se tardivamente, affiora nella bambina il pentimento per le omissioni compiute (non essersi occupata del cagnolino e successivamente non averlo cercato). Pertanto, abbandona il nuovo cucciolo il quale fa una tragica fine, poiché viene mangiato da un lupo (ma poi lo lasciò nel bosco, dove un lupo lo mangiò).

Dopo gli abbandoni e i tradimenti la bambina inserisce un lieto fine tra lei e il suo primo amore: il cane ritorna dall’America e chiede di essere ripreso e la bambina lo accetta (Il cane in America tornò e chiese di essere ripreso e lei accettò vivendo felici e contenti senza comprare mai più cani). Tuttavia, come abbiamo visto, non vi è un lieto fine per il cagnolino che avrebbe dovuto consolare le sue esigenze amorose, perché viene mangiato da un lupo.

Le ultime parole sono come un monito che la bambina rivolge a sé stessa (e lei accettò vivendo felici e contenti senza comprare mai più cani): cioè non lasciarsi trascinare dal piacere della novità di un nuovo amore e non tradire mai più.

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

La ricerca di calore, serenità e gioia nei racconti dei bambini

 

Tutti noi cerchiamo ambienti ricchi di luce e calore.  Tutti noi cerchiamo affetto, tenerezza e gioia. Tutti noi cerchiamo di vivere in un ambiente ricco di parole e comportamenti che ci facciano stare bene.

Questo desiderio è ben espresso nei seguenti racconti.

 

 

Aspettando l’estate

C’era una volta una bambina a casa sua in inverno, e non vedeva l’ora che arrivasse l’estate, così era più felice, e stava meglio. Lei voleva addormentarsi; poi si sveglia e c’era l’estate ed era felice, perché tutto andava bene.

Luisa, una ragazza di tredici anni, aspetta il calore e la luce dell’estate per stare bene. Anche perché d’estate non c’è la scuola e con la scuola i compiti; non ci sono i compagni che ti prendono in giro; non ci sono gli insegnanti che ti rimproverano. Inoltre, durante l’estate, i genitori non sono assenti per lavoro e per le tante occupazioni del vivere quotidiano! Nel disegno (figura 36), la bambina inserisce un sole molto grande, proprio per dare l’idea dell’importanza della luce e del calore del sole.

 

 

 

 

La scelta

Vi era un bambino che si trovava a volte in un ambiente caldo, altre volte in un ambiente freddo. Ma non era contento di ciò. Un giorno fece una scelta: “Preferisco il caldo.” Se ne andò per trovare il caldo e viverci a lungo. La sua scelta era giusta. Il freddo lo rendeva triste. Il caldo lo faceva sentire forte e felice.

In questo racconto e nel disegno che lo accompagna, almeno apparentemente, Ivan, un bambino di otto anni, discute con sé stesso, su un tema del quale si dialoga, a volte, tra amici: “Si sta e si vive meglio in un periodo caldo, come durante l’estate, o quando vi è freddo, come in inverno?” Tuttavia, conoscendo il bambino, la sua famiglia, e gli altri racconti da lui prodotti, possiamo interpretare questo dilemma di Ivan in modo più profondo, intimo e personale. Per il bambino vivere in un ambiente caldo può significare ritrovarsi, in ogni momento, investito dall’ansia genitoriale, dalle paure nei confronti di qualche malanno che può colpire i nonni, dalle tensioni tra mamma e papà e tra loro e i nonni. Vivere in un ambiente freddo, invece, può indicare la necessità di proteggersi e allontanarsi, almeno psicologicamente, da un ambiente troppo pregno di emozioni intense e dolorose. Ma questa scelta costringerebbe Ivan a limitare le proprie relazioni e quindi la propria vita. Se l’interpretazione che abbiamo dato è corretta, questo bambino, in quel momento, si trovava a scegliere tra chiudersi in sé, in modo tale da proteggersi dalle emozioni troppo dolorose e frequenti presenti nel proprio ambiente, oppure lasciarsi andare a queste emozioni e a queste esperienze, con il rischio di soffrire intensamente.

In questo racconto, la scelta che egli fa: “Preferisco il caldo”, potrebbe essere stata possibile dal fatto che i genitori e i familiari, aiutati dai terapeuti, avevano modificato i loro comportamenti, migliorando i rapporti di coppia e costruendo attorno al bambino un ambiente sufficientemente sereno e adeguato ai suoi bisogni. Un ambiente, quindi, che permetteva a Ivan di accettare e aprirsi al suo ambiente di vita.   

