Negli adulti normali il contatto con la realtà esterna non è sempre uguale in ogni ora ed in ogni momento del giorno e della notte. Vi sono continuamente delle oscillazioni, sia durante la veglia, sia durante il sonno. Ma anche da svegli, nei momenti di massima vigilanza, il contatto con il mondo esterno non ha mai la stessa intensità. Quando prevalgono, per un breve o un lungo momento, le istanze del mondo interiore, ci allontaniamo dalla realtà esterna a noi mediante i sogni ad occhi aperti, le fantasie, i pensieri in libertà e le elaborazioni, su quanto abbiamo ascoltato, visto, letto o su quanto abbiamo vissuto recentemente o anche nel lontano passato.
Questi momenti sono nettamente maggiori quando ci assalgono le preoccupazioni e le ansie, quando l’amarezza e la tristezza ristagnano nel nostro animo come un velo nero sull’acqua durante un temporale o quando abbiamo la necessità di affrontare dei problemi di difficile soluzione e siamo impegnati nella ricerca delle migliori strategie. Il contatto con la realtà esterna diminuisce di molto e quasi scompare, almeno per un certo tempo, anche quando siamo travolti dalla collera, dall’ira e dall’aggressività, per cui siamo impegnati a difendere noi stessi o qualcosa che ci è molto caro.
Sia i genitori che gli insegnanti conoscono bene quanto sia difficile, a volte, riuscire a catturare l’attenzione dei figli o degli allievi. Gli insegnanti, parlando dei loro alunni, dicono: ‹‹Spesso, con la testa tra le nuvole, sono immersi nei loro pensieri, così da non rispondere alle nostre sollecitazioni e ai nostri richiami››. ‹‹Molti alunni, dopo le prime ore ci guardano imbambolati. Noi sappiamo che loro sono presenti nella classe, ma solo con il corpo. Essi non seguono per nulla le nostre parole, anzi avvertiamo chiaramente che le loro menti vagano molto lontano dai banchi dove stanno seduti››. Le madri, a loro volta si lamentano: ‹‹i figli non ci ascoltano e non ci sentono quando li chiamiamo mentre loro sono immersi nel gioco con il quale danno vita a personaggi immaginari che gareggiano, si scontrano, volano e si azzuffano, per cui siamo costrette a gridare o a scuoterli per farli ritornare nella realtà››.
Sia i genitori sia gli insegnanti hanno, inoltre, consapevolezza che questo accade soprattutto ai bambini che hanno problemi psicologici o che stanno attraversando un momento psicologicamente difficile della loro vita a casa o a scuola.
In questi bambini il contatto con la realtà diventa molto più scarso, labile, incerto e saltuario, per cui si fa molta fatica e sono necessarie molte sollecitazioni per attirare solo per qualche momento la loro attenzione.
Il motivo è facilmente comprensibile se solo si pone attenzione a quali turbamenti, a quali paure, a quale ansie e tensioni è sottoposta la loro psiche. In queste situazioni le istanze interiori sopraffanno e schiacciano gli stimoli che vengono dall’esterno, rendendo ogni sollecitazione non solo vana, ma anche causa di ulteriore disturbo per il piccolo, il quale si ritrova continuamente impegnato a fronteggiare e a proteggersi dalle angosce interiori. La GRANDIN T. così descrive il suo stato di estraniamento: ‹‹Quando venivo lasciata da sola, spesso andavo in una specie di trance, come ipnotizzata. Stavo seduta per ore sulla spiaggia ad osservare la sabbia scivolarmi tra le dita››.[1] La prova di ciò si ha dal constatare che questo contatto con la realtà diventa più frequente e stabile, mano a mano che il bambino riacquista una maggiore serenità interiore, un più stabile controllo sulle proprie emozioni, e una maggiore fiducia negli altri e nel mondo esterno.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Autismo e Gioco Libero autogestito"
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[1] T. GRANDIN, Pensare in immagini, Trento, Erickson, 2006, p. 50.
Poiché alla nascita i sensi del neonato sono quasi completamente sviluppati, il bambino, pur non riconoscendo gli oggetti e le persone, è già in grado di percepire le sue emozioni interne e l’ambiente che lo circonda. Egli avverte questi due ambienti: quello interno e quello esterno, come un’unica realtà, in quanto non vi è ancora un “sé” e un “mondo” fuori di lui (adualismo).
In ogni caso, però, è già in grado di distinguere ciò che lo soddisfa da ciò che non lo soddisfa, ciò che è piacevole da ciò che è spiacevole. È sicuramente piacevole sentirsi accolto, accarezzato, coccolato, così com’è sicuramente piacevole giocare e ridere insieme a mamma e papà o con i fratellini. Al contrario è sicuramente sgradevole un ambiente carico di tristezza, aggressività, ansia, tensione, conflitti.
Le comunicazioni e le relazioni che il bambino instaura con l’ambiente esterno a lui sono fondamentali non solo per accrescere esperienze, cultura e linguaggio ma, soprattutto, per la formazione del suo Io, per la sua crescita sana ed equilibrata e per lo sviluppo armonico e pieno delle sue capacità relazionali e sociali.
Il bambino si accorge dell’utilità della comunicazione quando, ad esempio, si mette a piangere e a strillare e la mamma, il papà o un altro familiare accorrono verso di lui per capire il motivo del suo pianto o quando vagisce e gorgoglia ed i suoi genitori e familiari si mettono a ridere felici e lo abbracciano e baciano dicendogli parole dolcissime. E' mediante queste esperienze che egli scopre il valore sociale dei suoni da lui emessi, in quanto comincia a collegare queste manifestazioni sonore agli effetti positivi da essi prodotti.
Questa possibilità di poter comunicare i bisogni, unita ad una buona sicurezza che queste sue necessità saranno soddisfatte, lo rassicura e lo aiuta a maturare le capacità relazionali. A sua volte, questa maturazione lo stimola e gli permette di avere maggiori attenzioni verso chi ha cura di lui. Pertanto, se ad esempio, prima piangeva ostinatamente nel momento in cui aveva fame, stava scomodo, aveva sonno, senza preoccuparsi minimamente delle esigenze dell’adulto o degli adulti, successivamente, riponendo affetto, stima, gratitudine e attaccamento verso di loro, a motivo dei comportamenti attenti e disponibili, egli si sforza di regolare la sua vita ed i suoi bisogni in base alle esigenze del mondo che lo circonda. Anzi, fa qualcosa di più: si attiva per gratificare al massimo chi gli sta attorno, indirizzandogli dolci sguardi, sorrisi affettuosi, carezze e baci.
Ma se questo non avviene, se i genitori o chi ha cura di lui ritardano ad accorrere al suo pianto o non rispondono ai suoi gioiosi vagiti in quanto eccessivamente tesi, disturbati o troppo occupati ed impegnati a fare altro, piuttosto che a vivere con pienezza e gioia la relazione con il loro bambino, il piccolo è costretto a concludere che gli altri non sono in grado o non sono disposti ad ascoltarlo, ma anche che lui è incapace di farsi ascoltare.
Si deteriora l’immagine del mondo e, nello stesso tempo, si deteriora l’immagine che ha di sé. Sarà inevitabile, allora, una parziale o totale chiusura.
Se, invece, dai genitori e soprattutto dalla madre ottiene la giusta presenza e la corretta disponibilità comunicativa, se l’ambiente attorno a lui ha caratteristiche di serenità, calore e accoglienza, il linguaggio verbale che, successivamente, conquisterà, gli permetterà di rendere ancora più incisiva la sua azione sul mondo, in quanto non sarà solo la madre o gli altri che lo curano che avranno il potere di scegliere cosa è bene per lui, ma sarà lui stesso a chiedere ciò che gli piace, ciò che lo rende felice, ciò che lo entusiasma e a rifiutare ciò che non gli piace, ciò che lo intristisce, ciò che lo annoia.
Ma anche con la conquista del linguaggio parlato, non sempre egli verrà capito ed accontentato nei suoi bisogni, nei suoi desideri, nelle sue scelte. E se questo non essere capito, non essere accontentato, perdura nel tempo e riguarda elementi essenziali per il suo sereno sviluppo, non potrà che provare dolore e sofferenza, con conseguente rabbia e collera verso gli altri esseri umani, ma anche verso se stesso.
In definitiva, gli strumenti indispensabili per la crescita e per la formazione di un nuovo essere umano, sufficientemente sereno e maturo per affrontare la vita ed il mondo, risiedono nella quantità, ma soprattutto nella qualità delle comunicazioni verbali, mimiche e gestuali, presenti nelle relazioni con le figure familiari, e, soprattutto, nei rapporti con la madre.
Senza questi apporti si formeranno bambini e poi adulti monchi o disturbati nella loro vita affettivo relazionale: incapaci di stare bene con se stessi e con gli altri; incapaci di capire e farsi capire; incapaci di amare e farsi amare; incapaci di profonda accettazione e di perdono; incapaci di accoglienza e disponibilità.
L’ampliamento del mondo affettivo relazionale avviene per gradi. In questa, come in tutte le altre funzioni umane, vi è un progressivo passaggio da una situazione di interazione sociale assente o minima, così come avviene nel bambino neonato, il quale non è ancora in grado di riconosce e di rapportarsi al di fuori di sé, neanche con la propria madre e con il proprio padre, al bambino di sei – sette anni, che è già capace di dialogare efficacemente e stabilire relazioni di amicizia, non solo con gli adulti e con altri minori con i quali vi è stata una lunga, antica frequenza, ma anche con dei coetanei semisconosciuti. In ogni caso, però, questa capacità nasce e si forma dapprima nella psiche del bambino e dopo, e soltanto dopo, si realizza e concretizza mediante comportamenti esteriori, nell’ambito delle relazioni: amicizia, amore, dialogo, scambio, gioco sociale.
Spesso si dice, in maniera almeno in parte impropria, che il bambino per poter socializzare ha bisogno dei compagnetti della scuola. In realtà il bambino acquista la possibilità di socializzare con gli estranei, solo se ha vissuto in maniera serena e soddisfacente il rapporto con le figure familiari.
E’ solo la bontà di questo rapporto e la serenità dell’ambiente nel quale egli è vissuto, che gli permetteranno di aprire il proprio animo, il proprio interesse e la propria attenzione propositiva e costruttiva anche agli estranei. Questo perché l’interazione sociale, cioè la capacità di entrare in relazione con l’altro, richiede numerosi ed espliciti comportamenti che devono modularsi in maniera molto precisa per essere efficaci.
Questi comportamenti riguardano: il guardare l’altro, il cercare di agganciare il suo sguardo, il rispondere allo sguardo dell’altro, il farsi coinvolgere in attività e in argomenti condivisi, l’effettuare gesti e parole in risposta alle richieste dell’altro o, spontaneamente, per attirare la sua attenzione.
Questi comportamenti riguardano, inoltre, il curiosare su quello che l’altro sta facendo, desiderare che l’altro si interessi a quello che noi stiamo facendo, rispondere quando si è chiamati, trovare nel dialogo con l’altro le parole più opportune e utili per approfondire o render più solido il legame in base al tipo di relazione ed infine, ma non ultimo, avere la pazienza di ascoltare l’altro, le sue idee, i suoi bisogni, le sue necessità, i suoi sfoghi.
La qualità e la quantità della comunicazione affettivo-relazionale del bambino normale, nei confronti degli adulti o degli altri minori è molto variabile, anche se, durante le varie fasi del suo sviluppo, tende gradualmente ad incrementarsi. Per quanto riguarda la quantità, accanto a bambini che chiacchierano continuamente su tutto e con tutti e che fanno facilmente amicizia, ritroviamo altri minori, altrettanto normali, più timidi e riservati che manifestano maggiori difficoltà ad instaurare un proficuo dialogo.
Pertanto, nell’osservare la comunicazione e l’interazione sociale di un bambino, possiamo notare come questa possa essere superiore alla norma, in quanto si distacca nettamente in senso positivo da quella normalmente riscontrata nei bambini della stessa età; può rientrare nell’ambito della normalità, quando il grado di socializzazione si può inserire in quella grande fascia che noi chiamiamo norma; oppure può essere decisamente inferiore alla norma, quando si allontana dalla fascia della normalità.
Sia i genitori che gli insegnanti hanno consapevolezza, inoltre, che lievi o momentanei problemi nella comunicazione e nell’interazione sociale sono presenti in tutti i bambini. Così come sono consapevoli che queste problematiche sono maggiormente evidenti in quei soggetti che hanno dei problemi psichici o che stanno attraversando dei difficili momenti nella loro vita personale, familiare o scolastica.
Abbiamo, quindi, ad un estremo i bambini che ben dialogano e facilmente socializzano con tutti, mentre all’estremo opposto troviamo quei bambini i quali non comunicano o hanno gravi difficoltà a dialogare anche con la propria madre o con il proprio padre.
Vi è, pertanto, un continuum tra una situazione comunicativa e relazionale facile, fluida, immediata e notevolmente aperta al dialogo e alla comprensione e comunione con l’altro, rispetto alla condizione opposta, nella quale queste capacità sono quasi assenti o gravemente disturbate.
La comunicazione nei bambini con disturbi psicoaffettivi.
Nei bambini con disturbi psicoaffettivi la difficoltà nella socializzazione e l’incapacità del bambino di stabilire una adeguata relazione con l’altro si possono manifestare con inibizione o con disinibizione,
Quando è presente l’inibizionela mimica appare poco vivace, la postura è eccessivamente stabile, il bambino non aderisce alla consegna, o, se la effettua, lo fa in maniera passiva: non prende l’iniziativa nello scambio ma si limita a rispondere alle domande che gli vengono poste ed il linguaggio è coartato e povero sul piano narrativo.[1]
Questa forma è presente nel bambino inibito, nella fobia sociale, nei disturbi d’ansia ed in quelli dell’umore, nel mutismo selettivo, quando sono presenti importanti carenze socio – culturali, quando soffre per scarsa autostima dovuta a inadeguatezza, a malformazioni o disabilità.
Nelle forme con disinibizione vi sono elevati livelli di attività motoria. Il bambino familiarizza in maniera eccessiva anche con gli estranei, appare particolarmente curioso, ma è notevolmente distraibile. Alle domande che gli sono poste risponde con frasi poco aderenti al contesto. Fa continui quesiti senza interessarsi alle risposte. A volte è presente un’eccessiva verbosità, mentre viene sacrificata la capacità di ascolto e la comprensione profonda dell’altro. In questi minori, che parlano tanto ma non sanno ascoltare, vi è uno scollamento tra sé e gli altri, tra i propri bisogni ed i bisogni e le necessità degli altri.
In questa forma con disinibizione, se la quantità della socializzazione appare discreta, lo stesso non avviene per la qualità della relazione, in quanto è compromesso il normale fluire degli scambi interpersonali. Queste forme sono presenti nei disturbi dell’umore di tipo maniacale, nei disturbi della condotta e nel disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività.
La comunicazione verbale nel Disturbo Autistico
‹‹Molti bambini con autismo, una percentuale che varia tra il 20% e il 50%, non acquisiscono alcun tipo di linguaggio verbale. Un altro 25 % acquisisce alcune parole tra i 12 ed i 18 mesi e poi va incontro a una regressione associata alla perdita del linguaggio verbale››.[2]
In questi soggetti, spesso, non vi è neanche un tentativo di compensazione attraverso modalità alternative di comunicazione, come gesti o mimica. In altri casi il linguaggio compare tardivamente verso i quattro-cinque anni. Spesso non è preceduto dalla lallazione.
Quando il bambino con Disturbo Autistico è capace di utilizzare il linguaggio verbale sono rari i “sì” di assenso. È frequente l’uso della terza persona per cui dicono: ‹‹Giovanni vuole uscire›› piuttosto che ‹‹Io voglio uscire›› e vi è difficoltà o impossibilità a strutturare una vera comunicazione (linguaggio non comunicativo), in quanto le parole e/o i gesti servono spesso solo ad ottenere quanto desiderato in quel momento o ad allontanare l’altro e fargli sapere di “non essere gradito” (rapporti manipolatori).
Le iniziative degli altri spesso non sono accettate, in quanto interpretate come dannose, perché vissute come destinate a “cambiare” quello stato di uniformità e di “immobilità” che permette al bambino una certa tranquillità e sicurezza.
Questi bambini spesso si esprimono, in molte occasioni, in modo bizzarro. Usano frasi intere e blocchi di parole che hanno appena udito e che ripetono nella stessa forma verbale (ecolalia).[3]Ad esempio dicono: ‹‹Vuoi biscottino?›› Per dire ‹‹mi dai un biscottino?›› L'ecolalia può essere immediata quando la ripetizione delle parole o delle frasi avviene subito dopo l'ascolto, oppure differita, quando la ripetizione della frase avviene a distanza di tempo.
Accanto alle ecolalie vi sono le stereotipie verbali, nelle quali il soggetto ripete parole o frasi scollegate rispetto al momento. Il bambino, inoltre, tende a inventare nuove parole ( presenza di neo linguaggio).[4] Vi può essere, infine, una anomalia nella melodia del linguaggio che può apparire cantilenante.[5]
In alcuni bambini si può avere una regressione del linguaggio già acquisito (mutismo secondario). Nelle forme gravi il bambino è indifferente al linguaggio altrui, oppure comprende soltanto parte di quanto detto (comprensione periferica).
Pertanto: ‹‹Comunicare con un una persona con Disturbo Autistico può essere difficile o impossibile per motivi diversi e apparentemente opposti. Ai due estremi del continuum ci sono da un lato soggetti che non hanno mai acquisito il linguaggio e non rispondono e non danno inizio ad alcuno scambio comunicativo, dall’altro soggetti che avviano continuamente conversazioni utilizzando un vocabolario ricco e formalmente appropriato, ma che non sono in grado di adeguare in modo flessibile la comunicazione al contesto interattivo, di mantenere la reciprocità e l’alternanza di turni nello scambio comunicativo e di interpretare correttamente tutti gli scambi comunicativi espressi dall’interlocutore››.[6]
L’interazione sociale nel Disturbo Autistico
Per MILITERNI R. : ‹‹Nel corso del primo anno di vita, la compromissione dell’interazione sociale è tipicamente espressa dal deficit del canale di scambio privilegiato in tale periodo: vale a dire, il contatto occhi-occhi››.[1] I genitori riferiscono di questa mancanza o scarsità di contatto con il loro bambino dicendo che egli ‹‹sfugge allo sguardo›› (Sguardo non agganciabile), e/o ‹‹presenta uno sguardo assente, vuoto››.
Il bambino, inoltre, riferiscono i genitori: ‹‹è come se non amasse essere abbracciato››, non tende le braccia per essere accolto da mamma e papà, oppure, addirittura, sfugge alle loro coccole. E quando i genitori, usando una certa determinazione, vogliono accarezzarlo e coccolarlo, appare indifferente al loro affettuoso contatto, per cui non si adagia sul corpo dell’adulto, ma resta come un peso morto.[2] In questi bambini anche il sorriso è scarso e così la mimica, che tende ad essere fissa o non aderente al contesto e priva pertanto di funzione di segnalazione.[3]
Vi sono però dei momenti nei quali il bambino ride o sorride oppure si agita disperatamente, piange e va in collera, senza un apparente motivo. Queste sue manifestazioni emotive non appaiono, ad un esame superficiale, aderenti al contesto di vita e, quindi, sono ritenute, come vedremo in seguito a torto, come prive di vera comunicazione con gli altri.