 

Felicità è bere una tazza di latte al bar

C’era una volta una ragazza che adorava tanto andare al bar e prendersi una tazza di latte caldo. E le piaceva bere il suo latte caldo all’aperto. Però un giorno decisero di chiudere il bar, e appena la ragazza seppe che il bar era chiuso, lei si rattristì molto, perché era il suo bar preferito. E allora cercò di andare nel bar chiuso per farlo aprire a qualunque costo. E allora non volevano aprirlo. Però lei poi era davanti ad un mercato e vide un braccialetto che era un portafortuna, allora lo comprò ed esprime un desiderio e desiderò che il bar aprisse di nuovo, per bere il suo buonissimo latte caldo. Il sogno si realizzò e allora lei, tutte le mattine, andava a prendere il suo latte caldo, bevendolo all’aperto.

Katia ha un desiderio: andare la mattina al bar preferito e bere una tazza di latte caldo.

Questo desiderio può essere interpretato letteralmente, poiché tutti noi abbiamo bisogno di iniziare la giornata con un evento usuale e piacevole, come può essere prendere al bar un buon latte caldo o un caffè, che ci dà una carica di energia e ottimismo, sufficienti ad affrontare una giornata di studio o lavoro.  Tuttavia, se cerchiamo di interpretare in maniera più profonda e personale, questo bisogno così intenso di Katia, possiamo pensare che il suo bisogno di latte caldo si riferisca a qualcosa di molto più importante. Infatti, il desiderio più grande e intenso che la bambina manifestava, quando dialogava con noi, era quello di rivedere il padre, stare con lui, essere da lui abbracciata, essere da lui coccolata e protetta. Tutto ciò, purtroppo, a Katia era negato, in quanto la madre giudicava il padre, dal quale era separata da tempo, un poco di buono, da allontanare non solo dalla propria vita ma anche da quella della figlia. Pertanto, le impediva di vederlo, anche solo per un saluto, anche solo per un abbraccio e un bacio. E Katia soffriva molto di questa privazione.

Se consideriamo che qualche volta, all’inizio della separazione, la madre abbia permesso alla bambina e al padre di vedersi in un bar, per stare un po’ insieme e nello stesso tempo fare colazione, possiamo facilmente immaginare che quel latte caldo, che la bambina voleva bere tutte le mattine, assuma una valenza particolare. Quel latte caldo, sorbito in quel particolare bar, potrebbe avere per la bambina il significato di potersi ritrovare, almeno nella fantasia, ogni mattina accanto al padre.

Questa interpretazione è avvalorata dal fatto che la bambina, nel suo racconto desiderava ardentemente che quel particolare bar e non un altro, riaprisse (E allora cercò di andare nel bar chiuso per farlo aprire a qualunque costo).

 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

La scuola nei racconti dei bambini

Non vi è alcun dubbio sulla utilità della scuola, per le funzioni che questa benemerita istituzione esplica nella crescita culturale, educativa, formativa e socializzante dei minori. Avere un luogo specifico, con del personale appositamente preparato per svolgere tutti questi importanti compiti è essenziale nelle nostre moderne società.

 Tuttavia, non tutti i minori riescono a vivere bene la realtà scolastica. Spesso i bambini che presentano delle disabilità, difficoltà nell’apprendimento o delle peculiarità fisiche o psichiche sono irrisi, esclusi ed emarginati dal gruppo classe o, ancor peggio, sono attuati nei loro confronti comportamenti di ostracismo e bullismo.

Per quanto riguarda poi i bambini che presentano problematiche psicologiche con ansia, paure, irritabilità, instabilità, chiusura, disturbi del comportamento, questi hanno notevoli difficoltà ad accettare gli orari, il ritmo, le norme e le regole presenti nell’ambiente scolastico.

 

 

 

In questo disegno di Gabriella, che è anche un racconto, la bambina manifesta la sua insofferenza e il rifiuto per la scuola: “Non voglio andare a scuola” dice la bambina alla mamma. Quest’ultima ribatte quasi in modo automatico: “Ma ci devi andare”. In queste due battute è sintetizzato il frequente scontro che avviene tra i bambini che, per motivi vari, soffrono nel frequentare questa istituzione e vorrebbero sfuggire all’obbligo istituzionale.  

Da notare nel disegno le finestre della scuola, chiuse come da inferriate, per indicare che per la bambina la scuola è come un carcere, dal quale è difficile evadere. Anche nei due personaggi si possono evidenziare dei particolari rivelatori: sul viso della bambina che non vuole andare a scuola vi è una traccia di colore rosso per indicare la sua rabbia, mentre sulle sue spalle sono presenti due macchie nere, ad indicare la presenza della costrizione materna. La madre, dal canto suo, ha un’evidente espressione perplessa. Come se si interrogasse: “Perché questa mia figlia rifiuta di andare a scuola?” Ma anche: “Cosa posso fare io per convincerla?”

 

A scuola bisogna impegnarsi

C’era una volta un bambino che andava a scuola, ed era arrabbiato perché non prendeva buoni voti, poi si è messo d’impegno e ha avuto buoni voti, così la madre era contenta. Un giorno qualcuno lo prendeva in giro, perché studiava e il bambino ha cercato di fargli capire che lo studio era più importante che prendere in giro. Poi quel ragazzo ha capito quello che gli voleva dire e non l’ha preso più in giro.

 Francesco, un ragazzino di dieci anni che presentava ritardo mentale di tipo lieve, con conseguenti difficoltà nell’apprendimento delle materie curriculari e nell’integrazione con i compagni di classe, manifesta in questo racconto sia la sua rabbia per le difficoltà incontrate nelle attività scolastiche (C’era una volta un bambino che andava a scuola ed era arrabbiato perché non prendeva buoni voti), sia le sue difficoltà nell’integrarsi con i coetanei.

Questi ultimi, se in un primo tempo lo prendevano in giro perché non era in grado di seguire i programmi scolastici, in un periodo successivo, piuttosto che esprimere la loro ammirazione per l’impegno che il loro compagno metteva nello studio, lo beffeggiavano per la sua eccessiva diligenza (Un giorno qualcuno lo prendeva in giro perché studiava).

Un’ultima notazione riguarda i rapporti tra i genitori e la scuola. In molti bambini con problemi psicologici o ritardo mentale, il fare di tutto per prendere buoni voti è finalizzato a far contenti i propri genitori. Nel caso di Francesco, è alla propria madre che il bambino vuole far piacere (poi si è messo d’impegno e ha avuto buoni voti, così la madre era contenta).

 

 

Una nota di demerito

Io stavo andando a scuola, e, con il mio compagno Cristian, stavamo studiando. La maestra ha rimproverato Cristian, perché si era portato le figurine e gli hanno fatto una nota.

Io e Cristian abbiamo fatto un disegno e poi siamo usciti, e la maestra ha parlato con la mamma di Cristian e di Dennis.

Danilo invece ricorda la nota di demerito assegnata dalla maestra al suo compagno Cristian, per aver portato a scuola delle figurine. Forse avrebbe dovuto dire, in modo più sincero, che la maestra aveva messo la nota di demerito per aver visto Cristian trastullarsi con le figurine!

 

Tutti gli stratagemmi per sfuggire alla scuola

C’era una volta un bambino che si chiamava Francesco; aveva una sorella e un fratello. Una volta è andato a scuola, ha cominciato a fare i compiti e si è annoiato. Allora si nascose e non andò più a scuola. Mamma e papà così, lo trascinarono a scuola mentre stava dormendo. Ma Francesco ha trovato una via di fuga al polo nord. Babbo natale lo riportò dai genitori e, quindi, di nuovo a scuola. Francesco allora pensa: “La vita è così”. Ma poi pensa: “Aspetta, posso farmi venire una malattia!”. (Anche questo espediente non funzionò per cui…) Francesco un giorno porta il suo computer a scuola, le maestre così lo hanno mandato all’asilo per punizione, (un luogo questo) dove si gioca, non si studia. Così Francesco è felice.

In questo gustoso racconto possiamo comprendere come, da alcuni bambini, la scuola sia vissuta come un luogo di noia e tormento, dal quale si cerca di sfuggire utilizzando ogni espediente: nascondendosi, fuggendo al polo nord oppure portando il proprio computer a scuola, per fare in modo che l’insegnante, come punizione, li retroceda, nella scuola materna, (dove si gioca, non si studia). 