Tra i 18 e i 30 mesi i bambini con Disturbo Autistico mostrano più chiaramente il loro isolamento e il loro rifiuto del rapporto interpersonale: non segnalano gli oggetti e le persone, per cui non rispondono con lo sguardo e non indicano, quando sono loro rivolte le classiche domande: ‹‹Dov’è papà? ‹‹Dov’è la mamma?›› ‹‹ Dov’è la nonna?››.
È molto difficile, inoltre, attirare la loro attenzione. Sfuggono o non reagiscono adeguatamente alle modulazioni espressive dei familiari che cercano di stimolare la loro reazione, mentre le loro capacità di imitazione sono assenti o molto scarse.
La madre, ma anche gli altri adulti, sono usati come strumento per ottenere quanto desiderato: ad esempio, per avere il cibo o gli oggetti in quel momento voluti. Mentre vi può essere una marcata mancanza di consapevolezza dei sentimenti altrui e indifferenza all’allontanamento della madre.
Notevole è la difficoltà ad avere un’attenzione condivisa con gli altri, da cui discende l’espressione usata dagli insegnanti che questi bambini ‹‹vanno per conto proprio››, nel senso che si muovono nella classe e negli apprendimenti senza seguire alcuna regola.
Sia in classe che nella sua casa, il bambino può presentare un isolamento autistico, nel senso di una chiusura sensoriale con limitazioni importanti dell’area vitale se non, addirittura, retrazione coatta a vivere in un angolo della casa o dell’ambiente dove abitualmente si trova.
Inoltre, questi bambini sembrano indifferenti alle lodi e alle gratificazioni; allo stesso modo con il quale sembra non abbiano per loro un preciso significato i rimproveri e i castighi.
Dagli autori del DSM IV- R essi sono descritti come bambini nei quali ‹‹può essere presente una mancanza di reciprocità sociale o emotiva (per es., non partecipare attivamente a semplici giochi sociali, preferire attività solitarie o coinvolgere altri in attività solo come strumenti o aiutanti “meccanici"››.[4]
Sempre nel DSM IV – R ritroviamo che ‹‹spesso la consapevolezza che questi soggetti hanno degli altri è notevolmente compromessa. I soggetti con questo disturbo possono essere incuranti degli altri bambini (inclusi i fratelli), possono non avere idea dei bisogni degli altri o non accorgersi del malessere di un’altra persona››.[5]
AJURIAGUERRA J, così descrive le loro relazioni affettive: ‹‹Il rapporto del bambino autistico con le persone è assai particolare. Egli non ha verso di esse uno sguardo in alcun modo interessato, passa loro accanto senza cercare di stabilire una comunicazione; le relazioni che egli può talvolta stabilire sono frammentarie, egli sceglie l’altro ma non ha né partecipazione, né scambio. Non mostra alcuna reazione alla scomparsa dei genitori, e sembra ignorarli››.[6]
Per MILITERNI R. : ‹‹Il bambino “si aggira” fra gli altri come se non esistessero; tende ad isolarsi; quando chiamato non risponde; non richiede la partecipazione dell’altro nelle sue attività, né lo rende partecipe […]; utilizza l’altro in maniera strumentale per l’appagamento delle esigenze del momento››.[7] Tuttavia lo stesso autore afferma che ‹‹…il rapporto non è mai o quasi mai completamente assente: esso tuttavia è limitato sempre – o quasi sempre a richiedere (qualcosa o qualche azione) e non a condividere (interessi, bisogni, emozioni)››.[8]
Lo stesso autore ancora nota: ‹‹…anche se l’isolamento e la chiusura in se stessi rappresentano tratti patognomonici, non sono infrequenti comportamenti paradossi (cioè, come se il bambino cercasse di stabilire il rapporto); comportamenti, tuttavia, che ad una valutazione più attenta si dimostrano qualitativamente anomali. Alcuni bambini autistici, ad esempio, non solo non rifiutano il contatto fisico, ma anzi lo ricercano attivamente, ma con modalità inappropriate, e spesso dispensano baci a persone viste per la prima volta o ad estranei. Altri ancora manifestano un attaccamento morboso ed esclusivo nei confronti della figura materna, o comunque di una figura privilegiata››.[9]
E allora si parla di bambini inaccessibili a qualsiasi rapporto sociale, bambini passivi, che tendono ad isolarsi, ma sono in grado di interagire quando adeguatamente sollecitati e bambini attivi ma bizzarri, che sono capaci di prendere l’iniziativa nell’interazione sociale, ma lo fanno in maniera inopportuna, enfatica ed inappropriata. Sempre MILITERNI R. annota che : ‹‹Questi diversi profili: inaccessibile, passivo o attivo ma bizzarro, non variano solo da bambino a bambino ma, in uno stesso bambino, possono alternarsi nel corso del suo sviluppo››.[10]
In definitiva, per quanto riguarda il linguaggio e la comunicazione sociale, le osservazioni dei vari autori ci danno un quadro non univoco di questo disturbo. Il quale:
non è uguale negli anni;
non è uguale nei bambini che hanno la stessa diagnosi;
non è uguale in momenti diversi della stessa giornata;
non è uguale nello stesso bambino quando si relaziona con persone diverse.
Pertanto, se è vero che i problemi più gravi nell’ambito della comunicazione e dell’interazione sociale si riscontrano nei soggetti con Disturbo Autistico, anche in questi bambini, a secondo della gravità del disturbo, queste difficoltà possono essere di grado lieve, medio, grave, gravissimo. Per cui troviamo ad un estremo dei minori con Disturbo Autistico che hanno discrete relazioni con uno o più adulti, ma non con i coetanei, mentre all’altro estremo, possiamo trovare bambini che hanno solo minime capacità relazionali, anche con gli adulti che dovrebbero essere molto vicini a loro, come ad esempio i genitori.
È necessario, a questo punto, capire quali possono essere le cause che determinano queste difficoltà.
Osservando i comportamenti di noi soggetti “normali”, non è difficile evidenziare una problematica o scarsa comunicazione e relazione con gli altri quando sussistono determinate circostanze.
1. Quando siamo arrabbiati, offesi o astiosi con la o le persone che ci stanno di fronte. In questi casi i nostri occhi, la nostra espressione, i nostri comportamenti sono predisposti e tesi al rifiuto più che all’accoglienza, all’odio più, che all’amore, ad all’allontanare gli altri, piuttosto che farli avvicinare a noi.
2. Quando siamo amareggiati e delusi dagli altri.Quando gli altri, per qualche motivo, ci hanno deluso o ci hanno fatto soffrire, proviamo intenso fastidio e rifiuto verso di loro, per cui non solo non accettiamo la loro amicizia o le loro profferte affettive, ma rifiutiamo istintivamente di instaurare anche un minimo dialogo;
3. Quando siamo particolarmente tesi e nervosi. Quando l’ansia ed il nervosismo invadono e serpeggiano nel nostro animo, come nel nostro corpo, ogni cosa, come ogni persona ci dà fastidio. La nostra sensibilità, che in questi casi diventa più acuta e tesa, ci spinge a non comunicare con il prossimo ma ad isolarci, almeno per qualche momento, scacciando in malo modo chi prova ad avvicinarsi a noi, anche se con ottime intenzioni;
4. Quando per un motivo qualsiasi siamo particolarmente tristi o malinconici. Quando un lutto o una perdita ci colpisce, il nostro animo resta oppresso e sconvolto dal velo nero della malinconia, della tristezza e del dolore. Chiusi nel nostro lutto, nella nostra perdita ci allontaniamo, ci isoliamo, vorremmo almeno per qualche momento o qualche periodo scomparire dal mondo, così come vorremmo che il mondo non si avvicinasse a noi;
5. Quando ci assalgono timori e ansie. Quando siamo invasi per qualunque motivo dalle tensioni, dalle ansie e dalle paure, come avveniva e avviene ancora oggi nelle tante guerre che insanguinano il mondo, l’insicurezza, la sfiducia ed il terrore, ci stimolano alla fuga dagli altri, così come ci spingono ad allontanarli dalla nostra persona.
Se osserviamo attentamente i vissuti interiori dei bambini con Disturbo Autistico ritroviamo tutti questi elementi in modo esacerbato.
1. Essi sono offesi e arrabbiati con gli altri e con il mondo intero in quanto, per un periodo più o meno lungo della loro vita, hanno avvertito di non essere stati curati, capiti, accettati, amati, rispettati, così come avrebbero voluto, così come il loro piccolo cuore avrebbe desiderato. Non importa se ciò è avvenuto per colpa o per dolo. Non importa se è avvenuto per scelte ben precise da parte degli altri o perché delle circostanze avverse hanno costretto o spinto le persone che avrebbero dovuto aver cura di loro a non tener conto dei loro bisogni e delle loro esigenze. Quello che pesa sul loro animo e ciò che è avvenuto e non il motivo per il quale è avvenuto.
2. Sono amareggiati e delusi dagli altri in quanto, dopo aver fortemente e frequentemente manifestato il loro disagio, le loro paure, i loro bisogni, questi non sono stati capiti, a questi non si è posto un rimedio efficace.
3. Non vi è dubbio che questi bambini siano estremamente tesi e ansiosi,e questo stato d’animo, così gravemente disturbato, rende loro difficile ogni cosa: l’attenzione, l’apprendimento, ma anche l’ascolto e l’interesse verso gli altri. Ascolto, attenzione ed interesse che sono indispensabili per instaurare un qualunque legame e un qualsiasi rapporto di amicizia.
4. Inoltre, quando scrutiamo il loro viso, spesso notiamo serpeggiare insieme ad altri sentimenti ed emozioni la tristezza e la malinconia che li spingono ancora di più a chiudersi e a isolarsi, così da limitarsi a cercare, in un cantuccio, piccoli piaceri solitari.
5. Infine vi sono le paure e le fobie che, come abbiamo visto, rendono angosciosi i loro pensieri e insicure molte loro azioni e molte loro scelte. E, dunque, perché avvicinare gli altri, dialogare con gli altri, abbracciare gli altri, quando tutto ciò che ci circonda può nascondere un’insidia, una trappola e un’ulteriore frustrazione?
Come vedremo però descrivendo le nostre esperienze, se con questi bambini si riesce a stabilire un rapporto nel quale è presente in maniera vera e reale, stabile e continuativa un grande e sostanziale rispetto per il loro sentire, per i loro bisogni, per le loro paure, per le loro inquietudini, per la loro estrema vulnerabilità, insomma se ci si relaziona adeguandosi ai loro bisogni più veri e profondi, essi si legano fortemente e sistematicamente alla o alle persone che assumono questo tipo di approccio.
Abbiamo detto in maniera vera e reale, in quanto la loro notevole sensibilità percepisce ciò che vero e reale non è. Abbiamo detto stabile e continuativa, in quanto ai bambini con autismo non basta certo la carezza o la parolina dolce di un momento o di un giorno, ma essi si aspettano dolcezza, attenzione e rispetto in modo continuativo.
Per quanto riguarda la seconda osservazione fatta dai vari autori e cioè che questi bambini avrebbero assoluta indifferenza per le reazioni di sconforto, di pena e di dolore presenti nelle persone che stanno a loro vicine, possiamo senza dubbio confermare che questa osservazione è vera; nel senso che se una mamma, un papà, un’insegnante o un altro coetaneo, si è fatto male o piange davanti ad un bambino con una grave forma di autismo, vi sono molte probabilità che quest’ultimo non andrà dalla mamma, dal papà o dal bambino ferito per consolarlo e non piangerà per quello che a questi è successo.
Questo comportamento ha, però, delle motivazioni ben precise:
1. La prima motivazione, che crediamo sia quella più frequente, nasce dalla presenza, in questi bambini, di un animo talmente disturbato e sconvolto a causa della propria sofferenza interiore da non riuscire a percepire correttamente ciò che succede all’esterno di loro. Per capire ciò è necessario fare qualche esempio. Se siamo in ospedale e soffriamo le pene dell’inferno per un trauma o per una grave scottatura, ci preoccupiamo forse per quello che succede nel letto accanto al nostro? Se siamo stati lasciati o traditi dal nostro amore più grande, siamo forse in pena per la sofferenza delle altre coppie colpite dalla stessa sorte? Il motivo è semplice: se il dolore che alberga nel nostro cuore è tanto, il preoccuparsi degli altri non farebbe che accentuarlo. E questo non è facilmente accettabile.
2. Il secondo motivo risiede nella presenza di un notevole risentimento verso il mondo esterno a loro. Perché soffrire, perché intristirsi e piangere, se le persone che soffrono meritano, a causa dei loro comportamenti, quello che a loro succede?
3. Il terzo motivo può riguardare la sensazione di “mal comune mezzo gaudio”. In questi casi è come se il bambino dicesse a se stesso: ‹‹Se io soffro tanto mi sembra giusto che anche gli altri soffrano insieme a me. D’altra parte la vita è tutto un soffrire e penare››.
Anche se non sappiamo con certezza quale sia la motivazione predominante che porta a questo comportamento, la nostra esperienza ci dice che in ogni caso, quando i bambini con autismo acquistano un minimo di serenità interiore, si legano intensamente alle persone che dimostrano, con i fatti, di rispettarli e di voler loro bene, tanto che manifestano nei confronti di queste persone amiche, le stesse attenzioni e le stesse premure che ci si aspetterebbe dai bambini “normali”.
Quando la maestra quel giorno mi ha detto che voleva parlarmi, ho pensato: è arrivato il momento.
Sapevo...temevo … ma magari chissà...era solo per darmi qualche comunicazione della scuola.
Il viso dolce della maestra che sempre tendeva al sorriso, quando mi ha accolto nella stanza piena di giochi e disegni colorati era seria.. imbarazzata.
Mi sono voluta sedere su una delle piccole sedie per bambini, in quel modo rannicchiata forse il colpo l’avrei incassato meglio.
Ha esordito dicendo:
” Ogni giorno, quando prende suo figlio Lei mi guarda in un certo modo e mi chiede: tutto bene?
Io ho capito che Lei si aspetta da me che le dica se Matteo ha problemi.
L’anno scorso il bambino aveva 2 anni e mezzo e non si poteva ancora capire..ma quest’anno il bambino manifesta visibili difficoltà di inserimento. è come se avesse paura di coinvolgersi emotivamente.
E’ un bambino intelligente, sa molte cose, anche più degli altri. Numeri lettere, colori..ma non si riesce a stabilire con lui un dialogo un’interazione commisurata alla sua età”.
Non tutti i genitori sono disposti a sentirsi dire che il proprio figlio ha problemi.
Quasi fosse colpa di qualcuno o una cosa che non può succedere proprio a loro.
Io, più che al problema, che già avevo intuito, ho guardato subito alla soluzione.
La maestra stessa mi ha indicato il centro LOGOS del Dottore Emidio Tribulato, dove lei stessa faceva dei corsi di aggiornamento .
Il primo incontro è stato a dir poco … disastroso!.
Il distacco emotivo che ci vorrebbe per analizzare qualsiasi problema, quando si parla del proprio figlio crolla!
È per questo che davanti al Dottore, le mie lacrime hanno cominciato a scorrere copiose solo dopo esserci solo appena stretti la mano!
Matteo poi..si incantava a salire e scendere con l’ascensore...e non ne voleva sapere neanche di entrare nello studio!
Dopo una dettagliata intervista per conoscere e capire noi e Matteo, la diagnosi è stata “autismo ad alto funzionamento”...sapevo cosa significava...e sentirmelo dire è stato uno dei momenti più duri della mia vita.
Dopo vari incontri, e molte discussioni, la definizione è stata che c’era la necessità di stare vicini al bambino, tranquillizzarlo, assecondarlo, aiutarlo a recuperare la consapevolezza e la fiducia in se stesso che gli avrebbe permesso gradualmente di aprirsi al mondo.
Tenuto conto che sia io che mio marito lavoriamo mattina e pomeriggio si è reso necessaria la presenza di una persona che fosse di riferimento per Matteo, che fosse un’amorevole compagnia “finche mamma e papà non tornano a casa” .
In questo, preziosissimo è stato l’aiuto del Dott. Tribulato che ci ha messo in contatto con una sua allieva che aveva fatto il tirocinio presso il suo centro.
Lui ci ha detto che avrebbe cercato “La persona giusta per il bambino”. e non “UNA persona per UN bambino”...e questo ci è piaciuto molto.
Sono pienamente concorde che l’affinità, quando si tratta di un percorso di crescita a due, è fondamentale, nel caso di Matteo ma anche per qualsiasi tipo di i rapporto che sia amicizia, lavoro, amore e altro fra individui.
La conoscenza con Cettina è stata motivante ed entusiasmante..
Il fatto di riconoscerle una serietà, maturità e tranquillità caratteriale sorprendente per la giovane età, ha pacato le mie ansie e mi ha proiettato con fiducia in questa nuova esperienza.
Il primo giorno, l’approccio è stato intelligentemente distaccato.. essere “invasi” non è piacevole per nessuno, tanto più per Matteo che ha bisogno dei suoi tempi e di un’ adattamento graduale.
Via via ho visto come sia lei che lui prendevano confidenza e si affiatavano, prima facendo giochi ripetitivi e metodici poi sentendoli parlare fra loro, complici di piccole cose che organizzavano insieme.
Tornando a casa mi è capitato di ritrovarli a fare la lotta sul letto, o accucciati dietro le piante.. o meglio, come dice Matteo “nascosti nella foresta”, o di trovarli a disegnare e colorare i personaggi dei cartoni o semplici melanzane o carote o improbabili dinosauri, il tutto sempre con un coinvolgimento totale di mio figlio che, dal non voler neanche prendere più un colore in mano dopo l’esperienza dell’asilo, partecipava attivamente ad ogni attività.
Anche per me e mio marito è stato un periodo più tranquillo rispetto ad altri.
Il fatto di vedere Matteo così sereno e felice ed avere in casa una presenza così dolce e preziosa, ci ha dato la sensazione che le cose stessero andando finalmente nel verso giusto.
Guardando loro giocare insieme, abbiamo imparato a farlo meglio anche noi, confrontandoci con Cettina e con il dottore Tribulato siamo cresciuti insieme “ridiventando bambini”.
Alla fine dell’esperienza, quando Cettina è andata via, io e Matteo siamo stati presi da un senso di malinconia, lenita comunque dal fatto che, anche se non c’è più l’assiduità, è rimasto l’intenso rapporto di amicizia, rispetto e confronto.
L’amore, l’attenzione, il silenzio per ascoltare e le parole giuste da sussurrare, la cura dei pensieri e del cuore, la dedizione all’unico bene che sono i nostri figli... sono la terapia che il Dottore Tribulato ci ha indicato.
Il percorso sarà lungo..ma se Matteo riuscirà crescendo ad essere una persona non solo “come”, ma migliore per se stesso e per gli altri, è perché saremo riusciti ad aggiungere vita al tempo ..e non tempo alla vita..
Con infinita gratitudine
La mamma di Matteo
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Siamo consapevoli delle difficoltà e dei problemi che un bambino con questa sindrome provoca alla sua famiglia, ma siamo altrettanto convinti che la sua famiglia può far molto per aiutare il proprio figlio ad uscire da questa condizione. E se riesce a fare questo, i miglioramenti che avverranno non potranno che riflettersi positivamente su ogni componente il nucleo familiare, innescando un circolo virtuoso del quale ogni membro: padre, madre, fratelli, nonni, potranno avere grandi benefici.
Il primo consiglio che ci sentiamo di dare ai familiari è quello di essere pienamente consapevoli della sofferenza del proprio figlio. Avere questa consapevolezza significa innanzi tutto non vederlo più come un bambino a volte assente, testardo, capriccioso, ritardato, inguaribilmente malato, da gestire da mattina a sera, cercando di limitare i suoi comportamenti a volte irritanti, collerici e aggressivi, altre volte di estrema chiusura. Avere questa consapevolezza significa non giudicarlo più come un bambino che compie gesti incomprensibili che fanno disperare tutti quelli che cercano un approccio nei suoi confronti. Avere questa consapevolezza significa non focalizzare la propria attenzione sui suoi sintomi ma sulla sua vita interiore, sui suoi sentimenti e sulle sue emozioni.
Le cause di questa sofferenza possono essere molteplici: vi può essere una fragilità di base del bambino difronte alle frustrazioni, può essere stata determinante qualche caratteristica di personalità di uno o di entrambi i genitori o delle persone che hanno avuto cura del bambino nei suoi primi mesi di vita; oppure possono aver inciso negativamente gli eccessivi impegni lavorativi, le malattie intercorrenti di uno odi entrambi i genitori o del bambino stesso, la conflittualità familiare, i lutti, e così via. Insomma qualcosa non è andato per il verso giusto nei primi mesi di vita del bambino per cui questi ha accumulato notevoli sofferenze e frustrazioni. E sono le reazioni e le difese che il bambino ha messo in atto per evitare di soffrire troppo che provocano i suoi sintomi e non il contrario.
Pertanto al centro del nostro impegno dobbiamo mettere la diminuzione della sofferenza del bambino. Solo se questa diminuisce, diminuiranno i suoi sintomi che sono, in fondo, le manifestazioni di questa. E poiché è la sofferenza il punto nodale del problema i genitori con l’aiuto degli specialisti devono cercare tutti i mezzi e tutte le strategie per riuscire a diminuirla. Per fare questo bisogna necessariamente modificare molti dei comportamenti di ogni membro della famiglia.
Intanto è importante evitare di lasciarsi opprimere dai sensi di colpa in quanto spesso gli errori che si fanno sono inconsapevoli, pertanto è inutile recriminare. Com’è altrettanto inutile, oltre che dannoso, accusarsi a vicenda. Le accuse reciproche: del marito verso la moglie e viceversa, dei genitori verso i nonni e viceversa, hanno soltanto il potere di bloccare ogni familiare nella sua crescita rendendo vano ogni intervento.
Il secondo momento importante non può che essere una sostanziale modifica del rapporto che si è avuto in passato con il bambino. Sebbene i genitori non abbiamo particolare e specifica formazione crediamo che anche loro possono cercare di seguire le poche essenziali regole del Gioco Libero Autogestito che brevemente ricordiamo:
· Riscoprire il bambino che sta in ognuno di voi così da porsi nei confronti del piccolo con grande empatia. Ciò vi permetterà di capire meglio tutto ciò che fa piacere a lui, ciò che gli è indifferente e ciò che lo mette in ansia. In questo modo potete offrire a lui non solo parole affettuose ma anche e soprattutto comportamenti e azioni capaci di dargli sicurezza, serenità e gioia.
· Cercate di avere il massimo rispetto per le sue paure, per le sue fobie, per le sue ansie, per i suoi gusti, per le sue stereotipie o per tutti gli altri comportamenti che lui adotta, anche se possono sembrare strani e inusuali. Poiché è inutile e controproducente lottare contro i comportamenti che ci irritano e che non accettiamo, utilizziamo invece tutte la nostra fantasia per dargli il massimo del benessere psicologico riducendo al minimo le frustrazioni e gli stress.
Giochiamo a lungo con lui ai suoi giochi. Lasciandolo libero di trovare nell’ambito delle sua stanzetta o della sua casa gli oggetti che preferisce così che possa utilizzarli a modo suo senza essere oppresso da qualcuno che continuamente gli dice: ”Questo non si fa” “Questo non si dice” “Questo non è bello” “Questo è inutile” “Questo non è adatto a te”.
Poiché questi bambini amano giocare con oggetti veri, come d’altra parte vorrebbero fare tutti i bambini se solo i genitori glielo permettessero, non meravigliamoci se metteranno da parte il meraviglioso gioco elettronico comprato dai nonni e preferiranno, invece, divertirsi con l’acqua, con la carta igienica, con il nastro adesivo, con i fiori e la terra del balcone, con le pentole della mamma o con gli attrezzi di bricolage del papà.
Ricordiamo a noi stessi, in ogni momento, che non è importante il tipo di gioco che egli fa, ma la possibilità di effettuarlo liberamente e con la piena partecipazione di mamma e papà che hanno il compito non di controllori spietati pronti a bloccare ogni sua iniziativa ma di amici disponibili e felici di essere complici delle sue scoperte, del suo piacere e del suo divertimento.
Se avete la possibilità di portarlo in un bosco o in un prato, la qualcosa sarebbe veramente utilissima, cercate di tenere a freno le vostre ritrosie e le vostre paure verso potenziali rischi dati dalla terra, dagli animaletti, dagli insetti e da eventuali cadute. Pertanto lasciatolo libero di scegliere con che cosa e come giocare assecondandolo fino in fondo, senza costringerlo a fare i giochi che voi preferite o che vi rendono più tranquilli. I limiti ai suoi giochi devono essere pochissimi.
Sforzatevi di comunicare con il vostro bambino più con i comportamenti ed i gesti che con le parole. Lui non ha alcun bisogno che gli diciate ogni momento che gli volete bene o che è lui è il vostro piccolo amore. Ha, invece, bisogno che gli dimostriate, momento per momento, giorno per giorno, che state lottando per il suo benessere. Nel senso che in ogni momento ed in ogni giorno trascorso insieme il vostro sforzo ed il vostro impegno è teso a metterlo a proprio agio, divertendovi insieme a lui, facendo insieme a lui le esperienze che egli propone.
Poiché la sofferenza rende questi bambini molto reattivi e sensibile ad ogni gesto, ad ogni rumore, ad ogni situazione ai loro occhi e al loro animo, potenzialmente dannosa o rischiosa, misurate ogni evento e ogni realtà con il metro dell’emotività del bambino e non con il vostro. Infatti, molte cose che per gli adulti o per i bambini normali sono indifferenti o addirittura belle e accettabili per un bambino con queste problematiche possono essere fonte di turbamento, se non di paura e angoscia. Trovate allora per il piccolo, sempre ed in ogni momento la o le situazioni che più lo soddisfano, che più avete constatato fanno diminuire la sua ansia, che più lo gratificano. Non lasciatevi, quindi, sedurre e coinvolgere dalle mode del momento o dalle consuetudini sociali.
Facciamo qualche esempio:
Poiché questi bambini vivono la realtà con angoscia, hanno bisogno che l’ambiente che li circonda sia un ambiente sereno e tranquillo nel quale vi siano pochi stimoli esterni e scarsi cambiamenti.
Giacché questi bambini si trovano più a loro agio con gli adulti che non con i coetanei, in quanto la maturità dell’età adulta fa essere questi meno impetuosi, meno imprevedibili, meno irritanti e aggressivi e quindi più calmi e accettanti, lasciate che il rapporto con i suoi coetanei avvenga in un secondo momento, quando avrà acquisito maggiore serenità e quindi migliori e più efficaci capacità relazionali.
Essi non amano i luoghi nei quali vi sono troppi stimoli o stimoli troppo forti. Evitate pertanto di trascinarli nelle feste. Soprattutto evitate di far subire loro le feste troppo rumorose e spesso caotiche organizzate a casa dei loro coetanei;
Se è la vostra famiglia che organizza una festa, fate in modo che egli possa stare, se vuole, nella sua stanza, a giocare in compagnia di un adulto o di un bambino con il quale si è già stabilito un buon legame di fiducia e affetto reciproco.
Altra attenzione è bene portare verso i rumori che li spaventano: gli spari dei mortaretti, i giochi d’artificio, i fastidiosi rumori dei giocattoli elettronici. È inutile aggiungere paure ad un bambino già tanto spaventato con il pretesto che deve abituarsi ad accettare tutto. Quando sarà più sereno e maturo, sicuramente lo farà.
Evitate le strade e gli ambienti troppo affollati in quanto in questi ambienti i bambini affetti da Autismo non si ritrovano a loro agio;
Poiché, più degli altri bambini, odiano grida e contrasti tra i familiari in quanto provocano in loro molta insicurezze e paure, cercate in tutti i modi di evitarli. Il primo dovere di ogni genitore è quello di dare ai figli un clima familiare tranquillo, affettuoso, dialogante e reciprocamente comprensivo, ricordatevi, allora, che il sistema migliore per risolvere i problemi e i conflitti nell’ambito della coppia e della famiglia non sono le accese discussioni nelle quali, alla fine, ognuno rimane della sua posizione. Il sistema migliore risiede, oltre che in tanta pazienza ed in tanta comprensione, in una buona terapia di coppia o di famiglia. Nel caso in cui, però, vi fosse lo stesso un argomento di cui volete discutere ma temete che saranno usati dei toni accesi fatelo in un luogo lontano dal bambino, così che non possa né avvertire, né sentire la tensione che, inevitabilmente in queste occasioni si innesta tra gli adulti.
Poiché, come abbiamo detto alcuni suoi problemi sono, almeno in parte, dovuti a caratteristiche psicologiche dei genitori e o di qualche familiare: ansia eccessiva, atteggiamenti ossessivi e compulsivi, depressione, aggressività, difficoltà nella capacità di ascolto e comunicazione, se ritenete di avere problematiche tali da rendere difficile il vostro rapporto con il bambino, affrontate i vostri problemi psicologici con un buon psicologo o psichiatra piuttosto che continuare a soffrire: voi, i vostri figli e gli altri familiari.
La società moderna spesso vi spinge a dei ritmi frenetici difficilmente compatibili con il vostro benessere individuale e con le relazioni che è necessario instaurare ogni giorno con vostro marito, vostra moglie o con i figli. Impegnatevi, quindi, a vivere con ritmi più lenti e distesi ogni momento della vostra giornata.
Se vi accorgete, dopo qualche giorno, che la terapia o l’attività, qualunque essa sia, che vi è stata consigliata dai vari medici specialisti, è scarsamente o per nulla accettata dal bambino, abbandonatela senza rimpianto. Spesso il problema del rifiuto non sta tanto nel tipo di terapia o di attività ma in chi la applica e in chi la deve accettare. Per cui lo stress o la frustrazione nell’effettuare una terapia o un’attività potenzialmente utile, ma poco accetta, rischia di annullare ogni potenziale beneficio.
Una particolare attenzione è bene, inoltre, porre ai programmi televisivi, ai video giochi e alla navigazione in Internet. Spesso questi bambini utilizzano questi strumenti elettronici in modo eccessivamente ripetitivo e coattivo è giusto, pertanto, limitarne l’uso, offrendo delle alternative più interessanti e coinvolgenti.
Poiché può risultare patogeno anche un normale ambiente di classe. In quanto questo tipo di ambiente è quasi sempre troppo numeroso, vociante e con troppi stimoli, per cui non è adeguato a questi bambini che hanno, invece, bisogno, almeno inizialmente, di un ambiente silenzioso, tranquillo, ovattato con pochissimi stimoli esterni, è bene accordarsi con la scuola affinché il bambino sia inserito in un locale silenzioso e tranquillo con tanti giocattoli che lui può utilizzare e gestire liberamente come meglio crede sostenuto da un insegnante disposto a partecipare con gioia ai suoi giochi. E solo dopo, quando l’insegnante avrà chiaramente notato che la sua maturazione affettiva e la sua serenità interiore sono notevolmente migliorate il docente potrà inserire accanto a lui altri adulti e altri bambini con i quali è possibile stabilire o si è già instaurata una buona intesa reciproca.
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Dott.ssa Giuliana Galante Musicoterapeuta E-Mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. Cell. 3476655657
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G. è un bambino di 8 anni affetto da Autismo Primario. Il bambino ha svolto un percorso terapeutico musicale, iniziato il 16 Dicembre 2008 e concluso il 2 giugno 2009.
L’aspetto centrale per il funzionamento dell’intervento terapeutico è stato rappresentato dall’accoglienza dell’utente fino alla presa in carico con la consegna della diagnosi, così da poter definire il percorso successivo.
Dall’analisi della domanda e della richiesta si sono osservati dei cambiamenti importanti che hanno riguardato l’aspetto sociale, la prossemica e lo sviluppo di tutta l'area musicale/vocale.
Negli ultimi 3 mesi il bambino ha partecipato agli incontri in modo individuale, eccetto alcuni interventi che richiedevano la partecipazione dell’insegnante di sostegno. Quest’ultima figura, che si è mostrata propositiva e collaborativa, all’inizio del percorso era necessaria per agevolare le esperienze musicali di G., soprattutto nei momenti di frustrazione.
La metodologia utilizzata è stata “centrata” sul paziente, dall’ascolto passivo all’esplorazione degli strumenti, fino ad arrivare gradualmente all’accompagnamento sonoro, lavorando solo nell’ultima parte delle sedute sul movimento e sulla coordinazione.
I momenti individuali sono stati importanti per stabilire il rapporto e la comunicazione in modo non verbale tra PZ/MT, dove il linguaggio per comunicare era quello dei suoni nelle diverse manifestazioni: suono/ritmo, vocalità/movimento.
Dalla fase di “ascolto/accoglienza” è stato possibile osservare i vari modi di vivere l’esperienza del bambino e la transizione dallo spazio armonico interiore, dal non-dicibile, non ascolto, verso la manifestazione delle sue emozioni e dei suoi sentimenti attraverso l'espressione musicale.
Le sedute sono state integrate con momenti di Arteterapia durante i quali si è svolto un lavoro di ricostruzione di strumenti musicali, ricomponendo e incollando le diverse parti disegnate su cartoncino e riportando gli strumenti "assemblati" su una bacheca a scuola, così da poterli riutilizzare durante gli incontri successivi.
Si tratta di strumenti presenti nell'aula, che il bambino conosce. Lo scopo di questa esperienza è favorire il riconoscimento dello strumento suonato nel corso della seduta tra quelli riprodotti nella bacheca, ripetendo il nome a voce alta, come associazione verbale.
Osservazioni Partecipanti:
Negli ultimi 3 mesi, il bambino ha manifestato un interesse maggiore verso strumenti di legno, come le nacchere e le maracas, e un'attrazione particolare per il tamburo di pelle, mostrando un'attivazione emotiva evidente nel passaggio dall’uso della bacchetta al battito della mani. Durante le sedute ha espresso la voglia di comunicare attraverso il contatto fisico e la ricerca dello sguardo.
Si è mostrato interattivo col gruppo classe e nei momenti di musicoterapia d’insieme, sia all’interno della sua classe che in sezioni diverse. E’ stato partecipativo nei momenti di piccolo gruppo e ha iniziato a imporsi sulle attività proposte, accettandole o rifiutandole in modo chiaro. I livelli di frustrazione sono migliorati, rispetto agli incontri iniziali, in cui manifestava rabbia se la proposta musicale era dissonante col suo stato d‘animo, ha sviluppato un buon adattamento anche ai brani in tonalità minore, accettandoli passivamente o reagendo attivamente, ad esempio spegnendo lo stereo o prendendo un altro cd da inserire.
Dal punto di vista della prossemica è dinamico, non trascorre più tempi morti alla finestra e si è abituato allo spostamento in aule diverse, anche in più ambienti nella stessa mattina.
E’ solare dal punto di vista dell’espressione del viso, mostra meno tensione e tende a tenere aperti gli occhi per quasi tutto il tempo dalla seduta.
Ha iniziative personali e propone cd o strumenti di suo gradimento. Si è abituato alle routine spezzate, ha acquisito fluidità nei movimenti (giochi motori- momenti di ballo) e ha abbandonato le posizioni statiche alla finestra o sul tappeto morbido. Attraverso il lavoro musicale e il canto ha sviluppato nuove lallazioni abbandonando i suoni striduli e gutturali, segue i brani e intona le strofe. Si è abbassato il livello di tensione corporea e ciò si nota soprattutto a livello dei lineamenti del viso.
Si propone di proseguire il lavoro terapeutico in termini espressivi e di stimolazioni dal punto di vista sensoriale.
Modena, 09 giugno 2009
Diagnosi: Disturbo Pervasivo dello sviluppo- Disturbo Autistico
Dott.ssa Giuliana Galante - Musicoterapeuta
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Utente: G.
Anni: 8
Organizzazione degli incontri: Martedi
Durata: Dicembre ‘08 – Giugno ‘09
L'intervento di Musicoterapia è stato richiesto dalla famiglia.
Di seguito si elencano gli obiettivi relativi al projectwork.
Obiettivi
Osservazione dello strumentario
Scoperta dello strumento musicale come mezzo espressivo
Tradurre costantemente i contenuti musicali in ambiti e codici espressivi diversi in modo graduato, a seconda della complessità dell’attività:
Corpo
Voce - stimoli Vocali
Strumento
Ampliare i canali di comunicazione/ socializzazione coi pari attraverso esperienze sonoro- vocali
Aumentare il tempo all’interno della sezione
Creare un gruppo coi pari per brevi momenti di incontro (giochi sonoro- musicali) fuori dalla sezione in momenti non didattici
Favorire l’interesse del linguaggio sonoro-musicale
Rafforzare i tempi e il livello di attenzione
Favorire gli atteggiamenti emotivi e le capacità di socializzazione
Premessa
G. è un bambino affetto da Disturbo pervasivo dello Sviluppo, nella sua forma più grave, ovvero l'Autismo. Frequenta la classe seconda elementare, ha il sostegno scolastico coperto per tutte le ore. E' stato seguito dalla famiglia sin da piccolo, appena è stata realizzata la diagnosi. Dal 16 dicembre 2008 ha intrapreso con frequenza settimanale la seguente attività abilitativa: un incontro di Musicoterapia il martedi mattina a scuola dalle ore 9:00 alle 10:00. E' un bambino affettuoso, abituato a stare assieme ad altre persone, abituato ad abbracciare e dare dei baci, m anche a riceverli; talvolta, soprattutto nei contesti che sono per lui nuovi si mostra agitato e iperattivo . Una caratteristica di G. è il comportamento 'insistentemente ripetitivo' o 'insistentemente perseverante. Diventa estremamente insistente sulle routine; all’inizio del percorso (per i primi 2 incontri) portava con se una bottiglia di plastica vuota, abitudine modificata negli incontri successivi. Un aspetto su cui lavorare e modificare in itinere è l’incremento del tempo di permanenza all’interno della sezione, per poi raggiungere a lungo termine l’obiettivo della socializzazione con gruppo classe. G. trascorre molto tempo fuori dalla sezione con l’insegnante di sostegno, in una sala mensa, posizionandosi alla finestra nell’angolo della stanza, non guarda fuori, tiene gli occhi chiusi ed emette dei vocalizzi lunghi, simili ad un lamento continuo, che inizia con un verso stridulo fino a diventare cupo e grave. Una possibilità è lavorare assieme all’insegnante di sostegno a cui G. è molto affezionato. E' importante per lui svolgere l'attività musicale come un momento di accoglienza e di libera espressione del suo mondo, in modo che si senta accettato durante gli incontri di Musicoterapia in maniera globale, con l'aggiunta graduale del movimento, la pratica strumentale centrata sull'ascolto.
Strumenti e Metodi
Gli incontri sono previsti in classe, nella sala di musica, alternando gli spazi per rompere le routine, con momenti all’interno della classe adibita per il bambino, con tappeti morbidi e alcuni dei suoi giochi, tra cui un peluche di Winnie the Pooh, il suo orsetto preferito. Si propone un setting strutturato ma dinamico, una disposizione circolare dello spazio- strumentario , in cui possa muoversi liberamente e riconoscerlo come familiare, facilitante la libera espressione, una relazione terapeutica gratificante e un Metodologia direttiva.