La paura delle interrogazioni

C’era una volta un ragazzino di nome Carlo il quale, prima di essere interrogato, era molto spaventato perché temeva che il professore gli avrebbe messo due, se non avesse fatto bene. La mattina Carlo cercò in tutti i modi di non andare a scuola, fingendo di sentirsi male. Però non riuscì: doveva solo affrontare il professore. Quando lo chiamò alla lavagna, nessuno capiva perché lui scriveva tremolante. Appena il professore disse di disegnare un parallelogramma lui riuscì a farlo perfettamente.

Questo professore, di cui tutti avevano paura, era diventato amico perché appena finita la lezione lo portò fuori con lui, dicendogli di continuare così, con buona volontà. Il bambino passò alle classi superiori e fece notare a tutti di essere un piccolo, grande genio.

Ivan inserisce un altro tema sui rapporti tra gli alunni e la scuola: la paura delle interrogazioni. (C’era una volta un ragazzino il quale, prima di essere interrogato, era molto spaventato perché temeva che il professore gli avrebbe messo due se non avesse fatto bene). A questa paura spesso si collega l’ansia di prestazione (Quando lo chiamò alla lavagna, nessuno capiva perché lui scriveva tremolante). Anche questo ragazzino fa di tutto, fingendosi malato, per non entrare in classe (La mattina Carlo cercò in tutti i modi di non andare a scuola, fingendo di sentirsi male). Tuttavia, nonostante la paura delle interrogazioni, a questo bravo professore è bastato poco per far sentire Carlo a proprio agio (Questo professore, di cui tutti avevano paura, era diventato amico perché appena finita la lezione lo portò fuori con lui dicendogli di continuare così con buona volontà).

Da notare, nel disegno, la scritta tremolante alla lavagna e i colori scuri usati per l’alunno insicuro. E ciò allo scopo di far comprendere la tristezza e la paura presente in lui.

 

Un invito pressante per la madre

Cara mamma di Debora, ti comunico che a paura della sqcuola e gentirmente non parlare con le maeste domani non vuole andare a sqcuola.

Debora, di sette anni, che frequentava la seconda elementare, aveva scritto direttamente su un foglio, utilizzando grandi lettere maiuscole, la sua supplica nei confronti della madre, affinché questa potesse capire la sua paura della scuola. Come si può leggere, questa bambina non era molto brava nella scrittura! Per cui si può comprendere il motivo che spingeva la madre a portarla ogni giorno in classe, nonostante la figlia manifestasse la sua insofferenza per la scuola, lamentando sintomi somatici, come malessere generale, cefalea e vomito.

Tuttavia, in questi casi bisogna sempre chiedersi non se il bambino ha bisogno di imparare a leggere e scrivere bene, ma che cosa impedisce al bambino di imparare a leggere e scrivere bene. Non è la frequenza scolastica a tutti i costi che può risolvere i problemi d’apprendimento, ma un attento esame delle necessità del bambino. Nel caso di Debora, ad esempio, le sue capacità nell’apprendimento erano compromesse da numerosi problemi di natura psicologica: la bambina soffriva di intense paure, difficoltà relazionali con i coetanei e con il fratello, oltre che di disturbi del comportamento. Inoltre, era anche evidente lo scarso impegno dei genitori nel seguire la bambina nei compiti scolastici a casa, tanto che essi, troppo coinvolti e impegnati nel lavoro, avevano lasciato solo agli insegnanti il compito degli apprendimenti scolastici.

In questi casi è facile che si inneschi un circolo vizioso: i genitori trascurano la bambina sia affettivamente sia nel seguirla nelle attività scolastiche > la figlia va male a scuola > i suoi problemi psicologici aumentano > i genitori accentuano le loro pressioni perché non perda giorni di scuola > la sua sofferenza psicologica si aggrava > il rendimento scolastico peggiora.