Per ottimizzare il lavoro si procede dal generale al particolare, creando una situazione- gioco vicina al suo spazio senza violarlo, un’ attivazione passivo- recettiva fino a renderla attiva, con momenti circolari in cui partecipano i compagni di classe, e la sorella, che frequenta la classe 5 elementare nella stessa scuola.
Per integrare il suo campo di esperienza sono proposte attività ritmiche e di movimento, con variazioni graduali, attività ludico musicali e proposte che consentono di sviluppare le abilità musicali pregresse e di imparare ad esprimersi con l’uso di diversi linguaggi. L’ approccio espressivo stimola gli aspetti affettivi, psicomotori, sociali e cognitivi. Inoltre è prevista la pratica di semplici strumenti musicali non convenzionali con materiali di diverso tipo che favoriscono gli aspetti Sinestesici.
Ecco una esperienza vissuta legata a un incontro che ritengo importante, in quanto oggi sono state superate delle barriere emotive rilevanti. “Oggi arrivo a scuola, G. è in classe, sta giocando con degli incastri, mentre compone la torre i compagni applaudono, appena mi vede viene incontro a me con l’I. S. , visto che c’è una bellissima giornata di sole andiamo in giardino. Ho la chitarra in mano, G. le indica con la mano e mi fa andare avanti verso le scale che ci portano in giardino. Il bambino è sereno, ha i lineamenti del viso distesi, sorride mentre andiamo su una panchina a sederci, apro la custodia e inizio a suonare qualche corda. Ad ogni suono pizzicato G. mi risponde battendo 5 volte, continuo e lo porto con la mano sulle corde, mi guarda e si continua a suonare, dopo circa 10’ andiamo vicino allo scivolo, il bambino si avvicina ma non sale sopra. Canto e suono per lui sillabando il nome della sorella, c’è da parte sua una corrispondenza vocale su 3 sillabe, proseguo con il termine mamma, mi guarda in silenzio. Trascorsi circa 30’ andiamo nella classe della sorella, propongo di cantare insieme. Ci sediamo tutti e 3 sul pavimento e M. canta una canzone dell’ultima recita a scuola, non guarda suo fratello in viso, e G. non alza lo sguardo, tra i due non c’è alcun contatto. Per creare un ponte propongo a M. di cantare Fra Martino, (a lei non piace), allora avvicinandomi verso G. inizio a cantare la prima strofa. G. tocca la chitarra battendo sulla cassa armonica, nel momento in cui si giunge al Din Don Dan M. si avvicina alla chitarra, batte 3 volte e G. alza lo sguardo verso di lei. E’ la prima volta che cerco di creare un ponte di ancoraggio tra i due, dal prossimo incontro ci sarà sempre un momento di gruppo con la sorella e un compagno della sezione. Torniamo al piano superiore, nella classe di G. che è un aula inutilizzata adibita con dei materiali e giochi solo per lui, ascoltiamo del jazz, lento, brani classici. Prendo degli strumenti, li dispongo sul tappeto centrale , metalli(triangoli), corde, il telo morbido, oggi G. è proiettato al legno, legni e grattugia, ma proprio per questo non li usiamo. suoniamo sui brani, in modo graduale cresce il volume, l’intensità, i suoni acuti e i volumi alti lo infastidiscono, mette le mani sulle orecchie, quindi abbasso il volume a un volume medio. Sui brani ascoltati canto una lallazione , armonizzando la melodia, G. completa le mie frasi con lo stesso motivo, più volte, inizia con un volume basso, e arriva a definire il fraseggio lallato. Prima della fine dell’incontro riprendo la chitarra suono il giro armonico che introduce la canzone della mani, che anticipa il saluto finale.
Luogo e Data:
Modena, 17 febbraio 2009
Dott.ssa Giuliana Galante Specializzata in Musicoterapia
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Dott. Emidio Tribulato – Medico -Neuropsichiatra infantile e psicologo
Dott.ssa Cristina Cosenza –Psicologa.
Dott.ssa Tindara Caprì - Psicologa
Francesco[1] è un bambino secondogenito di 10 anni, nato da gravidanza esitata in parto cesareo. Viene portato dai genitori al Centro Studi Logos per accertare la diagnosi clinica di “Disturbo generalizzato dello sviluppo” stilata dall’azienda U.S.L. N. 5 di Messina nella quale è particolarmente sottolineata la difficoltà, del bambino, a relazionarsi e ad apprendere. Mentre da una visita effettuata presso il policlinico di Messina, reparto di neuropsichiatria infantile è stata fatta diagnosi di “Disturbo pervasivo dello sviluppo” e veniva consigliata psicomotricità e logoterapia.
Dall’anamnesi familiare e ambientale si evidenzia che prima di rimanere incinta del primo figlio la madre ha subito tre aborti spontanei, interventi all’utero ed ha effettuato molti esami medici e terapie per riuscire ad avere dei figli. Durante la gravidanza di Francesco la donna è stata costretta a rimanere a letto fino al quinto mese per evitare un ulteriore aborto spontaneo. Il bambino è nato da parto cesareo qualche giorno prima del termine. Già al quarantesimo giorno dalla nascita Francesco ha manifestato alcuni problemi nell’alimentazione accompagnati da difficoltà respiratorie causate da un’affezione bronchiale. Per tali motivi è stato ricoverato per 28 giorni in ospedale. Durante tale degenza ha anche subito un arresto cardiaco.
A tre anni Francesco non riusciva a fare capire ciò che desiderava, pertanto la madre si è accorta che il bambino nel linguaggio non seguiva la normale evoluzione. Inserito nella scuola materna verso i quaranta mesi con l’aiuto dell’insegnante di sostegno sono emerse ancor più le difficoltà di Francesco nel giocare e relazionarsi con i coetanei. Il bambino, infatti, appariva molto instabile e irrequieto sicché preferiva giocare da solo e si isolava dal contesto classe.
A 6 anni e 10 mesi, i genitori di Francesco hanno deciso di fare visitare e seguire il bambino presso il Centro Studi Logos di Messina.
In questo Centro, durante le prime osservazioni si evidenziava:
Da un punto di vista psichico, il bambino presentava capacità intellettive ritardate, perseverazione solo per le cose che lo interessavano, paura dei lampi e dei tuoni,
Dal punto di vista relazionale e sociale Francesco presentava assenza di desiderio di contatto fisico, non partecipazione ai giochi sociali e comportamento spesso irrequieto e poco o nulla ubbidiente.
Nell’area della produzione linguistica, il bambino dimostrava uno sviluppo di 15 mesi. Riusciva a dire solo da due a sei parole comprensibili e usava dei mugugni e dei suoni poco articolati per comunicare.
Nell’area motoria il bambino presentava notevole iperattività ed instabilità psicomotoria che i genitori cercavano di contrastare in maniera poco efficace.
Nell’area dell’abilità di prescrittura, Francesco aveva uno sviluppo di 24 mesi.
Dal punto di vista neuropsicologico il bambino aveva un’attenzione estremamente labile.
Molto scarsa era l’autonomia personale e sociale.
Per alcuni anni i problemi di Francesco sono stati affrontati dal Centro Studi Logos cercando di migliorare l’ambiente familiare notevolmente disturbato a causa dei notevoli e frequenti conflitti coniugali. Si è tentato, inoltre di migliorare le sue capacità intellettive mediante l’uso di un apposito programma di stimolazione logico - cognitiva “Voglia di crescere”. Inoltre, mediante colloqui quindicinali con i genitori si è cercato di migliorare il vissuto dei genitori nei confronti del bambino ed il loro stile educativo. Nel contempo il bambino continuava ad effettuare psicomotricità e logoterapia.
Poiché tutti questi interventi avevano conseguito solo dei modesti e parziali miglioramenti, evidenti soprattutto sul piano dell’instabilità ma non sulle sue capacità relazionali e linguistiche che continuavano ad essere estremamente limitate si è pensato di inserire Francesco in un particolare percorso psicoterapico di tipo affettivo – relazionale studiato e proposto dal direttore del Centro Studi Logos di Messina dott. Emidio Tribulato denominato “Terapia del gioco libero autogestito”.
Per l’autore di questo tipo di terapia l’autismo nasce da un precoce stato di notevole sofferenza e frustrazione del bambino dovuto a motivi vari, solo in parte riconducibili ad un alterato rapporto materno –infantile, in quanto frequentemente sono presenti altre concause legate alle componenti genetiche del minore, alla conflittualità genitoriale, alle carenze affettive, alle ospedalizzazioni, ai disturbi psicologici dei genitori, agli atteggiamenti educativi e di cura non idonei ecc..
Precoce sofferenza e frustrazioni impediscono al bambino un normale sviluppo cognitivo e relazionale mentre nel contempo lo costringono a mettere in atto varie difese di tipo arcaico e quindi poco funzionali come la chiusura, l’allontanamento dalla realtà, le stereotipie ecc..
Questo grave stato di malessere psichico comporta, di conseguenza, una notevole fragilità di fronte alle frustrazioni, un’intensa tensione interiore, una costante inquietudine, nonché una scarsissima fiducia negli altri e nel mondo.
Per tali motivi ogni comportamento delle persone che con lui si relazionano, non perfettamente aderente alle sue esigenze del momento, viene avvertito come ulteriore causa di dolore, angoscia e frustrazione che lo spingono ancor più alla chiusura e alla massiccia utilizzazione di sistemi di difesa scarsamente efficaci e, in definitiva, inadatti allo scopo di diminuire il suo grave malessere psicologico.
Il gioco.
Sappiamo che uno degli elementi fondamentali per un'infanzia soddisfacente e ricca è la possibilità di giocare. Il gioco è forse l'elemento comune più importante e frequente tra gli animali superiori. Per il bambino il gioco rappresenta la strada maestra per la sua crescita in quanto il gioco è:
Piacere. Il bambino gode di tutte le esperienze fisiche e affettive vissute durante il gioco.
Strumento di esplorazione e conoscenza. Del proprio corpo e del corpo degli altri, degli oggetti inanimati, del mondo che lo circonda e della natura. Il gioco è anche esplorazione e conoscenza delle emozioni e dei sentimenti.
Stimolo allo sviluppo motorio e intellettivo. Mediante il gioco il bambino stimola e sviluppa il suo pensiero, la progettualità, l’agilità, la forza, la memoria, la coordinazione occhio-mano, la spazialità.
Veicolo privilegiato di comunicazione e socializzazione. Con il gioco il bambino allarga il contesto delle sue relazioni; apprende a comunicare più efficacemente con gli altri. Comprendendo il punto di vista di chi ha di fronte diventa consapevole dei suoi sentimenti e dei suoi bisogni. Impara l’importanza delle regole e la loro accettazione. Il gioco allarga i primi scambi sociali del bambino con gli adulti e, fino ai tre anni, è la sua sola modalità relazionale.
Mezzo per lo sviluppo della creatività e della fantasia. Mediante oggetti semplicissimi: qualche legnetto, poche pietre, un po’ di fango, oppure mediante una matita e qualche foglio uniti a tanta immaginazione e inventiva il bambino riesce a costruire mille favole e mille storie, nelle quali si muovono eroi e principesse, draghi e macchine volanti, robot e armi spaziali.
Strumento di contatto e controllo delle proprie emozioni. Giocando con gli altri il bambino riconosce la gioia della vittoria, il sapore bruciante della sconfitta, il calore dell’amicizia, dell’affetto e dell’amore. Impara ad affrontare i piccoli contrasti e le tensioni che si avvertano nel rapporto con se stessi e con il prossimo. ‹‹Allorché assume la veste di gioco simbolico, drammatico, di ruolo e di finzione assolve, attraverso rituali iterativi e meccanismi di identificazione e di proiezione, ad una preziosa funzione liberatoria e terapeutica, esorcizzando paure e angosce e liquidando impulsi aggressivi, distruttivi e vissuti di ostilità.››[2]
Palestra per l’autonomia personale e sociale. È anche mediante il gioco che il bambino acquista fiducia in se stesso e negli altri e quindi impara a fare a meno dell’aiuto e del supporto continuo dei genitori nei suoi bisogni quotidiani.
Occasione per la sua formazione morale e civile. Nel gioco di gruppo, governato da regole fisse e cogenti, il soggetto impara a osservare le norme, a improntare il proprio comportamento a principi di lealtà, di correttezza e di rispetto per l’avversario. Apprende a testimoniare atteggiamenti di fedeltà al proprio gruppo o banda. Riconosce l’importanza dell’avvicendamento, della cooperazione, della distribuzione dei compiti, della turnazione. Tutte queste acquisizioni confluiscono nel più ampio capitolo della formazione dell’uomo e del cittadino.
Occasione per rafforzare la sua volontà. Molti giochi di pazienza, di costruzione, competitivi, di squadra, rafforzano la volontà, plasmano il carattere, servono anche ad instaurare un progressivo controllo sulle proprie emozioni e pulsioni.
Opportunità per mettersi in contatto con la natura. Il rapporto diretto con la natura è fondamentale nello sviluppo dei minori, come degli adulti. Per milioni di anni l’essere umano si è sviluppato attraverso il contatto con i fiori e i frutti delle piante, con la vivacità e l’amore degli animali, con le acque dei fiumi e dei ruscelli.
I giochi, come sappiamo, possono essere liberi o guidati dai genitori o da altri adulti. Per quanto riguarda questi bambini sono nettamente da preferire i giochi liberi in quanto questa modalità permette loro di utilizzare questo primario strumento formativo tenendo conto delle loro personali preferenze e dei loro individuali bisogni del momento. Inoltre i giochi possono essere gestiti da entrambi i partecipanti o da uno solo di essi (gioco autogestito).
In questa modalità è solo il bambino a condurre il gioco e, quando durante l’attività egli coinvolge il terapeuta, compito di questi è solo quello di comprensione, aiuto e supporto ai suoi bisogni del momento espressi mediante il gioco. Bisogni che non sono mai criticati o messi in discussione tranne che non comportino un reale pericolo per la sua incolumità. In conclusione è lui il vero leader mentre il terapeuta assume il difficile ruolo di gregario.
I motivi di questo inusuale approccio, che però abbiamo constato riesce a conseguire importanti e stabili risultati nel modificare in senso positivo questa patologia, sono essenzialmente due:
innanzitutto se è il terapeuta a scegliere l’attività da proporre al bambino, data la estrema sensibilità di questi, è molto facile sbagliare e sbagliando non solo non miglioreremo la sua condizione ma rischieremo di accentuarla. Se, invece, lasceremo la scelta a lui la possibilità di errore si annulla;
questi bambini, come abbiamo già detto, sono estremamente sensibili alle frustrazioni e spesso reagiscono negativamente a tutto ciò che proviene dal mondo esterno verso il quale nutrono, a torto e a ragione, una notevole diffidenza e reattività. Pertanto ogni iniziativa del terapeuta, anche la più lodevole, che però non è stata da loro richiesta e voluta in quel momento, rischia di accentuare le loro paure e ansie, con conseguente accentuazione della diffidenza e quindi delle messa in atto di ulteriori difese nei confronti degli altri e del mondo esterno.
Per evitare, quindi, di peggiorare il loro mondo interiore e il difficile rapporto che essi hanno nei confronti degli altri esseri umani il terapeuta si limiterà soltanto a collaborare attivamente ai suoi giochi e alle sue attività anche se questi possono sembrare ripetitivi, inutili, sciocchi, o peggio crudeli.
Per l’autore di questo tipo di terapia questi bambini, in definitiva, non sono bambini da educare ma da liberare.
Liberare dalle loro paure; liberare dalle loro angosce; liberare dall’aggressività repressa, dai sensi di colpa, dalla rabbia accumulata in anni di sofferenza.
La comunicazione.
Se riusciamo ad instaurare questo tipo di relazione ci accorgeremo molto presto del loro grande desiderio di comunicare.
Poiché un bambino autistico o con disturbi pervasivi dello sviluppo, è un bambino al quale, spesso senza volerlo e senza saperlo, gli si è fatto del male e ciò lo ha spinto a difendere il proprio Io dall’angoscia che lo potrebbe sommergere utilizzando strumenti primitivi di difesa come possono essere le stereotipie o la chiusura nei confronti del mondo esterno, non dobbiamo assolutamente essere noi a proporgli il modo giusto di comunicare ma deve essere lui a scegliere di volta in volta i momenti e le forme più opportune di dialogo. Perché solo lui sa quello che in quel momento si agita nel suo animo e quindi solo lui sa ciò che in un determinato momento ha bisogno e non noi.
Ciò non è così semplice come sembra. Anzi è talmente difficile per i terapeuti che spesso questi sono disposti ad applicare tutti i tipi di terapie nei loro confronti: logoterapia, ippoterapia, psicomotricità, delfinoterapia, terapia occupazionale, terapia del comportamento, ecc.. ma non sono disponibili ad attuare un dialogo che tenga conto soltanto dei loro desideri, dei loro bisogni e delle loro esigenze.
Questo tipo di dialogo è, inoltre, molto difficile attuarlo in quanto in ogni adulto che si confronta con un bambino, tende a prevalere in modo deciso l’atteggiamento educativo, mentre questi bambini, come abbiamo detto sopra, non hanno assolutamente bisogno di essere educati, mentre hanno assoluto bisogno di essere liberati.
Lo spazio.
Oltre a rispettare i loro tipi di giochi e i tempi e la forma di comunicazione abbiamo anche il dovere di rispettare il loro spazio.
Poiché questi bambini hanno paura del mondo e degli altri esseri umani, il terapeuta ha il dovere di limitare al minimo l’impatto che potrebbe avere nel suo animo la propria presenza fisica, in modo tale che non l’avverta mai e in nessun momento come invasiva.
Inizialmente il posto migliore che può scegliere è quello più lontano da lui. E li, con animo sereno, disponibile e fiducioso, aspettare. Aspettare che sia lui, dopo qualche ora o qualche giorno a diminuire questa distanza fisica. Nel momento in cui avrà più sicurezza in sé stesso, più fiducia nel terapeuta, più stima di lui, meno paura, sicuramente lo farà.
Si avvicinerà inizialmente con dei contatti apparentemente casuali, o mediati da un oggetto o da un gioco, mentre poi, gradualmente, farà chiaramente capire che desidera un contatto fisico più vicino e coinvolgente.
Anche questo nostro atteggiamento e comportamento non è di facile attuazione in quanto vorremmo che egli capisca subito, o comunque rapidamente, che noi gli siamo amici, che gli vogliamo bene, che non abbiamo nessuna intenzione di fargli del male, per cui, per ottenere ciò, il modo migliore ci sembra quello di avvicinarci il più presto possibile a lui così che avverta meglio i nostri sentimenti ma, ripetiamo, nel rapporto con i bambini autistici questo è un errore, in quanto dall’altra parte vi è tanta paura e tanta diffidenza.
La psicoterapia di Francesco, che è ancora in atto, viene effettuata in modo individuale da un solo terapeuta con la sola compresenza di uno psicologo osservatore. Le sedute si svolgono una -due volte la settimana ed hanno una durata di trenta – quarantacinque minuti. Tutte le sedute effettuate vengono relazione su carta dallo psicologo osservatore, mentre alcune, in media una seduta ogni cinque, sono videoregistrate.
Abbiamo scelto di presentare una seduta ogni cinque, estrapolando da ognuna di esse gli aspetti di maggiore interesse, in modo tale che il lettore possa facilmente comprendere l’evoluzione di Francesco senza annoiarsi troppo.
PRODUZIONE LINGUISTICA
1° seduta: Francesco emette dei suoni con una leggera intonazione nel caso in cui si tratti di esclamazioni o di domande, ma nessun suono è riconducibile a parole o frasi di senso compiuto.
5° seduta: il bambino inizia a comunicare attraverso un linguaggio non verbale. Nello specifico comunica di essere felice battendo le mani.
10° seduta: Francesco vuole essere preso in braccio per raggiungere gli oggetti riposti nei ripiani più alti degli scaffali e lo indica a gesti. Inoltre il bambino inizia a rispondere verbalmente con alcuni “si” e alcuni “no” a seguito delle domande poste dal terapeuta.
15° seduta: il bambino comincia a ripetere qualche parola come “oh no!”, “uovo”, “tutto”, “mio”, “mimmi”, “uva” “didì” (cioè “Francesco”), “latte”, “sacciccie” (cioè “salsicce”), “modo”, “iatto” (cioè “gatto”), “una”, e inizia a farsi capire anche quando non verbalizza in modo chiaro.
20° seduta: Francesco adesso indica ciò che lo incuriosisce e inizia a ripetere ulteriori parole rispetto a quelle menzionate prima come “tut” (cioè “tutto”), “toto” (cioè “tonno”), “atti” (cioè “acqua”), “maita” (cioè “matita”), “Tutù” (cioè “Gesù”), “piì” (cioè “pipì”), “pane”, “tao” (cioè “ciao”), “taolo” (cioè “tavolo”).
25° seduta: il bambino verbalizza altre nuove parole, “batta” (cioè “pasta”), “u u u” (cioè “bau -bau -bau”), “atta” (cioè “acqua”), “tate” (cioè “patate”), “uto” (cioè “sugo”), “lane” (cioè “latte”), “Natae” (cioè “Natale”).
30° seduta: Francesco risponde alle domande che gli vengono poste con “si” e “no”, e in alcune circostanze esprime il suo dispiacere esclamando “oh no!”.
35° seduta: il bambino durate il suo gioco esclama più volte la parola “attenti” e quando ricerca l’attenzione del terapeuta lo chiama “dottore”.
CONTATTO FISICO E OCULARE
1° seduta: non si evidenzia alcun tipo di contatto fisico tra Francesco e gli adulti presenti alla psicoterapia. Anche il contatto oculare è quasi totalmente assente durante la seduta.
5° seduta: è possibile osservare l’aumento di contatto oculare di cui Francesco inizia ad avvalersi per comunicare in maniera non verbale col terapeuta.
10° seduta: il bambino inizia ad accettare il contatto fisico con l’altro in quanto è lui stesso a richiedere al terapeuta di prenderlo in braccio ai fini di raggiungere e manipolare gli oggetti posti nei ripiani più alti degli scaffali ai quali egli non arriva, e successivamente gioca con il terapeuta a farsi vicendevolmente il solletico.
15° seduta: durante la seduta Francesco più volte ricerca un contatto fisico con il terapeuta. Ciò rappresenta un progresso visto il fatto che in precedenza il bambino non ricercava ne accettava il contatto con gli altri, dinamica che invece adesso è lui stesso di sua iniziativa a ricercare.
20° seduta: non si evidenziano elementi nuovi rispetto a quelli già menzionati in precedenza.
25° seduta: Francesco ricerca la vicinanza fisica col terapeuta e accetta un suo contatto. Il professionista in un momento di stasi mette infatti una mano sulla spalla del bambino che accoglie il gesto volutamente. Verso la fine della seduta, contento per essere riuscito a fare funzionare un gioco musicale, Francesco esultando di gioia abbraccia il terapeuta.
30° seduta: il bambino vuole prendere un oggetto riposto in uno scaffale troppo alto e, non arrivandoci, tocca il braccio del terapeuta per richiamare la sua attenzione indicandogli, poi con il dito, l’oggetto che desidera manipolare. Durante il termine della seduta, in seguito ad una precisa dinamica venutasi a creare all’interno del setting terapeutico, Francesco si lascia solleticare dal terapeuta, mostrando contentezza e divertimento per l’interazione appena instauratasi.
35° seduta: il bambino si trova nella situazione in cui accetta ormai il contatto fisico e oculare altrui, quando deve esprimere la sua gioia abbraccia il terapeuta.
GIOCHI E ATTIVITA’
1° seduta: Francesco inizialmente sembra non avere ben chiaro in mente come e con cosa giocare. Rovista, infatti, in maniera convulsa e molto agitata tra i vari scaffali alla ricerca di un qualcosa che possa attrarre la sua attenzione. In particolare la sua attività di esplorazione viene attuata rovistando in maniera convulsa sopra i mobili, dentro i cassetti, sotto i divani, tra i libri e all’interno di alcuni sacchetti di plastica ripiegati. Tale esplorazione ha luogo fino a quando il bambino trova casualmente uno strumento musicale e, venendone attratto, si diletta, con calma e tranquillità, nel suonarlo. Lo svolgimento dell’attività in questione non dura più di qualche minuto, in quanto Francesco viene subito attratto da un’ulteriore gioco inerente all’inserimento di alcuni gettoni all’interno di un’apposita mascherina, che il bambino svolge da solo senza la richiesta di interazione col terapeuta.
5° seduta: il bambino, giunto al CSL, inizia la sua attività di esplorazione rovistando tra i cassetti. Durante ciò si sofferma a manipolare un cellulare, e successivamente un album di figurine che sfoglia. Infine, attratto da un cd trovato durante l’iniziale esplorazione inerente al programma “Voglia di crescere”, lo inserisce nel computer dilettandosi a rispondere correttamente alle varie schede che si susseguono l’un l’altra.
10° seduta: anche qui la iniziale attività di Francesco è quella di esplorare lo studio rovistando tra armadi e cassetti fino a quando trova un tagliacarte. Giocando con esso, il bambino per la prima volta costruisce una situazione all’interno della quale inserisce anche gli adulti presenti nel suo campo visivo. Nello specifico Francesco coinvolge per la prima volta nel suo gioco una tirocinante e, impugnando il tagliacarte a mo’ di pugnale, le simula un “attacco”. Da qui hanno il via una serie di giochi nei quali il bambino interagisce con gli altri, come ad esempio l’inseguimento del terapeuta e il solleticarlo. Tutto ciò rappresenta un passo avanti nella creazione di significati all’interno del mondo di Francesco e nello svolgimento di giochi costruttivi che fino all’incontro precedente non erano mai stati svolti.
15° seduta: Francesco inizia a focalizzare la sua attenzione su oggetti ben precisi, ma soprattutto inizia ad intraprendere attività costruttive. Nello specifico, il filo conduttore della corrente seduta di psicoterapia riguarda lo “smontare e montare” gli oggetti che colpiscono la sua attenzione. Inizialmente smonta e poi monta l’involucro esterno di un orologio da tavolo.
20° seduta: il bambino aggiunge al suo ventaglio di giochi un’attività nuova, quella di preparare il caffè con la moca. Aiutato dal terapeuta, Francesco, mette in pratica i consueti passaggi indispensabili per la preparazione del caffè. Autonomamente, però, decide di prendere cinque bicchieri, che poi sostituisce con cinque tazze, con lo scopo di offrire il caffè anche al terapeuta e alle tirocinanti. Dalla situazione venutasi a creare si può notare come il bambino stia, progressivamente e positivamente, iniziando ad aprirsi con il mondo che lo circonda. Francesco, infatti, riesce, ormai, a collaborare con il terapeuta e si lascia tranquillamente guidare da quest’ultimo, coinvolgendolo con più frequenza nelle sue attività e nei suoi giochi. Preparato il caffè, il bambino lo offre con contentezza e amore a tutto il personale del CSL. Successivamente, la sua attenzione viene attratta da una casetta di legno e, assicuratosi di avere il consenso del terapeuta, distrugge l’intera costruzione, dando libero sfogo a tutta la sua aggressività e tensione interiore. Dopo essersi sfogato, Francesco, probabilmente sentendosi in colpa per la confusione generata, rivolge la sua attenzione su di una aspirapolvere cercando più volte di accenderla per rimediare al danno precedentemente fatto, ma non riuscendo nell’intento abbandona l’oggetto dedicandosi ad altro. Questa seduta di psicoterapia, quindi, rappresenta una delle sedute più importanti del percorso psicoterapeutico di Francesco in quanto, attraverso le attività da esso compiute, è possibile notare la manifestazione di tre bisogni interni al bambino che in questa seduta prendono chiaramente forma: il bisogno di donare il proprio amore agli altri (preparazione del caffè allo scopo di offrirlo), il bisogno di liberarsi dal fuoco di tensione e aggressività che divampa al suo interno (distruzione della cassa di legno), e il bisogno di mettere a tacere i propri sensi di colpa rimediando ai danni compiuti (utilizzo dell’aspirapolvere).
25° seduta: durante questa seduta si assiste ad un’ulteriore importantissimo progresso riscontrato in Francesco. Il bambino, su richiesta del terapeuta, accetta l’ipotesi di comporre un puzzle. Si viene a creare, quindi, un momento di lunga interazione tra Francesco e il terapeuta (cosa impensabile fino a qualche tempo fa), entrambi impegnati nella realizzazione della medesima attività. Il terapeuta mostra i pezzi al bambino che prima li guarda e successivamente li colloca al posto giusto. Francesco, con tranquillità e compostezza, riesce a collocare autonomamente tutti i pezzi del puzzle fino alla sua conclusione. In maniera ormai ordinata, nel momento in cui Francesco decide di avere terminato un’attività, ne inizia successivamente un’altra. Assistiamo quindi ad un’ulteriore progresso, in quanto il bambino non svolge più in maniera confusa e disordinata più attività allo stesso tempo, ma si dedica ordinatamente ad una attività per volta. Nello specifico, concluso il gioco del puzzle, Francesco comunica di volere giocare con un trenino giocattolo. Nel notare, però, la mancanza delle batterie, il bambino le cerca nei vari cassetti. Una volta trovate le inserisce nell’apposito scompartimento e, vedendo il trenino entrare in funzione con un’esplosione di suoni, Francesco manifesta palesemente la sua felicità esultando, saltellando e ridendo.
30° seduta: in questa seduta l’obiettivo di Francesco risulta essere per quasi tutto il tempo quello di aprire un giocattolo per prendere una piccolissima macchinina riposta al suo interno. Per riuscire nell’intento, il bambino mostra una certa creatività in quanto si avvale dell’utilizzo di numerosi oggetti. Purtroppo, però, non riesce immediatamente nel suo intento. La situazione che si viene a creare, scatena in Francesco un tale frustrazione da portarlo a sbattere il giocattolo a terra. Tranquillizzato, incoraggiato e rassicurato dal terapeuta, il bambino riprende a manipolare il gioco e nel momento in cui i suoi tentativi, ormai non più vani, hanno successo, si evidenzia in lui una tale gioia che Francesco manifesta con sorrisi ed allegria.
35° seduta: Francesco ormai si dedica alle attività con una modalità ludica non più caratterizzata da frenesia e instabilità, ma da una discreta capacità di concentrazione nei confronti di ciò che gli interessa in quel determinato frangente. I progressi effettuati dal bambino nell’area delle attività e dei giochi sono notevoli. Innanzitutto è cambiata la qualità dei giochi svolti. Mentre nelle prime sedute Francesco si dedicava a manipolare gli oggetti senza mai giocarci veramente, adesso il bambino adopera gli oggetti al fine di inventare dei giochi con essi. Utilizza i detersivi per miscelarli con l’acqua e, avvalendosi di una spugna, la strofina soddisfatto e divertito sulle mattonelle, come se stesse mimando le azioni di una persona che pulisce. Scorgendo una tavoloccia di legno, manipola degli utensili e, immaginando di essere un falegname, Francesco mima le azioni di quest’ultimo facendo finta di inserire all’interno di essa dei chiodi. Con la rilegatrice, il bambino cerca di fare dei buchi nei fogli su ciascun lato in grosse quantità. Infine, disegna sui fogli bianchi spontaneamente, ad esempio ultimamente ha realizzato un volto sorridente, dotato di tutti gli elementi che lo costituiscono (naso, bocca ed occhi). Da ciò si evince che i giochi e le attività intraprese dal bambino sono più sane, costruttive, strutturate ma soprattutto ancorate alla realtà e al contesto, tanto che possono essere definite come vicine alle modalità ludiche di un bambino privo di qualche disagio psicologico. Infine, oltre alla qualità, è cambiata anche la quantità dei giochi intrapresi. Francesco, infatti, non rovista più in maniera convulsa e molto agitata tra i vari scaffali alla ricerca di un qualcosa che possa attrarre la sua attenzione, ma organizza i suoi giochi sin dal primo momento, decidendo di dedicarsi ordinatamente e per un lasso maggiore di tempo, ad un’attività per volta.
AREA AFFETTIVO-RELAZIONALE
1° seduta: Francesco è chiuso nel suo mondo. Per tutto il tempo intercorso dall’inizio della seduta alla sua conclusione non vengono rilevati atteggiamenti affettivo-relazionali da parte del bambino. Persino il contatto oculare con gli adulti presenti alla psicoterapia è del tutto assente.
5° seduta: inizia a costruirsi l’alleanza terapeutica tra Francesco e il terapeuta. Il bambino, infatti, anche se per poco, inizia ad accettare e a prendere in considerazione la presenza del terapeuta e con esso si intrattiene anche se brevemente ed in modo disordinato ad attaccare delle figurine in un album.
10° seduta: si riscontrano importanti progressi. È possibile notare una maggiore apertura da parte del bambino che adesso cerca la complicità e la collaborazione di chi gli sta intorno a cui rivolge, inoltre, dei sorrisi spontanei e non stereotipati.
15° seduta: Francesco è sempre più in relazione con il terapeuta; interagisce con lui ricercandone spesso il contatto fisico.
20° seduta: il bambino, oltre ad aprirsi progressivamente e positivamente al mondo che lo circonda, interagisce sempre più e con meno difese, con il terapeuta. Quando, durante l’attività di preparare il caffè, decide di suddividerlo anche alle tirocinanti presenti, dimostra di essersi in qualche modo affezionato anche a loro, e per questo decide di fare un gesto carino e affettuoso nei loro confronti.
25° seduta: Francesco durante lo svolgimento delle attività da lui scelte, appare sempre più in sintonia con il terapeuta. Nel momento in cui, con le apposite batterie, riesce a fare funzionare il trenino con cui voleva giocare, Francesco esulta di gioia, e in quel frangente, abbraccia affettuosamente il terapeuta, comunicandogli in maniera indiretta di essersi ormai affezionato a lui.
30° seduta: il bambino ormai non mostra più particolari resistenze ad entrare in relazione con il terapeuta, ma anzi è lui stesso a ricercarne il contatto fisico ed emotivo. Lo si riscontra quando Francesco coinvolge il terapeuta nei suoi giochi, come il solleticarsi a vicenda.
35° seduta: Francesco coinvolge il terapeuta nei suoi giochi. Lo testimonia l’episodio in cui il bambino, durante il suo gioco, nota l’assenza del terapeuta cerca di richiamarne l’attenzione chiamandolo “ehi dott. dott?”.
AGGRESSIVITA’
1°seduta: il bambino non mostra segni di aggressività, probabilmente perché è ancora estremamente chiuso in se stesso, quindi la sua aggressività non viene manifestata all’esterno con comportamenti direttamente osservabili, ma è incanalata al suo interno.
5°seduta: anche in questa seduta non è possibile osservare manifestazioni di aggressività, in quanto non vi sono evidenziati particolari progressi in merito alle sedute precedenti da poter giustificare un tentativo di apertura nei confronti dell’ambiente circostante, fermo restando che a differenza della prima seduta Francesco inizia a relazionarsi col terapeuta coinvolgendolo parzialmente nelle sue attività.
10° seduta: Francesco, durante la seduta di psicoterapia, si rivolge alla tirocinante simulando un ”attacco” con un tagliacarte, pur non ferendola. Questo gesto può essere interpretato come un principio di apertura di quella parte dell’Io nella quale è celata la sua aggressività, segno che in seguito all’instaurarsi e all’intensificarsi dell’alleanza terapeutica, la tensione interiore e la rabbia si stanno lentamente riversando verso l’esterno.
15° seduta: il bambino non mostra segni di aggressività fisica, ma è evidente che la sua tensione e frustrazione interiori sono presenti e vengono manifestati con chiari segni di rifiuto. Lo possiamo riscontare in un episodio accaduto al termine della seduta di psicoterapia, in cui Francesco prende dei fiori presenti nel balcone, invece di donarli alla madre, come suggerito dal terapeuta, preferisce offrirli alla tirocinante. Subito dopo, provando un forte senso di colpa dovuto all’accentuarsi della tensione emotiva per il gesto appena compiuto, Francesco riprende i fiori appena donati alla tirocinante e li lancia dal balcone. Questo gesto indica, innanzitutto, un segno di apertura di quella parte dell’Io più aggressiva ma soprattutto il tentativo del bambino di gestire un insieme di sentimenti negativi manifestandoli all’esterno, anziché covarli all’interno. Francesco dimostra cosi di preferire, in quel frangente, una modalità più cauta ed adeguata di scaricare i propri sensi di colpa e la propria frustrazione.
20° seduta: in questa seduta è possibile osservare per la prima volta un’esplosione di sentimenti e atteggiamenti aggressivi che Francesco fino ad ora ha cercato di controllare, concedendoli nelle precedenti sedute di psicoterapia a piccole dosi, fino a quando, grazie all’instaurarsi di una solida alleanza terapeutica e a un clima di fiducia, il bambino si è sentito libero di esprimere totalmente la propria aggressività. In particolare, Francesco durante la seduta trova una casetta di legno, ne rompe un pezzo, e osserva il terapeuta con l’intenzione di ricevere un feedback sulla correttezza del suo gesto. Il professionista non accenna a nessun segno di rimprovero, anzi asseconda le intenzioni del bambino, che sentendosi libero di esprimersi inizia a distruggere la costruzione. Dopo aver dato libero sfogo ai suoi sentimenti distruttivi, Francesco viene invaso dal senso di colpa, probabilmente per aver distrutto qualcosa che non gli appartiene. Cosi, per rimediare a quanto accaduto, nota un aspirapolvere e cerca più volte di metterla in funzione per pulire e quindi riparare il danno commesso. Questo atteggiamento rappresenta la chiara manifestazione del meccanismo di difesa detto “annullamento retroattivo” che consiste nel cercare di annullare un’azione precedentemente compiuta (dalla quale sono scaturiti sentimenti negativi e di colpa), attraverso l’esecuzione di un’altra dalla connotazione positiva.
25° seduta: il bambino anche in questa seduta manifesta la sua aggressività, sebbene non ha una connotazione distruttiva come in quelle precedenti. In particolare, viene manifestata attraverso l’azione di buttare sul pavimento degli oggetti che erano ordinatamente disposti su una mensola. È come se Francesco volesse rompere un ordine apparente per creare una situazione di caos al fine di liberarsi dalla tensione che lo invade. Inoltre, sempre durante la corrente seduta di psicoterapia, accade un particolare episodio: Francesco rompe la vela della barchetta che rappresentava il suo oggetto transizionale. In questo gesto è possibile notare un modo con cui il bambino sfoga la su aggressività, ma al tempo stesso, mostra dispiacere per quanto compiuto.