 

 

 

 

 

 

Figura 118

Un viaggio per sfuggire alla scuola

C’era una volta un ragazzo che viveva ogni giorno allo stesso modo e non aveva molti divertimenti per passare il tempo e l’unica cosa che scandiva le sue giornate era lo studio e, ormai stanco di quel vivere, chiese ai suoi genitori un consiglio su come continuare. Loro gli risposero che studiare è noioso, ma serviva e che lui avrebbe dovuto continuare (a studiare) per ottenere qualcosa. Allora un giorno, dopo anni passati a scuola, passeggiando sulla spiaggia, decise che quello che doveva fare era intraprendere un viaggio. Allora, lasciando un biglietto ai suoi genitori, prese la barca del padre e iniziò a navigare, fin quando non fu felice di ciò che aveva fatto.

Alcuni genitori, troppo impegnati nel lavoro e nelle tante attività quotidiane, non hanno né voglia né tempo a disposizione per vivere con i loro figli dei momenti di gioia, svago e dialogo. Essi tendono a concentrare tutto il loro impegno educativo sul tema della scuola e dei compiti scolastici (un ragazzo che viveva ogni giorno allo stesso modo e non aveva molti divertimenti per passare il tempo e l’unica cosa che scandiva le sue giornate era lo studio).

In questi bambini, il bisogno di fuggire e di vivere una vita diversa e meno opprimente, che li allontani dai compiti e dallo stress delle interrogazioni, è frequente ed è anche comprensibile. Massimo, nel suo racconto, sogna di acquistare felicità e gioia abbandonando i noiosi compiti scolastici e navigando con la barca del padre (Allora, lasciando un biglietto ai suoi genitori, prese la barca del padre e iniziò a navigare, fin quando non fu felice di ciò che aveva fatto).

Molte volte si innesca un altro tipo di circolo vizioso altrettanto deleterio per il benessere del minore: il bambino non va bene a scuola > gli insegnanti pressano i genitori per far studiare maggiormente il figlio > questi lo impegnano nel fare i compiti per un numero maggiore di ore, limitando al massimo i momenti di gioco e svago > il bambino stressato non impara poiché l’attenzione e le capacità di memorizzazione diminuiscono > il suo rendimento scolastico peggiora > gli insegnanti sentono il dover di stimolare ancor più i genitori ad impegnare il bambino per un maggior tempo nei compiti scolastici. E così via. [1]

Quando queste problematiche sono poste alla nostra attenzione, invitiamo i genitori a fare esattamente il contrario di quello che normalmente viene consigliato. Raccomandiamo ai genitori di diminuire il tempo dedicato allo studio e di aumentare le ore di gioco libero all’aria aperta con i coetanei e i genitori stessi. I risultati che si ottengono, con l’apparentemente strano intervento che abbiamo descritto, stupiscono sia i genitori sia gli insegnanti.

 

Andare a scuola per evitare il carcere alla madre

C’era una volta un bambino di nome Francesco, di otto anni, che non voleva andare a scuola. Disse alla mamma che non voleva andare a scuola. La mamma gli disse che doveva andare per forza, che era obbligatorio, altrimenti arrivavano i carabinieri. Un giorno il bambino decise di non andare a scuola e andò a giocare con lo skateboard. Dopo cinque giorni, arrivarono i carabinieri. Quando il bambino tornò a casa la madre lo rimproverò, che non era andato a scuola. Quindi gli levò la playstation per una settimana. Il bambino allora il lunedì decise di andare a scuola, e lì lo rimproverò pure la maestra, quindi si mise a studiare.

Ritornò a casa, non aveva voglia di studiare. La madre decise di accompagnarlo con la macchina, per sapere dove andava, però dopo pochi giorni la macchina si è rotta. Il bambino andò di nuovo a scuola. Siccome non ci voleva andare decise di nuovo di infrangere le regole. Il meccanico era malato e non aggiustò la macchina (della madre). I carabinieri di nuovo, dopo cinque giorni, arrivarono a casa, perché li aveva chiamati la maestra. I carabinieri dissero alla madre che se fossero andati di nuovo l’avrebbero messa “dentro” (il carcere). Il bambino decise di nuovo di studiare di più, così la madre gli avrebbe ridato la play e non sarebbe finita “dentro” (il carcere).

È triste pensare che questo bambino si sia deciso ad andare a scuola solo per poter ritornare a giocare con la playstation ed evitare il carcere alla madre!



[1] Tribulato E. (2017), Il bambino e l’ambiente, Messina, Centro Studi Logos, P.119.

Tratto dal libro di Emidio Tribulato: "I bambini raccontano - Interpretazione

dei racconti infantili".

 

 

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