30° seduta: durante questa seduta non si rilevano particolari episodi aggressivi rispetto a quelli già menzionati in precedenza. Il bambino appare più sereno del solito.
35° seduta: dalle ultime rilevazioni è possibile riscontrare in Francesco una maggiore tranquillità. Il bambino attraversa un periodo più sereno del solito nel quale appare molto meno aggressivo e maggiormente in grado di controllare il fervore interiore che, da come si intravede nelle sedute iniziali di psicoterapia, in passato non riusciva a padroneggiare. Tale atteggiamento è, comunque, possibile scorgerlo anche nei genitori del bambino e, in particolare, nella madre. E’ plausibile che, i miglioramenti e i progressi effettuati dalle sedute di psicoterapia a cui è sottoposto da tempo Francesco, abbiano migliorato lo stato d’animo di quest’ultimo e, di conseguenza, il rapporto tra il bambino e i genitori che, probabilmente, nel vedere il figlio più tranquillo, si sono rasserenati al punto da migliorare il loro modo di relazionarsi con esso. Ed è inoltre probabile che, questo miglioramento, abbia a sua volta rinforzato lo stato di serenità interiore di Francesco, che ha deciso di aprirsi nei confronti del mondo a lui circostante, mondo che, fino a quel momento, lo aveva cosi tanto angustiato tanto da portarlo a decidere di chiudersi in sé stesso.
ACCETTAZIONE DELLE FRUSTRAZIONI
1° seduta: durante questa seduta il bambino appare molto chiuso in se stesso, anche la sua aggressività non viene manifestata esteriormente e tutto ciò comporta un accumulo di tensione interiore che rende difficile la tolleranza delle frustrazioni provenienti dall’ambiente esterno. Questa difficoltà è particolarmente evidente nel corso dell’intera seduta dal fatto che Francesco non riesce a concentrare la propria attenzioni in una sequenza ordinata e logica di attività. Per tale motivo il bambino adotta un atteggiamento di irrequietezza reso evidente dalla frenesia dei movimenti e dalla vana ricerca di qualcosa che possa interessarlo.
5° seduta: il bambino adotta ancora una volta una condotta caratterizzata da irrequietezza e frenesia, ma riesce in maniera intermittente a seguire le indicazioni del terapeuta, dal momento che mostra piacere nell’ascoltare la voce del professionista in cui probabilmente vede una figura confortevole, rassicurante e dalla quale può avere fiducia. Sebbene non riesca ancora a tollerare in maniera funzionale le frustrazioni, mostra però un atteggiamento di complicità.
10° seduta: durante questa seduta Francesco per la prima volta manifesta un principio di apertura di quella parte dell’Io nella quale è celata la sua aggressività; la possibilità di scaricare anche una minima parte della sua aggressività crea nel bambino uno stato di minore tensione interiore che a sua volta mette Francesco nella condizione di poter tollerare con più facilità (rispetto alle sedute precedenti) le sue frustrazioni. Nell’insieme tutto ciò comporta l’occasione di gestire un conflitto di sentimenti negativi in maniera più funzionale che permette lo svolgimento del suo primo gioco costruttivo.
15° seduta: nella corrente seduta Francesco ritorna ad assumere dei comportamenti irrequieti e frenetici, questo è dovuto dalla lunga pausa estiva che ha indebolito l’alleanza terapeutica che precedentemente si era instaurata con il professionista. Infatti, il bambino in questa occasione non è riuscito ad attendere che il terapeuta terminasse il colloquio con i genitori ed ha più volte cercato di attirare l’attenzione del professionista, cotretto cosi ad interrompe prematuramente il colloquio in atto.
20° seduta: anche in questa seduta si manifestano i comportamenti di irrequietezza e frenesia di Francesco che non riesce a concentrarsi in un’unica attività costruttiva. Nonostante ciò si verificano delle occasioni in cui il bambino riesce a contenere la propria irrequietezza seguendo le indicazioni che gli vengono proposte. Cioè: accetta di non bere la bevanda che aveva preparato miscelando varie sostanze non alimentari, segue i consigli della tirocinante durante la preparazione del caffè ed infine accetta di concludere la seduta andando via col padre.
25° seduta: a differenza delle sedute precedente, il bambino mostra una maggiore capacità di tolleranza alle frustrazioni. Fin da subito segue le indicazioni del terapeuta, come ad esempio chiudere dei cassetti, svolgere qualche gioco. Inoltre, si viene a creare un lungo momento di interazione tra il terapeuta e il bambino, impegnati nella realizzazione di un puzzle. È bene sottolineare che paziente e terapeuta sono in piena sintonizzazione affettiva, manifestata dal fatto che Francesco osserva con attenzione le azioni del professionista, riuscendo cosi a gestire l’irrequietezza e la tensione che solitamente non gli permettevano di avere lunghi tempi di attenzione sostenuta. Un altro comportamento indice di una migliore accettazione delle frustrazioni è quello in cui Francesco mostra il suo dispiacere nell’avere accidentalmente rotto la vela di una barchetta, sentimento manifestato sia verbalmente che mimicamente. In questo caso, il bambino non trattiene in sé i sentimenti negativi e non reagisce attraverso aggressività, ma comunica le conseguenze della sua azione, accompagnandola dalle emozioni che essa inevitabilmente ha suscitato.
30° seduta: anche nella seduta corrente è possibile osservare una migliore accettazione della frustrazione, in quanto al distacco emotivo tra terapeuta e bambino, generato a causa delle vacanze estive, è nuovamente subentrata quell’alleanza terapeutica che si era precedentemente indebolita tra i due. In particolare, Francesco mostra fiducia e sicurezza verso la figura del terapeuta, poiché appena giunto al centro ricerca il giocattolo che nella seduta precedente aveva preferito lasciare qui, piuttosto che portarlo con sé, segno di un senso di sicurezza, di fiducia e soprattutto di capacità di posticipare le gratificazioni. Sebbene il bambino stia mostrando dei miglioramenti, ancora però si verificano delle occasioni in cui Francesco non riesce a contenere le sue frustrazioni, reagisce ad esse di impulso, ma subito dopo riprende il controllo della situazione. Come ad esempio: non riuscendo ad aprire un giocattolo inizialmente Francesco manifesta la sua rabbia sbattendo l’oggetto a terra e pronunciando la frase: “oh, no!” per poi successivamente riprovare a raggiungere il suo intento, stavolta con successo. E’ possibile pertanto notare come nella corrente seduta il bambino dopo un primo attimo di impulsività, riprende il controllo di sé ritornando all’obiettivo di partenza e perseverando in modo costruttivo nella sua riuscita.
35° seduta: in questa seduta non si sono verificate particolari situazioni che hanno messo alla prova la capacità di tolleranza delle frustrazioni del bambino. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che casualmente non si sono create occasioni di disagio o di particolare tensione, fermo restando che allo stesso tempo Francesco ha raggiunto uno stato interiore di sicurezza e tranquillità che lo porta ad interagire in maniera più funzionale ed adattiva rispetto al passato. Infatti, nella seduta suddetta il bambino si dedica a più attività con una modalità ludica non più caratterizzata da frenesia e instabilità, ma da una discreta capacità di concentrazione in riferimento a ciò che gli interessa in quel determinato frangente, mostrando attenzione alle indicazioni del terapeuta. In particolare fra le poche attività svolte da Francesco, è più opportuno soffermarsi su quella più significativa ed indice di miglioramento, ovvero l’utilizzo di una fotocopiatrice. Dall’osservazione dei suoi comportamenti è possibile, ma soprattutto fondamentale, sottolineare come la serenità interiore, ormai da quest’ultimo conquistata, sia in grado di rendere il bambino capace di focalizzarsi su un'unica attività per gran parte del tempo a sua disposizione, situazione non osservabile in passato, tempo in cui la profonda frustrazione e tensione interiore generavano nel bambino un fuoco interno che lo portava a svolgere, con agitazione, più attività per volta in modo caotico. Lo stato di serenità interiore, osservato da Francesco, è destinato però ad infrangersi nel momento in cui la fotocopiatrice si guasta. In questo momento, il bambino rattristato e frustrato, inizia ad agitarsi decidendo in seguito di cambiare attività. Da ciò si evince che Francesco nonostante la frustrazione iniziale è riuscito a trovare una soluzione idonea verso la quale indirizzare il suo comportamento, piuttosto di rimanere ancorato a sentimenti di inutilità legati al fatto di non poter più usufruire del macchinario precedentemente utilizzato. Anche questo può essere interpretato come un’ulteriore miglioramento degno di nota, in quanto il bambino mostra discrete capacità di problem solving e un pensiero flessibile che si adatta alle circostanze.
STEREOTIPIE FISICHE E VERBALI
1° seduta: durante tutta la seduta Francesco emette dei suoni con una leggera intonazione, ma nessun suono è riconducibile a frasi o parole di senso compiuto. Inoltre, è possibile osservare dei movimenti stereotipati e convulsi nella ricerca di giocattoli o oggetti che possano attrarre la sua attenzione.
5° seduta: in questa seduta ad eccezione di un breve momento in cui il bambino si dondola in maniera stereotipata sulla sedia, non vengono rilevate particolari stereotipie che rientrano nei parametri oggetto di esame.
10° seduta: sebbene nelle sedute precedenti non si sono rilevati una gran mole di atteggiamenti stereotipati, è possibile comunque osservare un cambiamento nella mimica facciale ovvero un sorriso spontaneo e non stereotipato durante l’interazione col terapeuta.
15° seduta: nella seduta corrente non si sono riscontrati particolari evoluzioni nei parametri presi in esame, fermo restando che Francesco assume ancora degli atteggiamenti compulsivi, frenetici e stereotipati durante l’esplorazione dell’ambiente circostante.
20° seduta: probabilmente a causa di una maggiore tensione interiore, il bambino nel corso della corrente seduta mette in atto maggiori comportamenti stereotipati rispetto a quelle precedenti che è possibile osservare con più precisione durante l’attività ludica. Nello specifico, Francesco riavvolge in maniera compulsiva e ossessiva lo scotch intorno ad una lente di ingrandimento perseverando nell’attività in questione sino al termine del nastro adesivo.
25° seduta: la seduta corrente rappresenta più delle altre quella in cui è possibile evidenziare i progressi raggiunti da Francesco durante il suo percorso psicoterapeutico, ormai intrapreso da otto mesi, dal momento che nel bambino non sono presenti peculiari stereotipie proprio in quell’area in cui si manifestavano con maggiore frequenza. Nello specifico, il bambino durante l’attività ludica avviata in questa seduta concentra la propria attenzione nel completamento di un puzzle, riuscendo a non farsi distrarre dagli stimoli irrilevanti e collocando con tranquillità e compostezza tutti i pezzi in maniera logica ed ordinata e non più stereotipata fino alla sua conclusione. Ciò indica un notevole progresso, in quanto il bambino non svolge più in maniera confusa e disordinata più giochi allo stesso tempo, ma si dedica ordinatamente e costruttivamente ad una attività per volta senza farsi travolgere da quella irrequietezza e ripetitività nei movimenti che dapprima caratterizzavano la sua condotta a tratti stereotipata.
30° seduta: durante questa seduta non si rilevano particolari episodi stereotipati rispetto a quelli già menzionati in precedenza. Il bambino appare più sereno del solito e ciò si riscontra anche nelle aree oggetto di esame, che nel complesso si sviluppano in parallelo.
35° seduta: da come è possibile notare nel corso della corrente psicoterapia, Francesco si dedica a più attività costruttive, anziché focalizzarsi esclusivamente su di una, come era solito fare fino a qualche seduta fa. Inoltre, i giochi intrapresi da quest’ultimo sono più sani, non stereotipati ma soprattutto vicini alle modalità ludiche di un bambino privo di un disagio psicologico. L’insieme di questi elementi rappresenta, quindi, un segno di apertura di Francesco nei confronti dell’ambiente esterno,infatti il bambino è meno rigido e ripetitivo mentre gioca e anche le sue espressioni facciali non mostrano rigidità.
Nota: la maggior parte delle sedute qui esaminate sono accompagnate da alcune stereotipie verbali che all’uditore esterno non rimandano ad alcun significato di senso compiuto, in quanto rappresentano semplici ripetizioni di monosillabi.
ATTENZIONE E CONCENTRAZIONE
1° seduta: durante questa seduta il bambino appare molto chiuso in se stesso. Le difficoltà di interazione con l’ambiente esterno sono particolarmente evidenti nel corso dell’intera seduta, dal fatto che Francesco non riesce a concentrare la propria attenzioni in una sequenza ordinata e logica di attività. Per tale motivo il bambino adotta un atteggiamento di irrequietezza reso evidente dalla frenesia dei movimenti nella ricerca di qualcosa che possa interessarlo.
5° seduta: il bambino adotta ancora una volta una condotta caratterizzata da irrequietezza e frenesia nella prima parte della seduta, ma riesce successivamente a prestare attenzione, seppure in maniera intermittente, alle indicazioni del terapeuta. Ad esempio, attacca delle figurine nell’album dei calciatori e più tardi esegue al computer un buon numero di schede del programma “Voglia di Crescere”, mostrando cosi una discreta soglia di attenzione.
10° seduta: in questa seduta non sono presenti particolari cambiamenti nell’area esaminata, il bambino mostra ancora una discreta soglia dell’attenzione sostenuta che non rientra però nei parametri standard.
15° seduta: sebbene i genitori riferiscono dei progressi nelle abitudini quotidiani di Francesco (ha imparato ad andare in bicicletta a due ruote, nuotare, prepararsi la merenda) che comportano una buona capacità di concentrazione e di attenzione, nella corrente seduta Francesco ritorna ad assumere dei comportamenti irrequieti e frenetici. Questo è dovuto dalla lunga pausa estiva che ha indebolito l’alleanza terapeutica che precedentemente si era instaurata con il professionista. Infatti, il bambino in questa occasione non è riuscito ad attendere che il terapeuta terminasse il colloquio con i genitori ed ha più volte cercato di attirare l’attenzione del professionista, costretto cosi ad interrompe prematuramente il colloquio in atto.
20° seduta: come si evince nelle sedute delle precedenti aree oggetto di esame, anche in questa area è possibile evidenziare i progressi ottenuti grazie al percorso psicoterapeutico intrapreso dal bambino. Poiché Francesco abbandona la sua condotta stereotipata, frenetica e compulsiva, dedicando a meno giochi per volta, concentrandosi cosi su poche attività costruttive e logiche per un lasso di tempo più prolungato rispetto al passato. Ad esempio, prepara e serve il caffè.
25° seduta: nella corrente seduta si viene a creare un lungo momento di interazione tra il terapeuta e il bambino, impegnati nella realizzazione di un puzzle. È bene sottolineare che paziente e terapeuta sono in piena sintonizzazione affettiva, manifestata dal fatto che Francesco osserva con attenzione le indicazioni del professionista e per la prima volta il bambino si dedica ad una sola attività durante la seduta per un periodo di tempo molto prolungato, mostrando quindi di aver raggiunto un livello soddisfacente in riferimento alle sue capacità attentive.
30° seduta: anche in questa seduta è possibile osservare che le capacità di attenzione e di concentrazione di Francesco hanno ormai raggiunto un livello quasi ottimale, dal momento che il bambino si dedica ancora una volta ad un’unica attività, ponendosi un obiettivo specifico (prendere una macchina all’interno di un gioco elettronico) che tenta di raggiungere nonostante alcuni fallimenti.
35° seduta: Francesco ormai si dedica alle attività con una modalità ludica non più caratterizzata da frenesia e instabilità, ma da una discreta capacità di concentrazione nei confronti di ciò che gli interessa in quel determinato frangente. Nello specifico, Francesco svolge diversi giochi, dapprima miscela vari prodotti liquidi, poi prepara il caffè, seguendo tutti i passaggi che occorrono alla sua preparazione, servendolo al terapeuta e alle tirocinanti con cura e gentilezza. Da ciò si evince che ora il bambino è in grado di attendere i tempi necessari affinché si raggiunga un obiettivo, anche se si tratta di una banale attività come quella della preparazione del caffè. Come si evince dalle attività sopra menzionate, Francesco non rovista più in maniera convulsa e molto agitata tra i vari scaffali alla ricerca di un qualcosa che possa attrarre la sua attenzione, ma organizza i suoi giochi sin dal primo momento, decidendo di dedicarsi ordinatamente e per un lasso maggiore di tempo, ad un’attività per volta.
CONCLUSIONI
Nel complesso è possibile osservare uno sviluppo parallelo nelle aree oggetto di esame ed un’evoluzione nelle capacità ed abilità che sono state acquisite da Francesco durante il percorso psicoterapeutico. Mettendo a confronto la prima seduta di ogni area con l’ultima è possibile riscontrare un cambiamento notevole nello sviluppo logico, cognitivo, affettivo, emotivo, relazionale e linguistico di Francesco, che ha apportato delle modifiche non solo nelle caratteristiche psicologiche del bambino ma anche nella qualità della sua vita. Questo ha determinato l’instaurarsi di un circolo virtuoso che parte dai cambiamenti frutto del percorso psicoterapeutico e che si riflette nel sistema familiare, scolastico e sociale del minore.
OSSERVAZIONI
Le osservazioni che possiamo fare su questo caso riguardano vari aspetti:
1. Intanto, per quanto riguarda le cause affettivo-relazionali che hanno potuto incidere negativamente e pesantemente sullo sviluppo del minore è sicuramente da escludere, almeno in questo bambino, che l’origine del disturbo sia dovuto a genitori sostanzialmente freddi e imperturbabili. Sia il padre, sia la madre di Francesco sono tutt’altro che freddi, imperturbabili o con scarse capacità comunicative. La madre, infatti, ha un carattere estremamente ansioso e focoso, mentre il padre presenta, all’opposto, una personalità molto tranquilla e controllata, ma anche attenta e affettuosa. In questo caso bisogna cercare altrove le cause dei problemi di Francesco. In particolare bisogna cercarle nei primi mesi di vita del bambino quando, probabilmente, hanno avuto importanza nel determinare il Disturbo Autistico i gravi problemi respiratori del piccolo, che hanno comportato la gravissima complicanza dell’arresto cardiaco e un ricovero durato quasi un mese. Non è difficile immaginare come abbia potuto reagire la madre, con le caratteristiche di personalità che abbiamo descritto, ad eventi così difficili e traumatizzanti. D’altra parte questa coppia fin dall’inizio del matrimonio aveva manifestato importanti conflitti coniugali che sono continuati nel tempo. Questi conflitti sicuramente avranno inciso negativamente sullo sviluppo del neonato. A ciò probabilmente bisogna aggiungere le possibili cause organiche dovute alla scarsità di ossigeno a livello cerebrale a motivo delle notevoli difficoltà respiratorie e al successivo, momentaneo, arresto cardiaco.
2. Il legame che si è stabilito tra il terapeuta ed il bambino, data la gravità della sintomatologia, si è strutturato e costruito gradualmente, diventando nel tempo sempre più forte e stabile.
3. Il miglioramento osservato è stato di tipo armonico. Si è potuto notare come il linguaggio, l’autonomia personale, la socializzazione, l’affettività e le altre aree esaminate siano tutte gradualmente migliorate, non solo nell’ambito del rapporto terapeutico, ma anche negli altri ambienti di vita del bambino: casa, scuola, ambiente sociale.
4. Il suo miglioramento ha instaurato un circolo virtuoso nel rapporto madre-figlio. Inizialmente questo rapporto era molto conflittuale, per cui da una parte la donna vedeva Francesco come motivo di grosse preoccupazioni e come fonte continua di comportamenti disastrosi che necessitavano di un costante e attento controllo e repressione. A sua volta il figlio, sembrava basasse il suo rapporto con la madre nella difesa e nella fuga dalla realtà, senza cercare un minimo di contatto con lei. Quando mediante la psicoterapia questo rapporto si è fatto più sereno, affettuoso, solido e ricco, la donna, che prima era solita raccontare tutte le malefatte di Francesco, negli ultimi mesi, anche solo per telefono, ama riferire, invece, tutte le sue conquiste: di come il figlio sia diventato buono e accondiscendente; di quanto sia maturato nel campo dell’autonomia personale; del fatto che riesca a rimanere seduto negli incontri settimanali organizzati per prepararsi alla prima comunione e di come poi, durante la cerimonia in chiesa, sia rimasto ‹‹a manine giunte come un angioletto››. Inoltre, la madre, con grande gioia ama riferire: ‹‹Adesso mi aiuta a casa e lo posso mandare alle feste dei suoi compagnetti dove partecipa tranquillamente ai giochi come tutti gli altri bambini, cosa che prima non era assolutamente possibile››. ‹‹Adesso, anche se a modo suo, dice tante paroline››.
5. Nel tempo è aumentata nel bambino anche la capacità di resistere alle frustrazioni e quindi è aumentata la capacità di accettare i tanti no che i genitori, ma anche gli altri, gli procurano ogni giorno. Da ciò abbiamo compreso quanto sia importante, nel processo di socializzazione, la capacità di poter accettare e gestire le frustrazioni. Poiché questa capacità è molto bassa nel bambino affetto da Disturbo Autistico, le sue possibilità nell’ambito della socializzazione sono gravemente limitate e compromesse.
6. Pensiamo, inoltre, che sebbene il miglioramento di Francesco sia riferibile a tutto il progetto terapeutico, la psicoterapia individuale sia stato l’elemento risolutivo. Anche perché per ben due anni, prima di iniziare la psicoterapia, avevamo tentato di migliorare le condizioni del bambino ma con scarsi e parziali risultati. Ci sembra pertanto di poter affermare che il terapeuta per questi bambini ha lo stesso spessore di una “madre buona” per un bambino neonato. Accanto ad una “madre buona” il bambino non solo ha la possibilità di sviluppare tutte le sue potenzialità, ma ha la possibilità di vedere anche il mondo attorno a lui con le stesse caratteristiche positive offerte dalla persona che ha cura di lui e con lui si relaziona in modo adeguato ai suoi bisogni.
7. Come si può notare leggendo i giochi effettuati da Francesco, questi sono stati molto diversi. Cercare di stabilire, pertanto, a priori, quale gioco far effettuare a questi bambini, con quale materiale e per quanto tempo, avrebbe comportato, sicuramente, dei grossolani errori. Lasciare che sia il bambino a cercare e creare il suo gioco, non solo è la soluzione più semplice, ma è anche la più saggia, in vista dei risultati da ottenere. D’altra parte, questo atteggiamento è lo stesso usato in ogni psicoterapia non direttiva, nella quale è il soggetto che sceglie quale argomento comunicare e per quanto tempo e non il terapeuta! Non ci appare, inoltre, aderente alla realtà quanto descritto da alcuni autori che in questi bambini mancherebbero i giochi simbolici. Se il terapeuta riesce a farsi accettare pienamente, così che il bambino con Disturbo Autistico possa comunicare liberamente i propri pensieri, ci si accorgerà ben presto che il loro gioco è, invece, ricco di elementi simbolici.
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Matteo è un bambino di quattro anni e mezzo, che presenta un disturbo autistico.
Il motivo che spinge i genitori a chiedere una consulenza presso il Centro Studi Logos di Messina riguarda i problemi di interazione sociale e di linguaggio. Già a due anni i genitori notano che il bambino non si volta e non risponde alle loro richieste, il vocabolario è piuttosto scarso, non riesce ad articolare frasi più lunghe di due parole, ed esprime le proprie necessità in terza persona. Inoltre, non racconta gli episodi della vita scolastica, mostra notevoli paure: spesso di fronte a programmi televisivi, o a determinati suoni, scappa via e si tappa le orecchie con le dita. Non riesce ad accettare i rimproveri e le negazioni, alle quali reagisce con crisi nervose.
Ho seguito Matteo per circa sei mesi, durante i quali ho avuto modo di conoscerlo a fondo ed assistere alla sua crescita. Il principio di fondo da cui nasce l’intervento terapeutico mediante la tecnica del gioco libero autogestito, tecnica proposta dal dott. Emidio Tribulato direttore del Centro Studi Logos di Messina, ha come finalità quella di diminuire la grave tensione interiore del bambino così da liberarlo, tra l’altro, dalle paure che lo portano ad una, anche se parziale, chiusura.
Affinché ciò possa avvenire è importante che il bambino possa sentirsi accettato incondizionatamente e, per quanto possibile, è necessario seguirlo nelle sue attività cercando di acconsentire alle sue richieste anche se possono sembrare ripetitive, inutili e fuor di luogo. Ciò permette al bambino di sentirsi pienamente capito, di essere più sereno e maturo e quindi, in un momento successivo, avere la possibilità di sopportare meglio anche le piccole frustrazioni e i possibili “no”.
Lo scopo principale è stato pertanto quello di liberare Matteo dalle costrizioni che spesso, anche se inconsapevolmente, le situazioni di vita quotidiana impongono. Purtroppo infatti, si tende con frequenza a pensare e a far fare albambino ciò che si pensa sia giusto, omologandosi più a ciò che la società o gli adulti richiedono, piuttosto che alle reali necessità del bambino in quel particolare momento, specie quando il piccolo è affetto da questa particolare e grave problematica. Per questo motivo, l’intervento è stato volto più ad una “non azione” che ad un’azione, ovvero si è cercato di far sì che fosse il bambino a decidere il giusto per lui, piuttosto che imporgli un programma prestabilito, il quale non avrebbe fatto altro che aumentare il senso di oppressione che questi bambini avvertono da parte del mondo esterno. Il senso di liberazione che scaturisce da questo approccio fa sì che il piccolo possa lentamente aprirsi al mondo, con minori paure e una maggiore fiducia nei confronti dell’altro.
Incontro per la prima volta Matteo a luglio, al termine dell’anno di scuola materna che viene descritto dai genitori come un periodo non facile: spesso il bambino si isolava dal resto dei compagni a causa della troppa confusione e, durante la notte frequentemente aveva degli incubi, generalmente associati ai piccoli traumi avvertiti durante ilgiorno.
Il bambino accetta abbastanza facilmente la mia presenza, nonostante sia comunque difficile tutte le mattine per lui separarsi dai genitori. Questa difficoltà è rimasta presente lungo tutto il periodo. Dopo un paio di minuti la tristezza per il distacco passa, così Matteo inizia ad interagire con me, coinvolgendomi nei suoi giochi.
Ama molto fare dei puzzle, giocare con le costruzioni e con le letterine; altre volte preferisce osservare me giocare.
Il primo approccio è nato attraverso i libri. Matteo sfogliava le pagine chiedendomi cosa rappresentassero le immagini, ripetendo frequentemente “che cos’è?”, nonostante conoscesse perfettamente la risposta, come per verificare la mia “preparazione”. Inoltre a volte definiva erroneamente e consapevolmente una figura, divertito dalle mie correzioni.
Nonostante mi accetti senza problemi, spesso sente il bisogno di isolarsi, compiendo delle stereotipie, come portare gli oggetti ripetutamente ai lati degli occhi, oppure allineandoli meticolosamente, agitandosi nel caso non riuscisse perfettamente nel suo intento.
Chiaramente il primo periodo è stato caratterizzato prevalentemente da giochi ripetitivi e stereotipati. La giornata da lui completamente e liberamente gestita prevedeva, infatti, una specifica sequenza di azioni, ovvero: sfogliare i libri, completare dei puzzle e giocare con le costruzioni. Questo permetteva a Matteo di mantenere una sorta di tranquillità così da placare le ansie relative a eventuali circostanze sconosciute dovute anche al fatto di trovarsi per gran parte della sua giornata con una persona ancora estranea.
Quest’aspetto ha generato non poche difficoltà nella gestione delle situazioni più complesse nelle quali il bambino effettuava delle richieste alle quali non era possibile acconsentire. Molto spesso queste erano più orientate a conoscermi meglio e mettermi alla prova, più che a una reale necessità.
Pian piano, sia io che lui, abbiamo imparato a conoscerci, ciò ha fatto sì che fosse più semplice comprenderlo nei momenti di disagio e sapere come comportarsi in casi del genere.
La maggiore conoscenza, ci ha permesso di ampliare le attività svolte durante il giorno. Così, se prima una semplice uscita si trasformava in una situazione difficilmente gestibile, lentamente è diventato sempre più semplice e divertente stare insieme. Inizialmente infatti, Matteo, non avendo ancora instaurato una profonda ed efficace relazione affettiva con me non ascoltava le mie avvertenze e tendeva a giocare senza includermi nelle sue attività. Col tempo invece, ha iniziato ad includermi nei suoi giochi, e a vedermi come una persona per lui importante, a cui rivolgersi in caso di necessità e difficoltà. Sono aumentati così anche i contesti di interazione: prima limitati all’ambito casalingo, poi estesi al cortile di casa, per arrivare infine ad andare in giro per le strade o nelle villette a giocare con altri bimbi e a cercarli con ardore se questi non ci fossero stati.
Dal punto di vista linguistico, Matteo inizialmente mostrava un lieve ritardo, non riuscendo ad articolare frasi più lunghe di due-tre parole e formulando spesso le sue richieste in terza persona, dicendo, ad esempio, “la vuoi la brioscina?”. Col tempo ha imparato a modificare le sue richieste utilizzando la prima persona, nonostante probabilmente non significhi che abbia internalizzato questo modo di esprimersi, bensì sia diventato un comportamento automatizzato, in reazione alle correzioni. Un’altra problematica riscontrata a livello comunicativo riguarda le sue difficoltà a riferire gli eventi di vita quotidiana: quest’aspetto era inizialmente assente, progressivamente ha imparato a riferire in modo frammentato e telegrafico alcune azioni svolte durante il giorno, connotate anche da aspetti concernenti le emozioni provate. Nel tempo il suo linguaggio tende comunque a evolvere, infatti Matteo utilizza spesso frasi ascoltate da altri o sentite alla tv, adattandole perfettamente ai contesti corretti e sembrando alle volte addirittura comico. Riesce inoltre a esprimere senza difficoltà le sue richieste, anche con soggetti estranei. È infatti un bimbo molto caparbio, che cerca di ottenere i suoi obiettivi ad ogni costo, coinvolgendo quindi più persone finché non riesce nel suo intento.
Manifesta il suo desiderio di interazione chiamandomi spesso per giocare, e chiedendo frequentemente la compagnia di altri bambini. Quando si trova in contatto con i coetanei, mostra inizialmente segni di imbarazzo, e successivamente cerca di interagire, coinvolgendo gli altri nei suoi giochi. Le difficoltà nascono quando il contesto è troppo caotico, così Matteo non riesce a reggere la troppa confusione e i troppi rumori e si isola.
Dal punto di vista affettivo, è un bambino molto affettuoso, cerca frequentemente il contatto fisico e questo, nei momenti di tensione, lo aiuta a rilassarsi. Anche il contatto oculare è, ora, molto presente, per condividere emozioni e particolari situazioni. Spesso infatti, dopo aver compiuto determinate azioni, ricerca lo sguardo altrui, accompagnato da frasi come “ho fatto un pasticcio” oppure “ce l’abbiamo fatta!”.
Pur non essendo Matteo un bambino aggressivo, di fronte a delle negazioni inizialmente reagiva opponendosi fortemente. Col tempo è riuscito ad accettare più facilmente di svolgere un’altra attività in cambio di quella fortemente desiderata. Ciò è dovuto alla progressiva crescita del nostro rapporto relazionale ed affettivo che ha creato una maggiore conoscenza e intimità facendo sì che entrambi potessimo comprenderci meglio. Così se prima la frustrazione e la reazione consequenziale per degli inevitabili anche se molto rari “no” erano molto forti, progressivamente entrambe sono diventate molto più moderate, e spesso, con un semplice sguardo, riuscivamo a comprenderci.
Un evento molto importante, che ha segnato il raggiungimento di un ottimo rapporto riguarda un’affermazione fatta da Matteo di fronte a me e la madre: guardandoci e indicandoci entrambe, ha chiesto “cosa sono?”, come a indicare una similitudine tra la figura materna e la mia.
Un rilevante cambiamento avvenuto durante il percorso riguarda la maggiore tranquillità del bambino, il quale attualmente trascorre delle notti serene, libero dagli incubi, molto frequenti in passato. Sono diminuite anche particolari paure, come quella del buio e dell’ascensore. Da questo punto di vista riesce spesso a farsi forza da solo e affrontare i suoi timori ripetendosi “non ti spaventare”.
Molto difficile è stato il momento del distacco avvenuto dopo sei mesi. Il bambino, infatti, ha dovuto accettare la mia progressiva e graduale assenza, adeguandosi successivamente ad una nuova figura. Nonostante la fase di transizione sia stata caratterizzata da piccole regressioni, come la ripresentazione degli incubi notturni e una maggiore chiusura, adesso sembra aver riacquistato la tranquillità acquisita in precedenza.
La mia presenza rimane comunque viva, anche se sporadica. Cerco di non trasmettere un sentimento di abbandono assoluto. Continuo infatti a trascorrere dei momenti con lui, provando a mantenere forte come prima la relazione creatasi. Il mio distacco, inizialmente, ha fatto sì che Matteo incontrandomi si mostrasse offeso e manifestasse un certo distacco, poi con il tempo ha compreso come il mio non fosse un vero abbandono, così adesso si dimostra subito affettuoso e affiatato come prima.
Quest’esperienza ha rappresentato un importante momento di crescita, non soltanto per Matteo, ma anche per il mio percorso formativo. È servita, infatti, a comprendere meglio e vivere a fondo il mondo affettivo e relazione di questi bambini, che molto spesso sono assaliti da un eccessiva quantità di stimoli, i quali non fanno altro che aumentare la loro chiusura e le loro paure nei confronti del mondo esterno. Ho avuto modo, pertanto, di assistere personalmente agli effetti positivi che un atteggiamento estremamente liberale sortisce in questi bambini, i quali, avendo la possibilità di seguire i propri desideri senza costrizioni, acquisiscono maggiore fiducia nei confronti dell’altro, in se stessi e nel mondo.
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Relazione presentata il 02/04/2012 dal dott. Emidio Tribulato presso il Centro sociale "Papa Giovanni Paolo II" in occasione della giornata mondiale dell'autismo.
La gestione di un bambino affetto da disturbo dello spettro autistico in ambito scolastico, se paragonata alla gestione degli altri handicap, è forse la più complessa e difficile.
Da una parte possiamo avere un bambino che vive in maniera lacerante un’intensa sofferenza interiore fatta di paure, ansie, insicurezze, tensione, irrequietezza, confusione.
Un bambino che spesso nei casi più gravi non parla o peggio grida e ride scompostamente.
Un bambino che non comunica o comunica male e non si integra con gli altri coetanei nei giochi e nelle attività che vengono di volta in volta proposti nella classe e a scuola.
Un bambino che spesso attua dei comportamenti disturbanti, se non chiaramente sconcertanti in quanto si innervosisce per un nonnulla, per ore gioca allo stesso gioco e con gli stessi oggetti, saltella da una parte all’altra della classe, si fa del male o aggredisce gli altri bambini, ride senza costrutto.
Un bambino estremamente sensibile a ogni stimolo eccessivo, che si spaventa facilmente quando nel suo ambiente sono presenti rumori, confusione e grida. Un bambino che ha una enorme sfiducia negli altri. Sfiducia che lo porta ad avere notevoli difficoltà nella comunicazione e nell’interazione sia con gli adulti sia, soprattutto, con i coetanei dai quali, tra l’altro, si sente poco accettato a causa del suo comportamento “strano” ed imprevedibile.
Un bambino emotivamente molto fragile anche di fronte alle minime frustrazioni per cui non accetta di sbagliare, non sopporta di essere rimproverato o ripreso, mentre i cambiamenti facilmente scatenano o accentuano le sue paure ed ansie.
Dall’altra abbiamo un’istituzione, la scuola che ha determinate regole indispensabili per il suo buon funzionamento. Vi è un’istituzione che ha dei bisogni imprescindibili di ordine e disciplina, che si pone dei precisi obbiettivi, che usa strumenti pedagogici tarati soprattutto per una fascia di bambini “normali”.
Una scuola che ha delle richieste esplicite nei suoi confronti:
amerebbe che egli restasse nella sua classe con gli altri bambini allo scopo di facilitare la socializzazione, ma l’ambiente classe con troppi bambini, con troppi rumori con eccessive sollecitazioni, accentua la sua tensione interiore;
desidererebbe che lui avesse fiducia negli insegnanti, ma sappiamo che questi bambini hanno scarsa fiducia in ogni essere umano e, soprattutto, hanno timore delle persona non familiari;
vorrebbe che lui apprendesse, mentre spesso questi bambini hanno gravi difficoltà ad apprendere;
aspirerebbe a che lui dialogasse e socializzasse con i coetanei, mentre sappiamo che per le sue note difficoltà relazionali gli altri bambini gli creano ansia e tensione;
vorrebbe che egli potesse accettare le norme e regole della classe e della scuola, ma ogni norma e regola viene vissuta da questi bambini come un’imposizione e una violenza.
Pertanto se la scuola vuole essere di vero aiuto ai bambini affetti da disturbi della sfera autistica deve necessariamente proporsi obbiettivi diversi da quelli soliti, deve necessariamente attuare delle modalità di gestione alternative a quelle che solitamente attua.
Gli obiettivi.
Per quanto riguarda gli obiettivi al primo posto la scuola deve porre il miglioramento della serenità interiore.
Il secondo obiettivo deve riguardare la ricerca di una maggiore fiducia di questo bambino negli altri e nel mondo.
L’obiettivo didattico non può che venire in un secondo momento, quando questo particolare allievo ha superato le sue ansie, le sue paure, le sue notevoli difficoltà psicoaffettive e relazionali.
Una maggiore serenità interiore.
Per ottenere una maggiore serenità interiore abbiamo la necessità di creare attorno al bambino affetto da autismo un ambiente particolarmente ovattato, silenzioso, tranquillo, sereno. In quanto per questi bambini molto sensibili può risultare patogeno anche un normale ambiente di classe.
Poiché l’ambiente della classe è, per questi bambini troppo rumoroso e presenta troppi stimoli a causa del numero degli allievi, l’ideale, almeno inizialmente, sarebbe inserire il bambino con tali problematiche in un locale ampio, ben illuminato, ma silenzioso e tranquillo, con un unico operatore adulto particolarmente disponibile e capace di ascolto. Solo successivamente, quando avremo chiaramente notato che la sua maturazione affettiva e la sua serenità interiore sono molto migliorate, potremo inserire accanto a lui, ma con molta gradualità, prima altri adulti e poi altri bambini con i quali poter stabilire una buona intesa reciproca.
In questo locale ovattato metteremo molti giocattoli con caratteristiche e finalità diverse in modo tale che il bambino utilizzi quei materiali e quei giochi che ritiene, in quel momento, più adatti alle sue esigenze.
Il gioco.
Ricordiamo che il gioco rappresenta la strada maestra per la crescita di ogni essere umano, in quanto il gioco è per ogni bambino:
piacere e godimento di esperienze fisiche e affettive
strumento di esplorazione e conoscenza: del proprio corpo e del corpo degli altri, degli oggetti inanimati, del mondo che lo circonda e della natura
esplorazione e conoscenza delle emozioni e dei sentimenti;
stimolo allo sviluppo motorio e intellettivo. Mediante il gioco il bambino stimola e sviluppa il suo pensiero, la progettualità, l’agilità, la forza, la memoria, la coordinazione occhio-mano, la spazialità;
veicolo privilegiato di comunicazione e socializzazione. Con il gioco il bambino allarga il contesto delle sue relazioni; apprende a comunicare più efficacemente con gli altri. Comprendendo il punto di vista di chi ha di fronte, diventa consapevole dei suoi sentimenti e dei suoi bisogni. Impara l’importanza delle regole e la loro accettazione;
mezzo per lo sviluppo della creatività e della fantasia;
mezzo per contattare e controllare le proprie emozioni. Giocando il bambino riconosce la gioia della vittoria, il sapore bruciante della sconfitta, il calore dell’amicizia, dell’affetto e dell’amore. Impara ad affrontare i piccoli contrasti e le tensioni che si avvertono nel rapporto con se stessi e con il prossimo. Allorché assume la veste di gioco simbolico, drammatico, di ruolo e di finzione assolve, attraverso rituali iterativi e meccanismi di identificazione e di proiezione, ad una preziosa funzione liberatoria e terapeutica, esorcizzando paure e angosce e liquidando impulsi aggressivi, distruttivi e vissuti di ostilità;
palestra per l’autonomia personale e sociale;
occasione per rafforzare la volontà. Molti giochi di pazienza, di costruzione, competitivi e di squadra, plasmano il carattere e servono ad instaurare un progressivo controllo sulle proprie emozioni e pulsioni;
opportunità per recuperare un contatto con la natura. Il rapporto diretto con questa è fondamentale nello sviluppo dei minori, come degli adulti. Per milioni di anni l’essere umano si è sviluppato attraverso il contatto con la terra, con i fiori e i frutti delle piante, con la vivacità e l’amore degli animali, con le acque dei fiumi e dei ruscelli.
Metteremo, allora, nella stanza del bambino affetto da disturbo autistico giocattoli e materiali, così che possa eventualmente effettuare svariati tipi di giochi: sensomotori, di costruzione, imitativi, di abilità, rappresentativi, compensativi, immaginativi, di acquisizione e così via.
Non trascureremo, quindi, oggetti e materiali naturali come il legno, la sabbia, la creta, l’acqua. Materiali questi dei quali questi bambini sono particolarmente attratti. Non mancherà, naturalmente, del materiale didattico specifico adeguato al livello di conoscenze del bambino.
Maggiore fiducia negli altri e nel mondo.
Dopo aver creato attorno al bambino un ambiente particolarmente sereno e tranquillo abbiamo il compito di realizzare con lui un rapporto particolare fatto di fiducia, stima e affetto reciproco.
Per fare ciò abbiamo bisogno di rispettare al massimo ogni sua esigenza e bisogno. Nello stesso tempo abbiamo il dovere di tenere in debito conto il suo mondo interiore nel quale, come abbiamo detto, si intrecciano in maniera convulsa irritabilità, sentimenti aggressivi, paure, ansie, inquietudini. Sentimenti ed emozioni questi che lo confondono e lo spaventano.
Potremo fare ciò solo se lasceremo che sia lui, di volta in volta, a scegliere, inventare e portare avanti il gioco o l’attività preferita.
La terapia del gioco libero autogestito.
La migliore modalità di gioco che abbiamo sperimentato con i bambini seguiti dal Centro studi Logos di Messina è quella del gioco libero autogestito.
1. Giochi guidati. In questo caso i genitori, gli insegnanti o altri adulti, in base agli obiettivi che si propongono, utilizzando strumenti e metodologie particolari guidano il gioco dei bambini così da ottenere determinati risultati.
2. Giochi liberi. In questo caso i bambini sono totalmente indipendenti dalle indicazioni degli adulti e seguono soltanto delle norme e delle regole che essi stessi si danno giorno per giorno, momento per momento.
Inoltre i giochi possono essere gestiti alternativamente da entrambi i partecipanti o da uno solo di essi (gioco autogestito). In questi casi è bene che sia solo il bambino a noi affidato a condurre il gioco e, se durante l’attività egli ci coinvolgerà o accetterà il nostro supporto, il nostro compito sarà soltanto quello di aiutarlo a realizzare il suo gioco e non il nostro. In conclusione sarà lui il leader e noi i gregari.
I motivi di questo inusuale approccio che però, per la nostra esperienza, riesce a conseguire importanti e stabili risultati positivi, sono essenzialmente due:
1) innanzitutto se siamo noi a scegliere, data la estrema sensibilità di questi bambini, è molto facile sbagliare e sbagliando non solo non miglioreremo la sua condizione ma rischieremo di accentuarla. Se, invece, lasceremo la scelta a loro la possibilità di errore si annulla;
2) questi bambini, come abbiamo già detto, sono estremamente sensibili alle frustrazioni e spesso reagiscono negativamente a tutto ciò che proviene dal mondo esterno in quanto sono anche molto diffidenti e reattivi nei confronti degli altri esseri umani. Pertanto ogni nostra iniziativa, anche la più lodevole rischia di bloccarli e disturbarli, mettendoli in ansia o facendo aumentare di molto la loro ansia e le loro paure che già sono a livelli altissimi.
Per evitare di peggiorare il loro mondo interiore e il difficilissimo rapporto che essi hanno nei confronti degli altri esseri umani limitiamoci, quindi, soltanto a collaborare attivamente ai loro giochi, anche se possono sembrarci ripetitivi, inutili, sciocchi, o peggio crudeli e perversi.
Evitiamo di proporre i nostri giochi anche se questi, ai nostri occhi, potrebbero essere giudicati più intelligenti, più utili, più ricchi di valenze educative, più costruttivi, più interessanti e vari.
Il motivo è semplice: se lo stimoliamo eccessivamente o peggio lo costringiamo a partecipare alle attività da noi scelte, rischiamo di confermare ai loro occhi la difficoltà e l’incapacità che hanno gli adulti nel capirli, nell’accettarli e nel rispettare i loro bisogni e le loro difficoltà.
Per essere ancora più espliciti e chiari, se il gioco del bambino che stiamo seguendo in quel momento consiste nel lanciare in aria i giocattoli, per poi calpestarli quando sono a terra, aiutiamolo a sfogare così la sua rabbia e il suo bisogno aggressivo e distruttivo porgendogli i giocattoli da buttare in aria e calpestare e, perché no, facciamo anche noi il suo stesso gioco ridendo insieme a lui.
Se vediamo che egli colpisce con forza una bambola con le mani o con una racchetta da tennis, non solo dobbiamo riuscire a non scandalizzarci per l’apparente crudeltà, ma dobbiamo poter capire come aiutarlo ad esprimere al meglio la sua aggressività fornendogli se possibile altre bambole da colpire, così che possa finalmente esprimere e sfogare pienamente la sua collera repressa.
Se riesce a liberare la sua aggressività e distruttività colpendo uno scatolo con un tagliacarte, forniamogli molti “nemici scatoli” da infilzare.
Questi bambini, in definitiva, non sono bambini da educare ma da liberare.
Liberare dalle loro paure, dalle loro angosce, dall’aggressività repressa, dai sensi di colpa, dalla rabbia accumulata in anni di sofferenza.
La comunicazione.
Se riusciamo ad instaurare questo tipo di relazione ci accorgeremo molto presto del loro grande desiderio di comunicare.
Anche in questo caso però, abbiamo il dovere di accettare in modo pieno ed incondizionato il loro modo di comunicare senza mai imporre il nostro.
Ciò non è così semplice come sembra. Anzi è talmente difficile che spesso siamo disposti ad applicare tutti i tipi di terapie nei loro confronti: logoterapia, ippoterapia, psicomotricità, delfinoterapia, terapia occupazionale, terapia del comportamento, ecc.. ma non siamo disponibili ad attuare un dialogo che tenga conto dei loro desideri, dei loro bisogni e delle loro esigenze.
Questo tipo di dialogo è difficile in quanto in ogni adulto che si confronta con un bambino, specialmente se questo adulto ha il ruolo di insegnante, tende a prevalere in modo deciso l’atteggiamento educativo.
Quest’atteggiamento è tanto più eclatante nel rapporto con un bambino affetto da disturbo autistico.
Se le sue parole o i suoi gesti inconsulti, inusuali e stereotipati ci mettono in imbarazzo ed in difficoltà davanti agli altri, cosa fare se non pregarlo di non comportarsi in questo modo, oppure minacciarlo, punirlo o bloccarlo, affinché smetta, una buona volta, di dire cose inutili o desista nel compiere quei gesti sempre uguali che ci esasperano e umiliano come genitori e come operatori?
Se egli non ci guarda direttamente negli occhi.
Questo suo atteggiamento ci umilia, ci confonde, ce lo fa sentire lontano, per cui cercheremo di fare la cosa che ci sembra più giusta e corretta che può essere quella di stimolarlo in ogni modo a guardarci, interpellandolo o mettendoci davanti a lui.
Se non accetta il contatto con il nostro corpo e non si fa abbracciare
o, peggio, non vuole che sia toccata la sua mano, come dimostragli il nostro amore se non stringendolo di più a noi?
Se non parla,
cosa fare se non insegnargli a parlare?
Come accettare poi che egli si faccia volontariamente del male?
Che sbatta la testa nel muro? Che si dia pugni nel viso o nel corpo? Che si laceri la pelle con le unghie? Che si morda le dita? Che sbatta i giocattoli o le bambole al muro? In tutti questi casi è istintivo e ci sembra anche logico e consequenziale rimproverarlo o fargli capire in maniera a volte delicata, altre volte, quando siamo esasperati, in maniera brusca, che “questi gesti non si fanno, che non è bello, che non è giusto, che i bambini buoni ed educati non fanno queste cose”. Ci sembrerà, pertanto, spontaneo ma anche logico intervenire, anche fisicamente, per togliere le mani dal suo viso o dalle braccia per evitare che si graffi: Ci sembrerà logico e naturale allontanarlo dalla parete su cui sbatte il capo o strappargli dalle mani la povera bambola che sta picchiando e sbattendo al muro senza apparente motivo.
Se parla, ma ripete in modo sgrammaticato le frasi che ha sentito dalla mamma o da altri adulti come trattenersi dal correggerlo e dal cercare di fargli pronunziare le frasi in modo corretto?
E se ride quando non dovrebbe,
in modo incongruo, sgangherato e senza alcun costrutto, come non cercare di correggerlo perché manifesti la sua allegria nei modi e nei tempi opportuni?
Per non parlare delle attività didattiche.
Se ha tre - quattro anni il nostro dovere ed impegno didattico ci porterà a cercare di fargli effettuare tutte le attività che possono preparare le sue mani e la sua mente al grafismo, alla lettura, al numero, al calcolo, alle relazioni spazio temporali e così via. Se ha compiuto cinque – sei anni ci sentiremo impegnati e responsabilizzati affinché apprenda la tecnica della lettura, della scrittura, individui e utilizzi i numeri e le quantità e, se possibile, conosca alcuni degli argomenti studiati nella sua classe di appartenenza.
Purtroppo, tutti questi comportamenti che ci sembrano logici, spontanei e naturali non sono utili a questi bambini, anzi peggiorano il loro mondo interiore e quindi fissano ancor di più o accentuano i loro disturbi.
Dobbiamo riuscire a comportarci in modo diverso, molto diverso da come siamo di solito fare e da come istintivamente vorremmo operare.
1. Possiamo riuscire in questo se pensiamo a questi come a dei bambini costretti a vivere giorno per giorno una grande sofferenza.Questa sofferenza li stimola a difendere il proprio Io dall’angoscia che potrebbe sommergerli, utilizzando strumenti primitivi di difesa, come possono essere la chiusura nei confronti del mondo esterno o l’uso di stereotipie. Per tali motivi non dobbiamo assolutamente essere noi a proporre il modo giusto di comunicare ma devono essere loro a scegliere di volta in volta i momenti e le forme più opportune di dialogo. Perché solo loro sanno quello che in quel momento si agita nel proprio animo e, quindi, solo loro conoscono ciò di cui hanno bisogno in un determinato momento e non noi.
2. Mettiamoci in ascolto del loro animo con grande empatia in modo tale da capire immediatamente ciò che fa loro piacere e ciò che li fa soffrire. Ciò che li libera e ciò che li limita o blocca.
3. Rispettiamo il loro spazio psicologico e fisico.
Anche questo atteggiamento e comportamento non è facile attuarlo in quanto vorremmo che questi bambini capiscano subito o comunque rapidamente che noi siamo loro amici, che gli vogliamo bene, che non abbiamo nessuna intenzione di far loro del male. Per raggiungere questo obbiettivo il modo migliore ci sembra quello di avvicinarci il più presto possibile al loro corpo, così che avvertano meglio i nostri sentimenti. Purtroppo, però, nel rapporto con questi bambini questo comportamento è errato in quanto, dall’altra parte, vi è tanta paura e tanta diffidenza.
Poiché questi bambini hanno paura del mondo e degli altri esseri umani, limitiamo al minimo l’impatto che potrebbe avere sul loro animo la nostra presenza fisica, in modo tale che non l’avvertano mai e in nessun momento come invasiva. Inizialmente il posto migliore che possiamo scegliere è quello più lontano da loro, aspettando di capire quando è il caso di avvicinarci un po’ di più per collaborare al loro gioco. Ma se notiamo fastidio per questo nostro comportamento attendiamo con animo sereno, gioioso, disponibile e fiducioso che siano loro, dopo qualche minuto, qualche ora o qualche giorno a diminuire questa distanza fisica.
Nel momento in cui avranno più sicurezza in sé stessi, più fiducia in noi, più stima di noi, meno paura, sicuramente lo faranno. Si avvicineranno inizialmente utilizzando dei contatti apparentemente casuali o mediati da un oggetto o da un gioco, ma poi, gradualmente, ci faranno capire il loro desiderio di un contatto fisico più prolungato e coinvolgente.
4. Evitiamo di porci come insegnanti. Di fronte a dei bambini che non parlano, non leggono, e,a volte, non conoscono o mostrano di non conoscere molti elementi culturali; di fronte a dei bambini che ai nostri occhi e al nostro metro di giudizio si comportano male o in modo non adeguato alle circostanze, siamo portati ad insegnare: a parlare, a comunicare, a ben comportarsi con gli altri e verso di noi.
Bisogna saper resistere a questa forte tentazione in quanto i bambini affetti da autismo non hanno nulla da imparare fino a quando non manifestano apertamente il loro desiderio di apprendere. Evitiamo allora di porci come l’insegnante di fronte all’allievo. Anche se siamo insegnanti; anche se loro sono nostri allievi; anche se sono stati inseriti a scuola per imparare; anche se la scuola è il luogo in cui si insegna ed in cui si apprende.
L’imparare è l’ultima delle loro necessità e l’ultimo dei loro bisogni. Mostriamoci invece noi desiderosi di apprendere.
Dobbiamo essere noi ad imparare ad amare il silenzio, in quanto questi bambini più di ogni cosa, cercano un ambiente silenzioso, tranquillo e sereno. Non c’è nulla che dia loro più fastidio del continuo vociare, mentre, al contrario, il silenzio li quieta.
Dobbiamo noi imparare a non muoverci e agitarci troppo, in quanto i nostri movimenti, specie se bruschi, li disturbano e li spaventano.
Dobbiamo noi imparare a restare alla giusta distanza da loro e a partecipare con gioia ai loro giochi.
Se siamo disposti a fare tutto questo. Se siamo disposti a stare zitti. Se siamo disposti a non programmare per loro nessuna attività e nessun gioco allora, dopo qualche settimana o, al massimo, dopo qualche mese, ci accorgeremo con immensa gioia che qualcosa di molto importante è cambiato nel mondo interiore di questi bambini.
Dal viso più disteso scopriremo che il loro animo è, ora, più sereno.
Dall’aumento dei momenti nei quali riusciamo ad essere in comunione con loro, dal maggiore attaccamento nei nostri confronti, ci accorgeremo che il muro che avevano creato per difendersi dagli altri si sta sgretolando gradualmente, mentre sempre più spesso e per un tempo maggiore, sono disposti a lasciare appesa al muro la corazza che li proteggeva dal “mondo cattivo”.
Dopo qualche giorno o al massimo dopo qualche mese, noteremo che riescono più facilmente e per un tempo più lungo ad abbandonare le stereotipie, le ecolalie, le ecoprassie, l’auto ed etero – aggressività. Ci accorgeremo, in definitiva, che la maggiore serenità interiore acquisita permette loro di ricominciare un graduale cammino di maturazione psicoaffettiva, mentre, insieme all’aumento della loro fiducia in noi, è anche aumentata la fiducia negli altri e nel mondo.
Solo allora noteremo la loro disponibilità ad accettare delle piccole variazione ai loro giochi o addirittura ci accorgeremo che sono disponibili ad accogliere un gioco da noi proposto e a loro congeniale.
Alla domanda che spesso ci viene fatta se vi devono essere dei limiti alla espressioni del gioco libero autogestito, la risposta che diamo sempre è che il solo limite che noi vediamo è quando il loro gioco o la loro attività comporta un reale, importante pericolo per sé e per gli altri.
5. Rispettiamo i loro tempi.I bambini affetti da autismo sono diversi l’uno dall’altro per composizione genetica, per i vissuti traumatici trascorsi, per il tipo di difese che hanno messo in atto, per il loro retroterra familiare, per la maggiore o minore gravità dei problemi psicoaffettivi presenti nel loro animo. Non possiamo allora immaginare dei tempi che siano uguali per tutti. A ognuno di loro dobbiamo permettere di seguire una propria strada. Senza mai forzare. Senza mai avere fretta di arrivare ad una meta da noi prefissata e programmata. Anche in questo caso essi hanno bisogno del nostro rispetto più che della nostra sapienza.
6. Cerchiamo di modificare il loro ambiente di vita. Se l’insegnante riesce ad avere con questi bambini una relazione efficace come quella che abbiamo descritto si noteranno, come abbiamo detto sopra, in un periodo abbastanza breve, dei progressivi miglioramenti che però possono essere molto più importanti e rapidi se riusciremo anche a modificare qualche componente patogena dell’ambiente in cui questi bambini vivono.
Per fare ciò dobbiamo analizzare e poi cambiare in meglio tutti i comportamenti e le situazioni che possono essere nocivi al loro sviluppo psicoaffettivo, sia che questi elementi ambientali patogeni si trovino nella sua famiglia, sia che siano attivi nella scuola o nei vari ambienti da loro frequentati.
Nella loro famiglia possono costituire un grave elemento disturbante il conflitto genitoriale, gli eventuali disturbi psicologici dei genitori o familiari con i quali si trovano più in contatto, allo stesso modo può essere scarso o non adeguato ai loro bisogni il tempo trascorso con i genitori. Possiamo scoprire e modificare in modo positivo i ritmi frenetici a cui questi bambini sono forse sottoposti durante il giorno nell’effettuare le mille terapie proposte dai vari specialisti. Possiamo cercare di cambiare in meglio una gestione di questi bambini troppo oppressiva, se non traumatica a causa di continui rimproveri e frustrazioni. Possiamo,inoltre, cercare di diminuire un loro uso eccessivo della TV e dei video giochi così da lasciare più spazio al gioco libero e spontaneo
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